Transizioni di fase // Stare appesa per un capello sulla vita con il culo al vento
novembre 8, 2011
Mood: quieto e stanco
Listening to: le prime sei ore di lezione consecutive dell’anno, stranamente con molta attenzione sottolineerei
Watching: I love Radio Rock, di Richard Curtis
Playing: con Lou a stilare una lista totalmente inutile di film visti, ricorrendo solo alla memoria
Eating: minestrone ai cinque cereali
Drinking: la birra quotidiana dell’ultimo periodo, poi mi lamento della panzetta
Si definisce “transizione di fase”, in fisica e in chimica, o più comunemente “cambiamento di stato” la trasformazione di un sistema termodinamico da uno stato di aggregazione ad un altro. Per dirla in una maniera che mi piace di più, si definisce “transizione di fase” quel processo per cui, posto il movimento come condizione necessaria, un sistema che in prima analisi tende ad una sua propria regolarità, si rompe improvvisamente e repentinamente per assemblarsi solo successivamente in una nuova forma di equilibrio e così di seguito, senza mai giungere a conclusione effettiva. Non è necessaria una veggente per capire che preferisco questa definizione perché esprime senza alcuna ombra di dubbio il legame del principio fisico e chimico con la vita stessa – e sticazzi! non avrei mai scommesso che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei creato un ponte da parte e parte!
Non resta che dichiarare che questo è per me un momento di delicatissima transizione di fase in cui ‹‹non so›› è l’ordine del giorno, ‹‹bene›› e ‹‹male›› sono azzardi entrambi. L’impressione è quella di stare appesa per un capello sulla vita con il culo al vento, nella speranza che una folata imprevista mi butti di sotto. Soprattutto quassù si vive a comparti stagni.
Lavorativa-mente parlando, è come aver dato una capocciata alla giusta tessera del domino ed è tutto un gran darsi da fare ed sperare nelle opportunità che piovono di giorno in giorno, con un’energia propositiva che è paradossale anche solo a dirsi nell’Italia dove tutto sta rotolando a puttane senza freni. Storie da Fantabosco e gran culi rotti, insomma! Non fosse che – essì, i “però” fanno sempre da pandant alle faccende della vita – in mezzo ad una valanga di progetti totalmente differenti, ma ugualmente complessi, la testa minaccia a schiaffi e urla di diventare un colabrodo, buono solo a cagare acqua sporca e qui mi fermo, che in merito mi sono già sfogata. Non si deve poi sottovalutare che in questa dimensione, il lavoro non si contempla a tempo contrattuale, ma a trecentosessantagradi e ventiquattroacca su ventiquattroacca così che quello del lavoro diventa il tempo stesso della vita. Ma questo, chiunque dovrebbe essere d’accordo con me, non è una storia da Fantabosco e da gran culi rotti perché, fatta salva la passione, ché io al momento ho la stragrande fortuna di lavorare per passione ed emozione, nel tempo di una vita di un uomo c’è bisogno anche, chessò, per farla banale, del tempo per passeggiare senza meta e fermarsi di fronte alle vetrine dei negozi, per chiacchierare di tutto e niente con gli amici su una birra al bar, per fare l’amore e restare nudi e vicini dopo l’orgasmo, cosette piccole, ma dannatamente essenziali. Umana-mente parlando, non si vive mica di solo pane! (ce lo metto perché ci sta a pennello e perché uno di questi pluriaccennati lavori riguarda proprio il pane, ma questa è un’altra storia e per ora non la racconto)
A questo livello, quello dell’umana-mente parlando, la questione si acuisce per complessità, è come vivere una convalescenza perpetua e perpetuata in cui lo scricchiolio delle crepe accumulate nell’intimità perdura, ma rivelandosi meno intenso di giorno in giorno, va a finire che io puntualmente mi spacco tra la voglia di continuare ad arginarle con gocce di miele per salvarmi e racimolare l’energia necessaria per una corsa nuova e il desiderio opposto di insistere a cibarle di nostalgia per restare al riparo delle costanti che, per quanto taglienti come lamette, inscrivevano i flussi della mia vita all’interno di uno schema di punti più o meno stabile, ma anche per non affrontare il crollo di tutte le illusioni romantiche da “per sempre”, sì, le ho persino io!, ché l’amore in tutte le sue sfumature mi confonde e quando non lo ho più, mi scervello per non disperdere quanto ho sentito nel profondo e per incanalarlo in nuove forme. Benchè dolorosa, stiamo pur sempre parlando di vita vissuta e cara al cuore. Il mio problema è che guardo troppo in alto, gioco per sbancare la cassa e regolarmente perdo il senso di qualsiasi limite prima di tutto personale, volevo solo essere immensa, che gran pezzo d’idiota!, per questo ogni fallimento conseguente è troppo violento e il mio metabolismo inadempiente su tempistiche mignon.
Quindi respiro, ma afissio, mi muovo, ma sto ferma, vorrei balzare su un treno, ma più di qualsiasi altra cosa aspetto, paziento nei miei affetti come una Penelope, osservo ed ascolto di amori bellissimi e mi sazio, poi mi stanco e mi nauseo come un guardone incollato da troppo ad uno spioncino, allora stordita ed incazzata sento il peso di tutte le cose desiderate che sono passate e se ne sono andate senza che io le intascassi e di tutto il tempo che ho sprecato a leggere negli eventi prima di viverli, intendiamoci, per esempio, ho conosciuto l’amore, ma, prima ancora che mi dicesse “ciao”, gli ho innalzato una tomba sacra con tanto di epitaffio di pessima qualità, ché all’epoca ancora non sapevo che le poesie si scrivono fino a diciott’anni, dopo di che o sei un idiota o sei un poeta e gli idioti in media sono il novanta per cento della fauna, ma io quando ho scritto queste quattro parole in fila avevo diciassette anni e sono giustificata. Potrei spremerti, cuore, / conficcarti le dita nelle viscere, / fino a sradicare, in effluvio / di sangue, il seme ch’ora / ti pompa, sempre più rapido, / svuotandomi d’aria.
S’è forse fatta alata la larva?
Bene, cioè male, o forse né male, né bene. Semplicemente una storia. Per certo è paradossale voler conservare nel sangue come il più prezioso degli atomi quanto elargisce cancrena. Mi sento vecchia, grinzosa e narcolettica, non ci sto. Dovrei evacuare i fiumi rossi dal superfluo, per l’appunto, principalmente avrei bisogno di sfogarmi, ma a furia di spremerle in un catino, ho inaridito entrambe le ghiandole oculari, a meno di non voler considerare pianto quel conato di singhiozzi asciutti che mi assale di tanto in tanto quando mi chiudo nel cesso e mi calo i pantaloni per pisciare e si esaurisce pure in pochi secondi, che poi ancora non me la sono spiegata del tutto l’associazione singhiozzi-cesso. Ma non solo le lacrime spurgano le tossine, dovrei trovare la mia pratica ludica di liberazione personale. Perché voglio tuffarmi nella vita come un cucciolo d’uomo appena sgorgato dalla terra e rabbrividire fin nelle ossa di umanità, è impellente.
Poi c’è questa storia che qualche giorno ormai mi sveglio ansimando ancora per l’eco di sogni sgradevoli e avverto, attorcigliata con le viscere, l’esigenza di slanciare il corpo nello spazio. Allora cosa faccio? Mi metto a ballare e a ondeggiare lungo tutto il giorno per scongelare i muscoli e snodare le ossa e sudare tutte le tensioni ed il patetismo che ho accumulato negli ultimi giorni. Ballo da sola, con la caffettiera, col nelsen piatti, con i vestiti appallottolati, con gli attori di I love Radio Rock, sulla musica e sul silenzio, ovunque e senza freni. Ritualità da tempi andati, ma per certo efficiente.
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novembre 11, 2011 at 9:22 AM
Ti ho followato e blogrollato. Poi il post lo leggerò con calma più tardi che non c’ho tempo che devo andare a lavorare che poi mi devo tagliare i capelli:) Cose che non interessano:)
novembre 11, 2011 at 10:04 AM
Eh, ma grazie intanto! Io ti ricambio con piacere e mi riprometto di tornare a leggerti al prossimo momento di calma che spero un po’ meno notturno, ma effettivamente, chissenefrega! 🙂 Buona giornata!
novembre 11, 2011 at 6:07 PM
Oh, beh. Non è che possa dire granché io, tranne la solita, e cioè: ci somigliamo. Anzi stavo pensando proprio ora che secondo me ci somigliamo, noi due, in certe cose, ma somigliamo anche a una certa quantità di altre persone. Che cambia solo qualche sfumatura ma per il resto siamo lì, che il voler essere immensi, per esempio, è un’aspirazione così inebriante e chissà in quanti ci rapisce. E infatti quasi tutti siamo stati poeti a diciassette anni.
Questo per dire che mi fai pensare che ci possono essere relazioni impensate tra le persone, mondi comuni che non conosciamo. Ma questo esula dal tuo post.
Che secondo me, per rimanere in tema, è uno dei tuoi più belli per come sai raccontarti.
Ma non parliamo di sogni, per carità. Ormai ne ho una collezione, con tutto il carico di sensazioni bizzare e a volte angoscianti che si portano dietro. Chissà cos’avrà da elaborare tanto il nostro dannato inconscio.
Ps la ragazza della foto immagino non sia tu, e meno male, perché secondo me fa un male cane!
novembre 12, 2011 at 2:28 AM
Io credo che al di là delle disfunzioni formali e culturali del singolo, alla base gli uomini coltivano visioni, aspettative e chi più ne ha più ne metta molto simili. Per questo sì, è doveroso presupporre una rete di relazione che travalica la concretezza e la fisicità di un qualsiasi rapporto. Io parlo di fili rossi quando penso a questo tipo di collegamento intestino e sotterraneo. Detto ciò, mi piace quando quello che scrivo in un qualche modo travalica il nocciolo della questione per suggerire altre cose.
Elaboriamo perché viviamo e di contro viviamo perché elaboriamo. Sono processi vitali imprescindibili. A volte vorrei tanto staccare il pensiero, ma se lo facessi, inizierei a dubitare del mio stato di essere vivente. Del resto io ho un bisogno costante di ridefinirmi e guardarmi nello specchio, altrimenti non mi raccapezzo più. A volte, soprattutto nell’ultimo periodo, mi sembra che non avere più un vocabolario per raccontarmi, allora ugualmente provo a scrivere per cercare qualcosa.
Non sono io la ragazza in foto. Per altro la fotografia è di Aaron Hawks ed io la amo alla follia per la forza comunicativa che esprime tanto emotivamente, quanto fisicamente. La sento anche molto mia. Ti confesso che se per assurdo Hawks mi avesse chiesto di posare per lui in questa foto, io non ci avrei pensato due volte. 🙂
dicembre 5, 2011 at 1:39 PM
[…] tempo, scrivendo dell’accelerata del comparto professionalavorativo nella mia vita, en passant ho fatto riferimento a un lavoro in merito al pane. Ebbene dunque – ora che siamo […]