Mood: elettrizzato
Reading: Reif Larsen, Le mappe dei miei sogni
Listening to: Fabrizio de André – Si chiamava Gesù
Watching: Gravity di Alfonso Cuarón
Eating: panzerotti
Drinking: vino



«Dorotea, cosa fai a Natale?»

«Mah…
Si mangia. Credo.»

«Mh. Tu sei cristiana?»

«Non proprio. Mi hanno battezzata, ma.»

«Io sono musulmano.»

«Niente Natale, vero?»

Scuotimento tormentoso di testa e abbastanza lungo silenzio.
«Però una volta ho visto un film sulla vita di Cristo. Il profeta Maometto e Cristo sono lo stesso. Solo che i Musulmani non possono mangiare il porco e i cristiani sì.»

Fili rossi 2.0

Maggio 27, 2013

Mood: quieto
Listening: Awkward I – Rock is the Road (Amsterdam Acoustic)
Watching: mamma che si stende sulla panza di papà
Eating: risotto ai funghi
Drinking: acqua



Il teorema dei fili rossi è al centro di me stessa una di quelle molle da dove tutta la mia vita trova slancio,
voglio dire, la sensazione che un reticolo fitto e infinito di vie alluse color rosso, passando attraverso un orifizio posto all’altezza dello stomaco, connetta e annodi un essere umano a miliardi di altri più o meno conosciuti e sconosciuti e questi ultimi a miliardi di altri ancora e così via, tutti, per meglio dire, prolungati l’uno dentro l’altro nella positura un giorno – supponiamo – voluta dagli eventi perfetta per sentirsi e comprendersi d’istinto affini e a fondo con una scarica uniforme di meraviglia,
ecco, pensare ai fili rossi mi fa sentire ben-disposta e entusiasta verso ogni cosa dell’universo e sentirmi così ben-disposta e entusiasta verso ogni cosa dell’universo mi frutta sempre pezzi di splendore.

***

Chi ha prodotto il web aveva, io credo, ben presente il teorema dei fili rossi, al punto da averne fatto il presupposto. È evidente, no?, i link sono i fili rossi 2.0 che è proprio ciò che mi piace del web, in altri termini la sua attitudine a intensificare l’accensione e l’oscillazione delle linee di [inter]scambio e di amicizia tra punti trasversali.

Così succede che Eta – Utrecht, Olanda, Europa – collabori al progetto musicale di Heidi Harris – Astoria, New York, USA, America -, firmando prima la copertina del suo album Cut the Line (disponibile su Inner Ocean Records sia in versione digitale, sia in edizione limitata su vinile), poi contribuendo alla realizzazione della traccia Nine Feathers e infine producendo il videoclip di Animal Insect – al quale ho anche potuto partecipare in fase di scrittura, trovandovi uno scambio molto fecondo. Non che Eta e Heidi si fossero mai incontrate fisicamente, vivendo la prima a Utrecht, la seconda a New York, ma umanamente sì e molto profondamente  [qui tendo un altro filo rosso dalle mie parole a quelle di Eta che, giorno dopo giorno, mette a nudo sul suo blog il processo dietro questo “empathy experiment” tra lei e Heidi.]

Così succede anche che Traslocare #2 entri tra i contenuti che danno vita al secondo numero di Quinta, periodico digitale – qui in versione base e qui a contenuti ampliati – di Casa Liquida, un neonato cantiere creativo palermitano, “residenza e laboratorio, studio di design e galleria d’arte, sede di wozlab e redazione di bdc, the letterario e teatro culinario, biblioteca e videoteca, astronave e velodromo, luogo di sosta e stazione di posta, porto di mare e approdo silenzioso, casa liquida” che per sua natura mi mette proprio di buon umore, spero di passarci fisicamente un giorno o l’altro.
Casa Liquida posa la sua pratica intera sulla poetica del fil rouge, come dichiara Link, la sua prima esposizione. Allo stesso modo, con Quinta, Casa Liquida tende di volta in volta un filo rosso – il viaggio in occasione del secondo numero – e gli annoda parole e immagini raccolte o offerte dal web, arricchendole con una nuova misura che è quella data dalla relazione tra contributi. Mi fa sorridere, per esempio, che [ri]pubblicando Traslocare #2 su Quinta|02 qualcuno abbia pensato di associargli una canzone, Traslocando di Loredana Bertè, e di impaginargli di fianco Trasporti del Signor L., grazie – e a maggior ragione per aver accostato il mio nome all’aggettivo “viscerale”.

[Così succedono e succederanno tante altre cose.]

Mood: entusiasta
Reading: David Grossman, Caduto fuori dal tempo
Listening to: Pag – The lady is dead
Watching: il calendario degli eventi milanesi
Eating: pasta impegnata, difficile da digerire
Drinking: te



# mesi prima

“La luce, che è il campo di analisi di questa mia tesi, bisogna concepirla come qualcosa che inizia attraversando a gran velocità lo spazio fisico e il nostro sguardo e finisce negli interstizi della nostra ossatura emozionale e culturale, rimodellandola con sfumature di diversa intensità che conferiscono sempre un registro emotivo [variabile] a una [stessa] situazione o a uno [stesso] ambiente. Per esempio, il pezzetto di Milano che intravedo nella cornice della mia finestra al sesto piano di un palazzo di Viale Romolo, quest’oggi, mi fa sentire fiduciosa. La luce avvolge in un solo abbraccio arancione i nuovi edifici del quartiere Isola e le montagne all’orizzonte, ammorbidisce le ombre e esalta le cromie del paesaggio, neanche si direbbe che il termometro segna zero gradi. Ma ieri, quando su questo stesso pezzetto di Milano gravava una luce bianco lama e non c’era luminosità e non c’erano ombre e neanche un colore, ieri ero certa di non avere un solo motivo per sognare. Fotone, dopo fotone, ombra dopo luce e luce dopo ombra, le mie emozioni si eccitano e si architettano.”

[dall’Introduzione della mia tesi,
«Qualcosa intorno alla luce». Oscillazioni costitutive di uno sguardo]

# il giorno prima

Sempre a proposito di cose che ho scritto,
La luce è nel modo in cui la si utilizza attraverso il merdium”. Sì, ho scritto proprio così nella copia della mia tesi agli atti, pagina 55. Più che refuso, lo definirei lapsus. Froid mi stringerebbe la mano.
A ogni modo, scoprirlo il giorno prima della discussione ha su di me poteri analgesici.
Qui, a PaRecchia, ogni transito dalla condizione di studente a quella di disoccupato è stato benedetto da un casuale, ma molto concreto tuffo nella merda,
al primo, qualcuno si è inavvertitamente steso nel letame di un canneto per atteggiarsi a fotografo d’assalto,
al secondo, qualcun’altro ha vacillato sotto i colpi della dissenteria, al punto che «Diarrea?» è diventata la parola d’ordine per qualiasi movimento troppo sospetto sulla sedia, arrivando a sostituire il «Buongiorno».
In questo caso, il tuffo nella merda è molto meno fisico, ma è risaputo che si trova l’illuminazione là dove la si vuole riconoscere. Per me una buona parte è nel “merdium”.

# il giorno stesso, il 27 febbraio

«Sono soddisfatta» e «Sono felice»,
dovrei riuscire a dirlo, forse anche più e più volte, ma non vorrei che mai qualcosa cominciasse a sembrare superflua, fosse anche solo una porzione infinitesimale degli abbracci, dei chilometri affrontati dalle persone che amo per esserci – qualcuno persino a sorpresa –, delle emozioni, delle reazioni dentro e fuori la sala, degli entusiasmi, delle strette di mano estranee, delle personali rivincite dialettiche, del mio lavoro, della fatica che mi è costato
arrivare a dire «Sono soddisfatta» e «Sono felice»,
essere soddisfatta, essere felice.

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«Stappo lo spumante», invece,
l’ho detto più e più volte, da procedura. Me l’ero studiata, prevedendo di dover rispondere a necessarie domande sul futuro, dopo l’incoronazione con l’alloro.
Effettivamente, stappare lo spumante è senza dubbio il futuro più sicuro in cui un neolaureato possa avere fiducia. A breve termine, ma pur sempre futuro.

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# i giorni dopo

In verità, a proposito del futuro a lungo termine, non è che ci sia mai stato anche soltanto il sentore del famigerato nulla post-laurea. Qualche ora dopo aver stappato lo spumante [ma nella testa, da molto prima], mi sono immersa tra le rifiniture degli ultimi due video sui quali ho lavorato negli ultimi mesi – tra i due c’è anche quello col quale mi sono laureata, ebbene sì –, una decina di altri progetti nel cassetto, millemila lettere motivazionali in giro per il mondo, un paio di lavoretti spettacolanti e qualche incontro di autopromozione dove conoscere quello o quell’altro, la ricerca di quattro o cinque impieghi saltuari e salutari [possibilmente collaterali, se non proprio sconnessi], un trasloco con meta ballerina, centinaia di itinerari lungo l’Italia e l’Europa, qualche progetto oltreoceano, dozzine di idee, di sogni e bisogni, stimoli, cose che voglio fare, ascoltare, vedere, imparare, sbucano da ovunque, tutte disparate e tutte entusiasmanti, si accalcano contro le pareti del cervello senza mai darmi un momento di pausa, tant’è che il dek del mio Mac non ha smesso di essere afflitto dai post-it colorati e dai calendari!
Ebbene,
qui la questione non è cercare qualcosa da fare nel futuro prossimo, è piuttosto focalizzare un certo numero di priorità.
E io che sono per natura affetta da processi di metabolismo molto lenti, quasi certamente, al momento, più di qualsiasi altra cosa necessito di tempo per vivermi in profondità il presente.

Mood: nauseato
Listening to: alt-J (∆) – Breezeblocks
Watching: voli Amsterdam-Parigi
Eating: yogurt ai cereali
Drinking: caffè



* 1 chilo di patatine rigorosamente-sottomarca Fidel
* 2 litri bi birra rigorosamente-sottomarca Menabrea
* 1 stecca di Kinder Cereali
* 1 pacco convenienza di brodo Maggi, gusto classico
* 1 confezione di pomodorini Pachino


Al supermercato, io mi perdo sempre dentro la spesa delle persone in cassa, ‘ché, se traccio percorsi da un prodotto all’altro, decifro vite e identità nascoste dietro facce immobili, immagino storie, fino a provare, per un breve istante, la certezza di non essere estranea a niente e nessuno.

Ebbene, la lista della spesa delle 18.30 a PaRecchia al Tre deve essere stata assai eloquente anche per uno che non abbia la mia tara da osservatrice.

Mood: sereno
Reading: David Grossman, L’uomo che corre, Michael Tzidon, Myke
Listening to: Bon Iver in live, tra un’ora
Watching: zaini e sacchi a pelo nel corridoio d’ingresso
Eating: cioccolato fondente
Drinking: te



#1

I Mustache Prawn – di cui su questo blog si tessono ampiamente le lodi – sono su Puglia Sounds New, una compilation alla sua terza edizione che raccoglie in diciannove tracce il ben di dio della scena musicale di Puglia e che uscirà in allegato – senza pecunia aggiungere – al numero di XL da domani in edicola. Maggiorni info sono sia sul sito di Puglia Sounds che su quello di XL.
A presentare i Mustache Prawn per Puglia Sounds New ci pensano, come sempre e come sempre bene, Gianvito e Alberto.
https://vimeo.com/52379767

Alla compilation, è associato un concorso che premierà la band la cui clip di presentazione risulterà la più votata dagli utenti del web. Si vota, udite, udite!, sulla pagina facebook di XL, a partire dal 31 ottobre. L’artista vincitore avrà la possibilità di realizzare un videoclip professionale – lo so, attualmente i Mustache Prawn hanno già in attivo due videoclip professionali, Pullover e Never thing so long, visto che ci pensano Gianvito e Alberto – e di esibirsi con i Boom da Bash, i Mellow Mood – che su questo blog sono conoscono – e il Teatro degli Orrori, durante la XL che si svolgerà domenica 2 dicembre, presso Il Teatro Kismet di Bari.

Tutti al voto per i Moustache Prawn! [qui il link diretto]

#2

Laura Guilda, fashion designer emergente di base a Milano – nonché da me medesima conosciuta, sicché a buona ragion(veduta) consigliata -, partecipa al MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award 2012 con la sua collezione Stitch’n spots – in continua espansione –.

MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award 2012 offre al designer vincitore la possibilità di realizzare una capsule collection per Muuse, oltre che una certa visibilità. Io direi che Laura lo meriterebbe – sarò anche di parte, ma a me il giaccone di feltro piace assai –.
Il popolo del web è chiamato a costituire la rosa dei dieci fashion designer finalisti, a partire dalla quale una giuria adeguata selezionerà il vincintore. Si può votare fino alla mezzanotte del 20 novembre e votando, si entra a far parte di un sorteggio per il perfect cocktail dress esticazzi!, disegnato per Muuse da Heidi Paula, il duo vincitore della scorsa edizione di MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award.

Tutti al voto per Laura Guilda! [qui il link diretto]

Mood: sereno
Reading: Zadie Smith, The Book of Other People
Listening to: vociare e musica nel vento
Eating: riso freddo ancora
Drinking: birra amara con retrogusto di agrumi



Eravamo sedute sulla piccola scoscesa di sanpietrini che, superata la balaustra di pietra bianca e il via vai dei chiunque, finisce nel Naviglio Pavese, Yanna e io a bere una birra amara e chiacchierare mentre Milano si increspava e scorreva via con l’acqua e c’erano nell’aria la musica francese e nel cielo un pugno di stelle, quando ho tirato su lo sguardo e sono stata costretta a frenarlo in quelli di un uomo e di una donna tutti presi a osservare noi che bevevamo una birra amara e chiacchieravamo mentre Milano si increspava e scorreva via con l’acqua e mi è sembrato che questa cosa le loro facce stupite voglio dire dovessero avere un senso in più perché quando ho riportato lo sguardo nella birra sul Naviglio per rialzato subito dopo l’uomo e la donna erano ancora lì a osservare noi che bevevamo una birra amara e chiacchieravamo mentre Milano si increspava e scorreva via con l’acqua.
Allora l’uomo che era tutto un sorriso ha detto di star pensando che d’accordo sarà che a cinquantatrè anni si è un po’ rincoglioniti, ma il Naviglio e noi due appollaiate sul limitare a parlottare dei fatti nostri questa cosa qui gli sembrava molto romantica a Milano dove non capita spesso di.
E io che a questo punto ero tutta un sorriso anch’io gli ho detto che questa cosa qui era un modo per trovare poesia a Milano ‘ché esiste la poesia a Milano anche se la donna che era tutta un sorriso aveva ribattuto che a Milano si fatica a riconoscerla.
E l’uomo che era tutto un sorriso ha concluso con un sorriso più grande ancora ‹‹Voi ci riuscite›› ed è andato via con la donna che era tutto un sorriso

e anche il marmocchietto traballante sotto una pila di bicchieri di plastica che chiedeva con insistenza se avessimo finito la birra per poter ricavare qualche spicciolo dal vuoto a rendere al birrificio anche lui era tutto un sorriso,
Milano intera era tutta un sorriso mentre si increspava e scorreva via con l’acqua.


Devo ormai riconoscere che negli ultimi giorni Milano si fa spazio tra i miei pensieri una badilata emotiva dietro l’altra. Ma questo è l’inizio di una storia che non racconterò stanotte.

Mood: da letargo
Reading: Zadie Smith, The Book of Other People
Listening to: Milano che diventa sola in estate
Watching: strisce di luce sul pavimento
Eating: riso freddo
Drinking: acqua a volontà



Mancava solo la spilletta de Il blog affidabile a intronfiare questo blog la potete vedere in fondo alla pagina – finché non cambio layout che anche questa è una cosa che mi sta ronzando nel cervello da qualche settimana, poi non so ancora dove si sposterà – ! Ad appuntargliela è stata eklektike che io ringrazio tanto mi ha fatto super piacere non me l’aspettavo insomma grazie di cuore.
Il premio Il blog affidabile è un’iniziativa del sito GliAffidabili “con un duplice obiettivo: da una parte offrire un riconoscimento ai blogger meritevoli per farli conoscere ad un pubblico più ampio, dall’altra aiutare gli utenti Internet a scoprire i blog più affidabili in rete sui diversi argomenti”. Per informazioni più dettagliate si rinvia alla pagina dedicata al premio.

Tra i cinque punti che il premio dice essere buona norma per un autentico blog affidabile, quello che più mi piace è

“Favorisce la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori”

un punto che a me sta molto a cuore e sul quale ho riflettuto e discusso più di una volta con Eta che ce l’ha a cuore quanto me, quella donnina e io abbiamo proprio sangue promiscuo.
Il punto è che blog come i nostri più in generale modi di vivere come i nostri, ci vuole poco ad accusarli di egocentrismo egotismo autoreferenzialità autocelebrazione. Dopotutto se “io” è il vocabolo più in primo piano nei nostri discorsi, di cos’altro ci si potrebbe accusare?
– Suggerisco – per esempio, di nutrire – oltre a una certa innegabile dose di ego[…] e auto[…] – una consapevolezza molto forte del fatto che ogni essere umano è centro percettivo e (ri)creativo nei confronti del mondo reale, in opposizione a una più generale fede di sopravvivenza in verità ontologiche assolute nascoste in arche divine – dopo un secolo di relatività e relativismo è difficile a dirsi, eppure –. Sicché dichiarare l’io è un atteggiamento di onestà intellettuale, ti racconto quello che io percepisco come io vivo, tu cosa percepisci come vivi?, eppure.
Io, però riconoscermi come focolare primordiale del mio mondo non mi basta, ho l’impressione che niente sarebbe più terrificante di bruciare e diventare cenere per me stessa e in me stessa. Io, tutto quello che faccio e che esprimo giorno per giorno la mia vita intera è il tentativo gigantesco di arrivare, io agli altri gli altri a me, di comunicare nel senso più genuino che ci sia cioè una disposizione umana a mettere nel mezzo – non per altro sfrutto l’etere, altrimenti sulla carta andavo alla grande – ‘ché due più due dimostra come noi uomini ci assomigliamo tutti un po’ nei costrutti amniotici, quello in cui differiamo è l’attitudine a sentirci vivere e a raccontarlo cosicché qualcun’altro possa sentirsi vivere – e raccontarlo –, succede così ed è catartico.
Io, se un po’ ci riesco nei miei tentativi per riuscirci, la soddisfazione non la nascondo
e ringrazio ancora tanto eklektike.

Adesso voglio anch’io distribuire le cinque spillette che ho a disposizione avendo ricevuto la mia. Tutte le scelte che ho fatto rispettano i cinque punti elencati del premio GliAffidabili, ma soprattutto s’incuneano nella suddetta disposizione a parlare a tanti partendo dall’io, perciò una spilletta a Eta dorme sui pesci volanti – la prima perché io ho imparato a coltivare questo spazio d’etere leggendo e osservando il suo – una a Claudiappì, una a Uova di gatto, una a Andrea Devis, una a Castelli in Aria, con una piccola eccezione alla regola, ma con la certezza che tornerà presto a scrivere. Altre due che non ho, ma che faccio finta d’avere le do a Purtroppo e a Alcuni aneddoti dal mio futuro, ecco fatto.

Io non li avviso però, eh. Suggeriteglielo voi con le vostre visite.

Brezsny dixit, cit.

giugno 14, 2012

Mood: irrequieto
Listening to: l’acqua che scorre da un rubinetto che non si può chiudere per bene
Watching: CocoRosie – We are on fire, videoclip
Playing: a restare [ovunque sia]
Drinking: caffè
Eating: cornflakes



Leggendo Brezsny dixit sul blog di Susannasì sì e sì sono in arretrato con tutti gli scervellamenti e gli svisceramenti 2.0 di cui mi piace sapere – m’è venuta voglia di sapere cosa avesse da dire Brezsny su di me – e su quelli come me nella tavola dello zodiaco, s’intende –.

Adesso, io vado tutt’altro che a braccetto con gli oroscopi, ma Brezsny pronostica principi, faccende e meccaniche che potrebbero essere applicati alla vita in generale non solo a un pugno di segni zodiacali.
Io stamattina avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, sicchè

Quali atti incarnano meglio la virtù del coraggio? Combattere sul campo di battaglia da buon soldato? Denunciare la corruzione e i soprusi? Scalare una montagna insidiosa o navigare su una zattera lungo un fiume dalle acque agitate? Sicuramente, tutte queste cose rispondono ai requisiti. Ma l’architetto francese Fernand Pouillon la vedeva diversamente: “Coraggio significa saper essere se stessi, mostrare una totale indipendenza, amare quello che si ama, scoprire le radici profonde dei propri sentimenti”. È esattamente il tipo di coraggio al quale sei più capace di attingere in questo momento, Cancerino. Perciò procuratene in abbondanza.

[8/14 giugno 2012 – Compiti per tutti. Per le prossime sette mattine, appena ti svegli canta una canzone che ti riempia di speranza.]

E Brezsny me l’ha detta giusta – Si ringrazia Susanna –.
Al punto tale che da ieri sera ne sto scrivendo qualcosa in merito.

Mood: divertito
Listening to: i movimenti della mia famiglia attorno a me
Watching: Alice in Wonderland di Tim Burton tra un po’ con mamma, papà e sorella
Playing: sotto la pioggia e a gradi sotto zero
Eating: risotto alla zucca e focaccia
Drinking: tea, durante un high tea che è una cosa simil così



Si sente nell’aria. Si vede nei portafogli.
Lo Stato olandese sta optando per il cambio di sistema monetario. Il Conio è già all’opera. Scende in campo il Pinguino Verde.
Reazione alla crisi economica mondiale, su questo pochi dubbi.

Quello che ci si domanda invece è se il suddetto Stato olandese non stia sondando il territorio facendo scivolare pezzi della nuova moneta nei portafogli dei suoi cittadini per richiederne l’approvazione all’inserimento ufficiale solo in caso di successo e benessere comunitario.
Le prime dichiarazioni provengono niente poco di meno che da mia sorella la quale ha manifestato la sua soddisfazione in primo luogo su un tram Den Haag- Rijswijk ridendo sguaiatamente per trenta minuti e in secondo luogo su feisbùc il noto social nètuorc del uord uaid uèb:

‹‹Italiani che provano a fregare gli olandesi con la monetina dell’autolavaggio a catania e olandesi che rifregano la sottoscritta al tabacchino. Pinguino, we ♥ u soo much!››

Dai primi dati raccolti, sembrerebbe dunque che l’opinione pubblica reputi il Pinguino Verde molto ma moltomoltissimo più simpatico dell’euro.


(Il fatto è che mia sorella è davvero molto bella quando ride,
chiunque dovrebbe vederla)



***

Rettifica di qualche ora dopo, a seguito di più di un equivoco e numerose domande.
Sì, il Pinguino Verde esiste.
No, il Pinguino Verde non è una nuovo conio olandese, è il gettone di una catena di autolavaggi in Italia che un tabacchi in Olanda ha rifilato a mia sorella qualche giorno fa al posto di una moneta da due euro, ha affrontato un viaggetto notevole questo Pinguino Verde, ma nelle tasche di mia sorella si ferma perché lei sembra non aver intenzione di girarlo ulteriormente, se la ride assai. Il Pinguino Verde con l’idrante.

Mood: nervosetto
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Liftiba – Il mio corpo che cambia
Watching: The artist di Michel Hazanavicius
Playing: sul pavimento della mia nuova piccola casetta su terra olandese
Eating: assai, succede sempre così quando si torna in famiglia per le vacanze
Drinking: succo al mirtillo frizzante



La rivelazione è che Titanic in lingua originale si ricapitola senza infamia e senza gloria con un loop di

‹‹Come on››

‹‹Truste me››

‹‹I promised››

per finire con un sacrosanto

‹‹Come back››

(senza dimenticare la declinazione in tutte le salse e in tutte le minestre del verbo ‹‹sink›› che mi sembra pure il minimo trattandosi del Titanic)

e mica perché non capisco l’americano stretto con lo straccio in bocca, io, gente sfiduciata, va bene, anche un po’ per quello, ma solo un po’!

Detto questo, cosa io ci facessi in un cinema a Den Haag di sabato sera a vedere Titanic in 3D per il centenario dell’incresciosa questione, bisogna parlarne con mia sorella la quale ha dichiarato con profondo coinvolgimento personale la necessità tanto sentimentale, quanto ormonale di dare una ripassata agli anni novanta che lei e io Titanic quando è uscito, avevamo lei cinque anni io otto e la videocassetta di mia zia l’abbiamo consumata a forza di guardarlo e piangere che in confronto le cascate del Niagara erano fontanelle di paese tanto più perché Leo di Caprio faccia acqua e sapone e caschetto biondo aveva scoccato le sue frecce dorate anche nel nostro cuore, una storia d’amore tremendamente pop nel popolo femminile anni novanta, così tremendamente pop che io la tenevo nascosta sotto i piedi, così come il poster dietro la porta in camera, e durante il giorno ci sputavo sopra e facevo sfoggio delle migliori espressioni di cinismo a disposizione, figurati se mi innamoro di uno del quale si innamorano tutte IO che nella vita i sintomi di disagio non ho tardato a farne sfoggio e già sto cascando in una disamina sui miei tentativi precoci di essere aria e amare ed essere amata sopra il pian terreno, ma vaffanculo non è serata non è momento che poi Titanic se fai i conti è otto ore mano nella mano di cui la metà almeno è uno scappa e fuggi su e giù e avanti e dietro lungo la nave, una scopata, un paio di pomiciate e qualche bacetto qua e là per il dramma meglio riuscito del decennio passato, un amore pop che al confronto i miei amori sopra il pian terreno non si discostano chissà poi quanto e lo ammetto, sono cascata di chiappe dentro un cortrocircuito, non so se mi spiego, neanche Titanic mi riesce di andare a guardare senza farmi traumatizzare e soffrire di rimescolio emotivo un paio di gradini più su della semplicissima versione dei fatti quella nuda e cruda senza sovrastrutture narrative e cioè che Titanic in 3D – ribadisco, in 3D e con questo dovrei già aver ampiamente espresso la mia visione dei fatti, Cameron volpacchiotto – per il centenario dell’incresciosa questione in un cinema a Den Haag di sabato sera con il pacco medium dei pop corn che solo l’odore viene da rimettere e la signora nella poltrona a fianco che invita al silenzio a ogni bisbiglio, insomma, è una faccenda tanto, ma tanto assai trash ed esilarante da meritare di essere vissuta, voto dieci più alle lacrime di mia sorella che non si sono fatte mancare neanche alla trecentomilionesima volta.



‹‹Come back››

Mood: affranto e sconsolato
Listening to: Lana del Ray – Born to die
Eating: quando avrò forza per cucinare
Drinking: caffè, chiaramente




‹‹Vi vedo

‹‹stanchi››

(…)

‹‹sciupati››

(……)

‹‹provati››

(………)

‹‹pestati››

(…………)
Dopo di che, al prossimo, come ha notato Zulio, spetta l’onore del

‹‹morti in piedi››

Senza considerare frammenti più aulici come ‹‹Sembri uscita da un film di Tim Burton›› o ‹‹Sembri uscito da Apocalypse now››, in seguito ai quali al prossimo, sempre come ha notato Zulio che è in vena di notazioni, spetta l’onore del ‹‹Sembri uscito da Freaks››.
Che scenario piacevole!

Dice Zulio frustrato ‹‹Una cazzo di volta che mostro il mio muso al mondo, cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?››. Dico io frustrata ‹‹Non guardarmi in faccia, per piacere, la mia condizione mi imbarazza.››


E tutto questo, malgrado le radici vichinghe energizzanti, due al mattino a stomaco vuoto. Radici vichinghe il cui unico merito, bisogna riconoscerlo, è l’esser state muse per questo gioiello della creatività di Yanna.




Voglio essere ricordata così.

Mood: annoiato e divertito, mai sia un solo sentimento alla volta!
Reading: Ho freddo alle calze di Eta (brividini)
Listening to: Le luci della centrale elettrica – Un campo lungo cinematografico
Watching: la pioggia
Playing: a trotterellare da un negozio a un altro per procurarmi una tessera ricaricabile per i mezzi di trasporto pubblici olandesi
Eating: cereali
Drinking: caffellatte






Impazzire, giorni interi, per capire il nuovo funzionamento dei mezzi in Olanda.
Riuscirci.
Impazzire, altri giorni interi, per entrare in possesso di tutto il necessario.
Riuscirci.
Uscire di casa finalmente stamattina per prendere il bus 130 che porta a Delft – un giro al mercato e un cappuccito all’Uit De Kunst (persino il sito uèb di questo locale è strafigo!)
Scoprire che acquanevica.
Rientrare in casa per infilarsi negli impermeabili – mai ci furono colori più appropriati!
Uscire di nuovo di casa.
Scoprire che acquanevica più forte e si è alzato un vento da botte.
Rientrare in casa per restarci ‹‹finché non spiove››.

L’esito demenziale è in cima alla pagina: ‹‹Mamma, fai “yo”!››
… 8… 9… 10, click!
Groeten uit Holland!
(Mia mamma è una figa!)


Il fatto è che sto dando di cotenna. Ho urgente bisogno di sfuggire a questa stasi e muovermi, muovermi, muovermi, vedere, fare, viaggiare – e sai la novità?! -. Sicché, potresti, caro caso, non remarmi contro? Cristiddio! Riproviamo a uscire.

Mood: divertito
Reading: Alan Moore & David Lloyd, V per vendetta
Listening to: Negrita, Dannato vivere
Eating: cioccolato fondente
Drinking: tisana alle erbette



AVETE MAI VISTO I PUFFI E PIPPO BAZZICARE DI SERA PER LE COLONNE? alcuni si!

alcuni vogliono chiamarlo flash mob, altri lo chiamano ritrovo di babbi, altri movimento artistico, altri ancora semplicemente “figata”, tendenza culturale, espressione giovanile dell’underground milanese, festa in maschera, gigante appuntamento al buio, la ricerca di puffetta, ecc ecc…

Fatto sta che venerdì 28 ottobre l’accesso alla piazza del colonnato è riservato e caldamente a disposizione di chiunque volesse passare una serata in compagnia di altre persone che hanno deciso di prendere a pugni la banalità e uscire di casa travestiti da un personaggio diverso a libera scelta!

esempi utili:
pippo
puffi
uomo tigre
gladiatore
lavandino
spongebob
charizard
lady oscar
cappellaio matto
bart simpson
pochaontas
ciccio.

ma poi, scatenate la vostra fantasia, vale tutto!


Questa la réclame per l’evento Travestiti (in costume) in Colonne, pubblicizzato su feisbùc qualche tempo fa.
Ebbene dunque. Facendo d’ingegno virtù, Yanna, Lou, l’amico Claudio ed io, ci siamo dati da fare per una vestizione low budget, impiegando abiti di possesso più un mestolo per uno Specchio delle brame, un sacco della spazzatura per un mantello ed un mascherino, tre asciugamani per un’impalcatura da culo del Settecento, un rotolo di stagnola per ogni varia ed eventuale e spille da balia a volontà.


Non che Mercoledì, la Strega di Biancaneve, Zorro e la Sorellastra di Cenerentola c’entrassero molto l’uno con l’altro, ma come per l’ingegno, eravamo certi che avremmo fatto della nostra discrepanza virtù, un cocktail di personalità e facoltà come le nostre si sarebbe per certo risolto in una squadra di supereroi. Tant’è vero che, nel corso della serata, abbiamo, in ordine cronologico, (oltre che allegramente cazzeggiato con altri ignoti travestiti, sott’inteso) assistito un diciannovenne sconosciuto sulla strada del coma etilico fino all’arrivo dell’ambulanza, interrotto un qualcosa di simile ad una rapina da parte di due pusher alla loro amichetta strafatta – per inciso, Milano dopo mezzanotte è il male di vivere – e persino sollevato una bicicletta accasciata contro un lampione. Al che eravamo tanto calati nella parte che, ad un semaforo, Zorro ha ritenuto doveroso girarsi verso due ragazze ferme dietro di noi per chiedere tutto serio ‹‹C’è bisogno d’aiuto?››.

La faccenda principale però è un’altra. Prendiamo Milano, l’exploit del corri, corri generale, dei musi lunghi, dell’indifferenza e delle regole imposte a priori, ma se preferiamo, Roma e Bari o un’altra città qualsiasi del mondo. Liberiamo dalle gabbie un manipolo di ragazzi travestiti e riversiamoli con naturalezza in metro, per le strade, nei locali, un po’ dovunque. Poniamo anche come assunto fondamentale che non sia il giorno di Carnevale, ma neanche quello di Allovuìn, ché ormai l’abbiamo ampiamente adottato.
All’improvviso il corri, corri generale, i musi lunghi, l’indifferenza e le regole imposte a priori subiscono una pausa, la reazione è istintiva e non potrebbe essere diversamente, un qualche tipo di follia si è infiltrato nel tessuto della normalità condivisa. C’è chi trattiene le risate e passa oltre, chi sorride, chi se ne frega e ride, chi suona i clacson e gesticola, chi saluta e chi acclama, chi si preoccupa di ricordare che è presto per Carnevale ed anche per Allovuìn, chi fa domande ed attacca a chiacchierare, ‹‹E tu chi sei?››, ‹‹Io, Genoveffa!››, ‹‹Ma dov’è la festa?››, ‹‹Quale festa? Non ce n’è!››, ‹‹E allora perché sei vestita in questo modo?››, ‹‹Perché stasera m’andava così!››, insomma, cosa cambia rispetto alla maschera che indosso a calzamaglia per sfilare nelle vie di tutti i giorni? Cosa rispetto a quella che indossi tu, ora e qui? La forma, non certo il concetto! Sant’iddio, babe, sembri sconvolto! Hai forse dimenticato che gli uomini tutti santificano Carnevale ed Allovuìn ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo? Per chiarimenti, battere un colpo alla Pirandello & Co s.r.l. Mi piacerebbe, lo ammetto, ma non sono stata io a raccontare per prima questa storia.

Così pensavo ieri sera. E dentro di me sorridevo a iosa. Per quanto mi riguarda, a sorprendermi è solo la facilità con cui si può crepare il corso naturale del reale per come lo abbiamo conciato ed indossato.

Mood: critico
Watching: V per vendetta
Playing: a non scivolare nella minaccia della febbre
Eating: patafaccine al forno
Drinking: birra, un bicchiere



Con la nausea in faccia a causa di un pranzo troppo abbondante seguito da un viaggio in macchina a curve ampie, senza spazio alcuno per la digestione, Laura, Zulio ed io siamo discesi dalla montagna, non solo sani e salvi, nonostante il freddo, ma neanche sciupati, anzi, con una bella pancetta incipiente ciascuno sotto i felponi, eccicredo con tutto il cibo e tutto il limoncello che non ci siamo negati, fortuna che quest’anno va di moda l’oversize! Dopotutto, è la regola non scritta che al rientro i bagagli debbano essere sempre un più pieni!
Ebbene, Laura, Zulio ed io non ci siamo risparmiati e, non soddisfatti delle pancette insipienti, ci siamo portati nella discesa, sorrisoni in faccia di felicità e soddisfazione, l’incipit del nostro super maxi progetto da fare assieme che il momento non è il più opportuno per raccontarlo, ma che tra qualche giorno forse sì. Ed allora ancora acqua in bocca, ma una cosa mi sento di dirla senza sforare nelle anticipazioni, la bellezza principe di questo nostro super maxi progetto, ma fondamentalmente anche di tutti i più piccoli che portiamo avanti insieme, è lo spazio sinaptico che sta venendo a concentrarsi tra la depurazione quotidiana delle parole che adottiamo per raccontarci tra noi da imbarazzo ed alterazioni e lo scorrimento rapido e concatenato del nostro lavoro creativo, sicché la prima cosa non può prescindere dalla seconda e la seconda non può prescindere dalla prima con un andamento organico che a me culla massimamente il cuore ed il cervello, incitandomi a non arrestare né l’uno, né l’altro.

Ed ora, per la serie, “gente presa male fuori, ma presa bene dentro“, ecco il dietrolequinte di tutto questo blaterare firmato da tutt’e tre ed accuratamente selezionato, ma neanche troppoassai effettivamente!


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Mood: ridarellante
Listening to: il traffico, sempre il traffico, della strada e dei pensieri
Playing: a trattenere la pipì
Eating: caffè latte con abbracci a mollo
Drinking: vedere la voce superiore



Si stava una mattina della settimana scorsa Zulio ed io a fare le lagne, sbattuti per terra come stracci, prima dell’inizio di una lezione, la prima dell’anno accademico, ad essere onesti, e già si desiderava la libertà da qualsiasi corso, ‹‹Sai cosa?››, ‹‹Perfettamente, baby, perfettamente!››, un viaggio ci vorrebbe per riprenderci, un viaggio spirituale, di quelli che si spegne il telefono, si abbandona internet ed addio mondo, un ritiro spirituale e pure creativo, di quelli che l’attività principe è la caccia delle idee, chessò, su, in montagna sarebbe perfetto e… occazzo!, bisogna, proprio bisogna! e reputando Laura la nostra proposta interessante – ché Zulio, Laura ed io si ha nelle teste un super maxi progetto da fare assieme, ma questa è una storia parallela ed il momento non è il più opportuno per raccontarla – s’è stabilito “il ritiro spirituale e creativo” per questo week-end, sicché tra pochissimo ci si infila in macchina, sovraccarichi di vivande, e si imbocca l’autostrada, in direzione paesino sconosciuto di montagna, frazione di un paese sconosciuto in Piemonte, dove i nonni di Laura hanno una casa di proprietà inutilizzata da tempo indefinito.
Ci sono cose che capitano sempre a fagiuolo, la casa dei nonni di Laura è stata per i nostri sogni un grandissimo fagiulio, non fosse per quel piccolo problema, a dir il vero simpatico, dell’assenza del rimpianto* di riscaldamento, acuito dal fatto che la casa sia ormai inabitata da un po’ e che su in montagna si prospetti gelo e tempesta, sicché Zulio, Laura ed io, animi pavidi, s’è deciso, per aggirare l’ostacolo, di partire trasportandoci dietro un armadio di maglioni di lana ed un piumone cadauno più qualche quintale di teh, oltre che una cassa di birra ed un limoncello, ché, è risaputo, l’alcool riscalda, ammazza se riscalda!, sembra d’essersi preparati ad un viaggio selvaggio in Alaska!, che poi sto viaggio è praticamente tutt’altro che into the wild, considerato il tir traslochi che richiederebbe il quantitativo di roba che abbiamo con noi!
Come che sia, per sfumare con un brivido in più la nostra avventura, abbiamo comunicato ad un paio di amici il nome del paesino sconosciuto di montagna in cui stiamo andando a rifugiarci e li abbiamo ammoniti categoricamente di preoccuparsi qualora domenica sera, data prefissata per il ritorno alla civiltà, non dovessero ancora ricevere nostre notizie e provando a chiamarci insistentemente i nostri telefoni cellulari dovessero risultare ancora spenti, caso quest’ultimo nel quale sarebbe opportuno cominciare a preoccuparsi e venire a cercarci, ché il rischio, esteticamente notevole però, è di ritrovarci statue di ghiaccio tra le sterpaglie di qualche bosco, alle bacche velenose, invece, stiano tranquilli, sopravviveremo. Nulla da dichiarare in aggiunta, a parte la postilla a piè pagina che Zulio, Laura ed io non siamo ancora partiti, anzi, nel migliore dei casi dobbiamo ancora buttare l’armadio in valigia, ma il nostro viaggetto è già poema epico.

Ebbene dunque, au revoir con un sorriso!


* o forse sarebbe più opportuno al caso il termine “impianto”. Ho riscoperto l’errore alla rilettura del testo, ma ho deciso di non correggerlo, anzi di sottolinearlo, perché mi risuona nell’orecchio come un lapsus froidiano interessante, essendo io nella condizione di fare più pensieri alla volta e tutti insieme, così come di parlare di un isolamento in montagna e contemporaneamente di pensare ai rimpianti, brutto, brutto termine per altro, a mio parere, ho sempre cercato di non adottarlo nel vocabolario del mio vivere, ma in un qualche modo ha finito per rientrare tra i motivi originari di questo isolamento.

Mood: affaticato
Listening to: il traffico sotto la finestra
Watching: Essere John Malkovich, di Spike Jonze
Playing: a sprofondare sotto montagne di cuscini
Eating: ovetto al tegamino
Drinking: esageratamente caffè



In virtù di un atto solenne e legittimo, ho adottato il termine “substrato”. Sì, adottato. Esiste questa Società Dante Alighieri – io l’ho scoperto sul blog di Claudiappì, appena l’altra sera, facendo blogzapping – che ha promosso una campagna di adozione di parole italiane che stanno andando nel dimenticatoio, minacciando di consegnare la lingua del Bel Paese al lastrico culturale. Ebbene io che marcio al grido di “Le parole sono sacre, le sfumature linguistiche anche, per non parlare dell’etimologia e della sensazione tattile che trasmettono”, io che se utilizzo una parola è perché ho valutato tutti questi aspetti ed ho deciso che non è sostituibile con nessun’altra, ebbene io mi sono sentita chiamata in causa.

Ho scelto “substrato” tra mille mila altri lemmi, dato quest’ultimo massimamente inquietante, e mi sono impegnata ad utilizzarlo tutte le volte che se ne presenti l’occasione, la faccenda è ben certificata.

“Congratulazioni: la tua richiesta di adottare la parola substrato
è stata accettata;
Da oggi sarai il custode della parola fino al 15/10/2012”

In verità c’erano, per esempio, i lemmi “titillare” e “pantagruelico” che mi stavano particolarmente simpatici, ma risultavano già adottati, ed il lemma “fotofobia” che mi stuzzica per un’emblematica quanto paradossale faccenda che mi vuole fotofobica ed apprendista direttrice della fotografia, impegnata a lavorare cioè con la luce, ma alla fine “substrato”, ho pensato, mi calza proprio bene, a misura direi, perfettamente.


Substrato

biologico

biotico
abiotico

emotivo
linguistico
onirico

creare
stratificare
eliminare

d’interferenza

procreativo
marcente

(eccetera)

Mood: bisognoso di tutto
Playing: a giocare
Listening to: uno ronzio monocorde nella testa
Eating: insalata di grano
Drinking: caffè




Ascensore. Luce al neon. Specchio.


Io, sconfortata ‹‹Senza trucco sono proprio oscena in questi giorni!››
Madre, tutta seria ‹‹Madò, sì! Guarda che occhiaie!››

Tre puntini di sospensione.



Da oggi in avanti ribattezzo ufficialmente mia Madre “Conforto&Speranza”

De Senectute

ottobre 5, 2011

Mood: lo stesso di qualche minuto fa
Playing: a procacciarmi il sonno e la voglia di struccarmi
Listening to: musica non meglio decifrata dagli auricolari di mia sorella
Drinking: acqua



Bari, via Melo. Un vigile urbano chiude la strada al traffico col suo panzone, mentre un gruppo folto di ragazzetti e ragazzette tiene d’assedio la Feltrinelli, premendo contro le vetrine. C’è eccitazione nel pulviscolo e c’è brusio nell’aria.

Mi avvicino spavalda ad un gruppetto che si stringe attorno ad un vespino dal quale un ragazzetto con macchina fotografica digitale fa da vedetta pugliese sulla folla.
‹‹Scusate ragazzi, ma chi c’è in Feltrinelli?››
‹‹Entics!››
Mi blocco, totalmente assorbita dal tentativo di trattenere per bene dentro gli occhi e con tutto il corpo la mia ignoranza in merito ad un tale di nome Entics, tanto più di fronte ad un gruppetto di ragazzetti, non fosse che mi si fa vicina una signora.
‹‹Chi è che sta dentro?››
‹‹Entics, signora! Non mi faccia domande che all’improvviso mi sto sentendo vecchia!›› le bisbiglio tra i denti, ma i ragazzetti mi sentono eccome.
‹‹Entics, un cantante emergente, Entics! Cerca su YouTube che lì trovi tutto. Pure Mina!›› il che mi sembra troppo davvero, già mi ha ripetuto mille volte “Entics”, neanche fossi rincoglionita.
‹‹Hei bello, mo non esageriamo, che non sono vecchia fino a sto punto!››

Ovviamente, appena mi sono collegata ad Internet sono andata a vedere chi diavolo fosse questo Entics. Ancora più ovviamente, nella barra di ricerca di Google ho digitato “Entix”, al che Google mi ha avvisata che forse cercavo Entics. Gli ho dato ragione e sono incappata in questa roba qua. Mbah, quanto mi basta e mi avanza!


La Sentenza della Nonna

luglio 11, 2011

Mood: quieto
Listening to: il ronzio che da ventiquattr’ore mi tormenta le orecchie, dannate siano le discoteche!
Watching: la mia nuova pelle bronzo
Playing: a non pensarCi
Eating: avanzi di torta salata spinaci e ricotta
Drinking: spritz per brindare al saluto dell’Amico mio che riparte dalla terra madre



Si stava sedute a pranzo, madre, sorella, nonna ed io, davanti ad un sano piatto di orecchiette fatte in casa al sugo fresco e si chiacchierava del più e del meno in vernacolo barese e provincial-barese, tanto per ridercela un po’, tra cadenze marcate e modi di dire prettamente nostrani.


Io ‹‹Mà, a settembr mi à accattà l vestagliett secsi!››
‹‹Mamma, a settembre mi devo comprare le vestagliette sexy!››

Madre ‹‹Ci ha fo a settembr?››
‹‹Cosa devi fare a settembre?››

Io ‹‹Ji ha trnà a fa la vita mè!››
‹‹Devo riprendere la mia vita indipendente!››

Sorella ‹‹Sè, av à dorm cu cuscen!››
‹‹Sì, deve dormire in compagnia del cuscino!››

Io ‹‹Auand’! U bove ca disc cornut a u ciucc!››
‹‹Senti questa! Il bue che dice cornuto all’asino!››, ovvero ‹‹Critichi tu proprio che sei nella mia stessa condizione!››

Madre ‹‹Dorotè, pinz ad acchiart n’omn, ji’ot ca i vestagliett secsi!››
‹‹Dorotea, pensa prima di tutto a trovarti un fidanzato e poi a comprarti le vestagliette sexy!››

Nonna (all’improvviso e seria e intristita in volto) ‹‹Je m sent ca l’omn p Dorotè nan c stè sop a chuss Munn…››
‹‹Io ho il sentore che l’uomo per Dorotea non esiste su questo Mondo…››

Silenzio interdetto, anche lui protagonista non indifferente.

Io ‹‹Popizz!››
‹‹Le pizzette al pomodoro!›› ovvero ‹‹Stocazzo!››


Dopo accurate valutazioni, ancora non ho deciso come interpretare una tanto corposa sentenza. Al momento, le alternative principali sono quattro.

La prima, quella più semplice. L’uomo per me è un marziano, vallo a pescare da chissà quale buco nero, nonna non ha saputo fornirmi grandi indicazioni a riguardo, nonostante la mia insistenza.

La seconda, quella della disperazione. Sto ai piedi di Cristo, ovvero nessun uomo mi si piglia e mai mi si piglierà, al punto tale che posso iniziare fin d’ora a dedicarmi anima e corpo ai gatti.

La terza, quella più scientifica. Nel momento proficuo in cui stanno sperimentando le crociere spaziali, mi viene concesso dal fato l’esperienza immaginifica e magnifica di incontrare l’uomo per me sulla Luna.

La quarta, per ovvi motivi quella da me preferita. Sono una donna ad un livello tale di splendore e perfezione che nessun uomo potrà mai eguagliarmi o meritarmi, sicché l’uomo per me non può che essere un dio. Anche in questo caso, in un qualche modo, sto ai piedi di Cristo.

Mbah!


* chiedo umilmente scusa per il modo sbagliato in cui ho scritto il dialetto. Si fa quel che si può.