Dopo i titoli di coda

marzo 11, 2014

Mood: pasticciato
Reading: Popcorn time. L’arte dei titoli di testa – Fabio Carlini
Listening to: Ed Sheeran – I See Fire
Watching: 12 Years a Slave di Steve McQueen
Nebraska di Alexander Payne
Eating: gelato
Drinking: camomilla con mela caramellata



Les Herbes Folles di Alain ResnaisLes Herbes Folles di Alain Resnais


Il momento in cui i titoli di coda si precipitano a risalire lo schermo e l’illuminazione della sala cinematografica si alza poco a poco, è di per sé molto drammatico: in capo a pochi secondi, veniamo strappati alla storia che ci aveva presi e coinvolti in prima persona e, mentre ancora siamo lanciati in mirabolanti proiezioni emotive, veniamo sbalzati nell’esistenza ordinaria, ci ritroviamo arruffati e sgraziati tra le braccia di una poltroncina di velluto in mezzo a cartocci di popcorn schiacciati al suolo e altri uomini che si guardano attorno come noi, vale a dire sbatacchiando gli occhi con sconcerto sotto la gravità rinnovata di un pensiero magmatico. Dopotutto si tratta di un cambio di realtà molto brusco. E quantomeno perverso: alla misura dei fatti, se paragonato agli eventi del film lo scenario standard della nostra vita, laddove non faccia schifo, è considerabile come minimo meno vita.

Adesso, volendo indugiare in garbati intellettualismi, potremmo riferirci al patto finzionale e alla sospensione dell’incredulità. La natura del discorso non cambierebbe: ogni storia, espandendosi, finisce per costituire un piano diverso del reale, essendone a tutti gli effetti una sua possibile rappresentazione. Ripeto: “possibile” e a ragion veduta non si potrebbe pretendere di più, giacché in primo luogo quel che chiamiamo “realtà” è un fenomeno tutt’altro che piatto, è piuttosto un’interpretazione di compromesso tra la meccanica con cui i nostri organi di senso percepiscono gli stimoli provenienti dal mondo esterno e le vaste zone di filtraggio costituite dai contenuti culturali e dagli immaginari di cui siamo depositari, di modo che anche il quadro che abbiamo del reale non ne è mai un calco, ma una sua possibile rappresentazione. Capiamoci, i fatti sono come si manifestano a me o come al cane, come li esprimo io, che sono occidentale, o come lui, che è orientale? Ebbene, sono in ciascuno di questi e molti altri modi ed è proprio che tutto diventa davvero complesso e tremendamente interessante.

Luce in sala sui titoli di coda di Obvius Child di Gillian Robespierre, l’ultima proiezione in programmazione alla quarantaquattresima edizione del Film Festival di Rotterdam, the end. In dieci giorni di Festival – quanto a me, ci sono andata come cultrice del cinema e membro volontario al banco degli accrediti con accesso illimitato alle proiezioni per compenso – i lutti e i distacchi sono stati numerosi, qualcuno particolarmente violento, per esempio Finsterworld di Frauke Finsterwalder, Only Lovers Left Alive di Jim Jarmush, The Amazing Catfish di Claudia Sainte-Luce, Pelo Malo di Marina Rondón, Siddarth di Richie Metha, Heli di Amat Escalante, ma in generale posso affermare di aver sviluppato un atteggiamento sportivo.
Mi alzo dignitosamente e mi incanalo nel serpentone di gente diretta all’uscita, mentre un sorriso mi precipita giù per una guancia, si allunga e resta appeso ad afflosciarsi, alla maniera un po’ pesante e lenta del pensiero “che ne faccio di domani senza il Festival?” ‘ché, da dovunque le si osservi – e questo va al di là del fatto che per quanto mi riguarda il Film Festival di Rotterdam sia stato anche un’esperienza lavorativa quindi carica di un certo senso di appartenenza –, le manifestazioni cinematografiche sono mondi centralizzanti a sé stanti. La vita di tutti i giorni col suo povero bla bla bla non ne fa parte, si allontana sempre più col passare dei giorni e sfuma all’orizzonte. Talvolta è difficile ricordarne anche solo l’esistenza. C’è il Festival, tutto contenuto nei suoi principi come uno scatolotto delle meraviglie: la prima proiezione del mattino [ore 09:00] e l’ultima della sera [ore 22:45] che assumono il valore nuovo di pilastri del giorno e in questo senso i calendari di programmazione e i bollettini di gradimento del pubblico, le voci di corridoio per comporre l’incastro dei film tra i due estremi temporali di una quotidianità rinnovata, altresì valutando con scrupolo distanze tra sale e teatri, tempi di percorrenza a passo sostenuto laddove non si possa contare su un passaggio in bicicletta, patacche culinarie e caffè da ghermire al volo, dibattiti col regista e birre tra cinefili a cui non si deve mancare, di modo da arrivare al termine del Festival avendo visto il maggior numero possibile di film – dormito eventualmente più in sala che in un letto –, soddisfatto la quantità più considerevole di necessità intellettuali e raggiunto magari un paio di idee interessanti.
Tutto questo acquista un senso singolarmente profondo: lo spazio coerentemente organizzato in vista dell’effettiva data di chiusura del Festival, la sua stessa natura temporalmente limitata, fanno sì che tantissime cose, solitamente sparse lungo il corso una vita intera, si concentrino con naturalezza come sollecitate da una forza centripeta in pochi giorni, rendendoli incredibilmente vitali e appaganti sotto qualsivoglia aspetto, nulla a che vedere con l’intensa difficoltà della quotidianità. Se ne potrà dedurre quel che comporta il ritorno al lento andirivieni di ogni giorno: capogiri e intrallazzi di vuoti vaghi.

“Ci berrò su nel giro di una mezz’ora”, ho pensato uscendo in strada,

ma stavo già riflettendo sui garbati intellettualismi di cui sopra: al patto di finzione e alla sospensione dell’incredulità, ai film che sono rappresentazioni di realtà e non realtà essi stessi, alla molteplici forme del reale percettibile, all’idea aberrante dell’immutabilità.
Se consideriamo le infinite possibilità che passano attraverso una storia di penetrare i rapporti di osservazione della realtà e metterne in luce porzioni differenti, diventerà evidente forse l’unica verità ultima del perché raccontiamo storie: più che aiutarci a evadere, le storie ci suggeriscono l’estensione e la complessità del mondo esterno, gli infiniti punti di vista da cui si può osservare una stessa situazione, nonché le sue infinite prospettive.
La qual cosa significa che in realtà il momento in cui i titoli di coda si precipitano a risalire lo schermo e l’illuminazione della sala cinematografica si alza poco a poco, è, per quanto luttuoso o forse proprio perché luttuoso, il momento in cui riapriamo gli occhi sulla nostra vita e ci poniamo tutti i problemi del nostro esserne gli artefici, mettendo in moto nell’ipotesi ottimale un cambiamento foss’anche minimale.
L’idea, si converrà, ha un che di affascinante.

Mood: abulico
Reading: Jack Kerouac, On the road
Listening to: i sogni di chi dorme e si rigira nel letto
Watching: The Butler di Lee Daniels
Eating: abbondantemente – è pur sempre la vigilia di Natale.
Drinking: vino, succo di mela e caffè




o-INSIDE-LLEWYN-DAVIS-TRAILER

Ricordo, appena fuori dal cinema dopo la visione di Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen, Llewyn Davis affermare “It’s not going anywhere”, in seguito a un’audizione andata male, malissimo – “I don’t see a lot of money here.” – che segna l’epilogo di una serie di insuccessi o peggio ancora successi mediocri e di un viaggio in inverno dentro scarpe inadatte da New York a Chicago per ottenerla, la qual cosa è il sentimento esatto di una sconfitta universale alla quale sottostare, la quasi eroicità di una rinuncia e di una caduta.

Stanotte che sono insonne ci ho ripensato a lungo e mi è tornata in mente la risposta di Jean Berkey a Llewyn Davis: “You don’t want to go anywhere and that’s why all the same shit is gonna keep happening to you.”

Ne sono rimasta illuminata come se mai avessi raggiunto un pensiero simile, eppure ne avevo fatto a fatica il perno della mia vita. Evidentemente ci sono pezzi importanti di me che al momento non ho più in me. Succede agli uomini quando ci si mette l’incuria.

Holy motors

agosto 11, 2013

Mood: appesantito
Listening to: René Aubry – Salento
Watching: sole, nuvole, sole
Eating: frittelle
Drinking: caffè




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In un certo senso, con Holy Motors Leos Carax fa nel cinema dei nostri anni quello che Socrate ha fatto nella società occidentale con la cicuta. Va a morte riflettendo sulle stesse dinamiche della cinematografia e sui cambiamenti in atto nei processi di produzione. Così facendo, attesta la sua estrema passione per la bellezza e la potenza della messa in scena, principio primo del raccontare storie.

Frustrante per certi versi, ma tant’è.
Io credo si tratti principalmente di essere consapevoli, in qualità sia di potenziali autori, sia di fruitori a tempo pieno, tanto a cinema, quanto in tutti i campi della comunicazione.

A maggior ragione perché solo la consapevolezza produce capolavori. Vedi Holy Motors.


Per concludere, mi sembra doveroso approfondire la riflessione con un’analisi ricca di spunti scritta da Alessandro Baratti per Spietati.it.

Mood: vigoroso
Reading: poesie di Cesare Pavese nel primo mattino
Listening to: Mungo Jerry – In The Summertime
Watching: Tutta la vita davanti di Paolo Virzì
Eating: brioches con lacrime di cioccolato
Drinking: caffè



Vi sarà ormai diventato evidente che gli amici Gianvito Cofano e Alberto Mocellin – in arte Acqua Sintetica – si sono affermati su questo blog come i videomaker che tutti voi dovete apprezzare in virtù dell’agio e dei risultati progressivi con cui si muovono di lavoro in lavoro.
Da qualche settimana è online un altro loro videoclip, Operazione commerciale per K-ANT Combolution. In verità, il video esce a un anno di distanza dalla sua effettiva produzione e, avendo già dovuto aspettare così tanto tempo prima di poterlo spandere, diffondere, riversare, non sarà certo il caso di sprecare altro tempo in paroline anche perché il lavoro di Gianvito e Alberto si esprime per benino da sè.


Mood: positivo
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: rap polacco perché mi fa ridere
Watching: Shugo Tokumaru – Katachi [official video by Kijek/Adamski]
Eating: biscotte
Drinking: te chai

 

 

 

Gli amici miei Gianvito Cofano e Alberto Mocellin – che adesso fanno i fighi profèscional sotto la nomenclatura Acqua Sintetica, ma che per me resteranno sempre gli amici miei Gianvito Cofano e Alberto Mocellin con la zazzera, anche quando saranno grandi e grossi – hanno sfornato un altro dei loro, no, mai stanchi, loro!

Questa volta si tratta di un video per il progetto Genero.tv che di tanto in tanto chiama i videomaker a sfidarsi – in nome della gloria più un compenso in moneta – per la selezione del videoclip ufficiale di un nuovo singolo di un qualche artista più o meno noto.
Gli amici miei Gianvito Cofano e Alberto Mocellin hanno lavorato sul brano This Place Was A Shelter di Ólafur Arnalds, mica male per altro.

La cosa che più mi fa cascare la mascella di fronte a ogni nuovo lavoro di tasca loro è che di volta in volta gli amici miei Gianvito Cofano e Alberto Mocellin si dimostrano sempre più bravi e umani a raccontare e a emozionare con le immagini. Come se non bastasse, in un momento in cui il mondo del video è ufficialmente affetto dalla penuria di idee malgrado [e a causa del] le camere con millemila pixel e le ottiche che arrivano fino alla luna, gli amici miei Gianvito Cofano e Alberto Mocellin non tradiscono mai la fonte di un’intuizione genuina, voglio dire come se evacuassero idee a ogni chiamata al wc.

Adesso. Che io voglia bene assai a Gianvito e Alberto è una faccenda. Che li stimi e sia felice del loro percorso un’altra. La seconda è svincolata dalla prima, ma certo, alla fin fine è normale che mi gonfi come un pavone, dicendo Questi sono amici miei!

A tal punto, embeddarei di buon grado il video qui sotto, non fosse che migliaia di tentativi effettuati e andati a male sembrano dimostrare che tra Genero.tv e WordPress non c’è dialogo alcuno. Fintanto che non avrò vinto la mia battaglia contro l’incomunicabilità 2.0, vi invito allora a vedere il video degli Acqua Sintetica qui, dove potrete trovare anche tutti gli altri in concorso per This Place Was A Shelter di Ólafur Arnalds.
Non dovete votare, non dovete condividere – a meno che non lo vogliate e questo è sempre ben accetto.
Dovete solo guardare. Mi ringrazierete, credo.

Aeroplane

febbraio 7, 2013

Mood: stabile
Listening to: da stamattina, il primo minuto di un brano sul quale sto lavorando [videoclip in arrivo!]
Watching: Woodkid – I Love You
Playing: col solito riccio
Eating: risotto con carote e scamorza affumicata
Drinking: acqua



Dopo Never Think So Long, è la volta di Aeroplane.

E con Aeroplane, i Moustache Prawn insieme a Gianvito Cofano e Alberto Mocellin – ormai ufficialmente Acqua Sintetica – raccontano un’altra bella storia, questa volta delicata assai.
Si prende qualche centimetro d’anima, io credo.
Lasciate che lo faccia.




I miei amici stanno crescendo e bene da restare con gli occhi e la bocca così.
Si sono pure guadagnati uno spazio tra le Altre amenità nella classifica dei migliori videoclip di febbraio 2013 redatta da Luca Pacilio de Gli Spietati. Rivista di cinema online. Mica niente [e mica per niente]!

Mood: sereno
Reading: David Grossman, L’uomo che corre, Michael Tzidon, Myke
Listening to: Bon Iver in live, tra un’ora
Watching: zaini e sacchi a pelo nel corridoio d’ingresso
Eating: cioccolato fondente
Drinking: te



#1

I Mustache Prawn – di cui su questo blog si tessono ampiamente le lodi – sono su Puglia Sounds New, una compilation alla sua terza edizione che raccoglie in diciannove tracce il ben di dio della scena musicale di Puglia e che uscirà in allegato – senza pecunia aggiungere – al numero di XL da domani in edicola. Maggiorni info sono sia sul sito di Puglia Sounds che su quello di XL.
A presentare i Mustache Prawn per Puglia Sounds New ci pensano, come sempre e come sempre bene, Gianvito e Alberto.
https://vimeo.com/52379767

Alla compilation, è associato un concorso che premierà la band la cui clip di presentazione risulterà la più votata dagli utenti del web. Si vota, udite, udite!, sulla pagina facebook di XL, a partire dal 31 ottobre. L’artista vincitore avrà la possibilità di realizzare un videoclip professionale – lo so, attualmente i Mustache Prawn hanno già in attivo due videoclip professionali, Pullover e Never thing so long, visto che ci pensano Gianvito e Alberto – e di esibirsi con i Boom da Bash, i Mellow Mood – che su questo blog sono conoscono – e il Teatro degli Orrori, durante la XL che si svolgerà domenica 2 dicembre, presso Il Teatro Kismet di Bari.

Tutti al voto per i Moustache Prawn! [qui il link diretto]

#2

Laura Guilda, fashion designer emergente di base a Milano – nonché da me medesima conosciuta, sicché a buona ragion(veduta) consigliata -, partecipa al MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award 2012 con la sua collezione Stitch’n spots – in continua espansione –.

MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award 2012 offre al designer vincitore la possibilità di realizzare una capsule collection per Muuse, oltre che una certa visibilità. Io direi che Laura lo meriterebbe – sarò anche di parte, ma a me il giaccone di feltro piace assai –.
Il popolo del web è chiamato a costituire la rosa dei dieci fashion designer finalisti, a partire dalla quale una giuria adeguata selezionerà il vincintore. Si può votare fino alla mezzanotte del 20 novembre e votando, si entra a far parte di un sorteggio per il perfect cocktail dress esticazzi!, disegnato per Muuse da Heidi Paula, il duo vincitore della scorsa edizione di MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award.

Tutti al voto per Laura Guilda! [qui il link diretto]

Mood: inasprito
Listening to: Camillorè – La nònne
Watching: Marilyn, di Simon Curtis
Playing: in 3d
Drinking: caffè
Eating: lette e cornflakes





Aisha’s Song – di Orlando Von Einsiedel – è tra i cinquanta video semi-finalisti del Your Film Festival, il concorso lanciato da Ridley Scott in partnership con Youtube e Emirates.

Ci sono dentro tutti i buoni motivi per sfumare verso il lato del silenzio e restare incantata ad ascoltare le percussioni stupefacenti della vita nei suoi aspetti più elementari,

[dopo gli ultimi giorni a fare tutt’altro


finalmente buongiorno.]

Mood: increspato
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Linea 77 feat. Subsonica – 66 (Diabolus in musica) e sembra di tornare adolescente
Watching: attorno a me
Eating: crostatina di cioccolato
Drinking: caffè



Ma se dico YOUR FILM FESTIVAL vi si riempie per caso il vaso cranico?
Sì, no, non so, premete il pulsantone di fronte a voi.
Io intanto passo la parola a Ridley Scott.


Quando il primo febbraio YouTube e Ridley Scott hanno annunciato il Your Film Festival, è stato come un terremoto nel mio habitat naturale. Insomma, le cause scatenanti sono evidenti come un treno gigantesco che impatta sul muso.

Allora io ho questi due amici, Gianvito Cofano e Alberto Mocellin che chiunque li conosca sa che con la testa viaggiano oltre i limiti di velocità. Io ho questi due amici, Gianvito Cofano e Alberto Mocellin che al Your Film Festival hanno detto sì, e già sembra la pubblicità della Valsoia, me ne sono accorta dopo averlo scritto.
Ne è venuto fuori

This movie is not a movie.

A me le premesse stanno sullo stomaco. In questo caso però, il gioco ha una regola, “guardare a volume alto e bene” – già, do per scontato che lo guarderete! –



e poi potreste cliccare mi piace su Youtube, non credete?

Immaginate Gianvito Cofano e Alberto Mocellin con budget e tempo a disposizione, immaginate il Ben Hur che potrebbero mettere in scena! (per dirla tutta a me non basta immaginarlo)




[photos by Leonard Regazzo]

L’amore che resta

ottobre 15, 2011

Mood: combattivo
Listening to: il riflusso lento del sangue
Watching: la marea di indumenti che invade il mio letto in previsione del cambio stagionale del guardaroba
Playing: a ristabilire la mia vita a Milano, ché dopo la prima settimana i successi in questa direzione non sono stati eclatanti
Eating: il risotto agli spinaci preparato da Yanna
Drinking: caffè






L’amore che resta di Gus Van Sant io avevo realmente bisogno di vederlo. L’ho capito non appena ho visto quest’immagine.

Voglio dire, le sagome di Enoch ed Annabel legate in una sola sull’asfalto sono l’Amore che resta, quello che se ne frega di quanto gli uomini e le loro faccende siano per natura corruttibili ed effimeri. Gli uomini, per l’appunto. L’Amore non necessariamente.


"Amore, quando ti diranno
 che t'ho dimenticata, e anche se
 sarò io a dirlo,
 quando io te lo dirò,
 non credermi
 chi e come potrebbe
 reciderti dal mio petto,
 e chi raccoglierebbe
 il mio sangue
 quando verso di te m'andassi dissanguando?"

[Pablo Neruda, Lettera lungo la strada]
Mood: quello di prima
Listening to: il vocio fastidiosissimo dell’aula studenti
Watching: facce





«Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento. Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo. Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo. Sta zitta, zitta!
Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo. In momenti come questi, come adesso.
Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia? Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora. Vivere. Basta uno sguardo. Il circo mi mancherà. È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.
Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.
Come se il dolore non avesse un passato. Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria…Finisce sempre proprio quando sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero. Finalmente fuori in città. Chi sono io? Chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero.
Qualcuno che dicesse “Oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello.
Devo solo alzare la testa e il mondo s’apre davanti ai miei occhi, mi sale nel cuore.
Quand’ero bambina, volevo vivere su un’isola. Una donna sola. Potentemente sola. Sì, è così.
È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia…angoscia, angoscia, angoscia!
Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu? Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista, basta col trapezio! Le decisioni improvvise alle quali si crede…
Ma non piangere! Veramente, l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere! Succede così, dipende, non va mica sempre come si vuole.
Così vuoto, è tutto così vuoto.
Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino: qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non ci si può perdere, si arriva sempre al muro.
Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso, così potrebbe cominciare una storia! Le facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.
Ho paura di questa sera. E’ idiota!
L’angoscia mi fa male, perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere? Forse non è per niente questo il problema.
Come devo pensare!
So così poco. Forse perché sono sempre curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato, perché penso come se parlassi contemporaneamente a qualcun’altro. All’interno degli occhi chiusi, chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive.
Stare in mezzo ai colori. I colori, le luci al neon, il cielo della sera, il metrò rosso e giallo.
Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno. Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.
E’ questo che mi rende sempre così incapace? L’assenza di piacere?
Il piacere d’amare.
Il piacere d’amare… »