Strutture essenziali
marzo 31, 2014
Mood: zen
Reading: Margaret Mazzantini, Venuto al Mondo
Listening to: Meg – Succhio Luce
Watching: The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson
Eating: con la cannuccia
Drinking: caffè con cannuccia
Comunque vada e ovunque vada, l’artefice della propria vita che si trovi a tras-locare dalla benevola condizione della sua normalità a una realtà del tutto nuova si darà con vigore a ricostituire la forma ideale del proprio spazio esistenziale, essendone mosso il desiderio dalla necessità nonché dalla nostalgia.
Un anno fa ero appena arrivata in Olanda, un anno lento e pesante che ha richiesto uno sforzo esagerato alle mie risorse di entusiasmo. Vivevo all’epoca una specie di atarassia trasformatasi in inadeguatezza sensoriale nei mesi seguenti. Mi aspettavo che in capo a qualche settimana tutta la mia vita si sarebbe riconformata e non soltanto con l’assolvimento dei fatti burocratici, un indirizzo civico e qualche lavoro temporaneo, quanto piuttosto attorno a piccoli embrioni di rapporti e circostanze ideali. Per un lungo periodo di tempo le cose non sono state elettrizzanti. Trovavo la situazione particolarmente frustrante. Mi sembrava che la vita si svolgesse troppo lontana da me. E ci sarebbe da dire che mortificavo i miei piccoli ottenimenti quotidiani tanto più mi crucciavo con l’aspettativa di qualcosa di meglio. Intanto, ne smuovevo di cose e di cose ne accadevano!
L’ho compreso in un abbraccio. Non uno come quelli di circostanza, ma un abbraccio così d’impulso da essere totalmente fuori luogo: una sera in un ristorante fra gente sconosciuta, mentre servo ai tavoli un pasto dietro l’altro tre per volta, bottiglie di vino e vassoi di bicchieri instabili. L’imprevedibilità dell’evento ha di che svuotarmi da ogni asprezza. Mi sento in pace. Respiro stretta contro una spalla amica in Olanda e a mia volta stringo forte.
Ho realizzato in questo momento che, dozzine di volte nel corso dell’ultimo anno, ho sentito mancarmi gli abbracci, chi si muove poco dalle proprie amicizie e consuetudini più preziose farà fatica a immaginarlo.
La mia struttura essenziale – da giorni ci penso – è quella dell’abbraccio. Un abbraccio è un insieme, intendo una forma di più elementi che, sebbene preesistenti singolarmente all’insieme, insieme determinano un nuovo carattere. In questo senso, nella tensione rotonda di un abbraccio coesistono una domanda e una risposta, l’espressione più elementare – attraverso la fisicità – di un’offerta e di una reciproca accoglienza nuda. Di modo che l’interno di questa conca ospitale diventa lo spazio in cui non solo ci si riconosce, ma soprattutto ci si è riconoscenti, grati, meravigliati. Così ci si aggrappa alla vita. E si comincia a sentirsi parte di un luogo, di un’idea, di un gruppo, di un sentimento, di un evento, a conti fatti, del corso dell’esistenza stessa.
La procreazione, il big-bang. Tutto potrebbe cominciare da un abbraccio.
[A Tara.]
Avere le scarpe al contrario
aprile 13, 2012
Mood: vegetativo post nottataccia
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Mina Mazzini – Io sono il vento
Watching: la pioggia che si attacca alle finestre
Eating: caramelle Ricola LemonMint, l’assenza della cucina di mamma si fa sentire tanto più se il frigo è vuoto
Drinking: acqua
Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, provavo il solito sentimento misto di nostalgia ed euforia che mi assale a ogni nuova partenza. Succede così alle persone di tutto il mondo che dicono Casa non quando hanno un tetto sulla testa ma quando sentono i piedi stare saldi al terreno le scarpe adeguate e questo tipo alternativo di Casa – si capisce? – non ha problemi logistici burocratici legali può essere piazzata un po’ ovunque in mezzo a milamilioni di esseri umani, per esempio ho visto giustappunto ieri su un’autostrada olandese una casa di legno sopra un camioncino una casa di legno tutta pronta pareti porte e infissi per essere abitata dopo esser stata piazzata così mi ha detto papà e io ho pensato sono un po’ come quella casa pronta per essere abitata, ma molto più impalpabile, molto meno concreta e insomma succede così alle persone di tutto il mondo quelle come me succede che sentono la mancanza e il desiderio di tanti luoghi – si capisce? – emotivi più che geografici tutti quanti insieme e poi un po’ si sentono confusi, occorre sempre un grande sforzo per andare e un grande sforzo per restare.
Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, io mi stavo sforzando, ma tanto e non solo perché così succede alle persone di tutto il mondo quelle come me quando devono andare o restare, ma anche perché io provavo la sensazione scomodissima di avere le scarpe al contrario i lacci ingarbugliati le suole impiastricciate e di non sapere cosa non lo so, forse di non sapere cosa sapere perché nella vita c’è sempre bisogno di sapere qualcosa sennò ci si sente scomodi come mi stavo sentendo io. Adesso, a onor d’onestà, sono giorni forse un mese che mi sento molto scomoda tra un sorriso e un altro e vario da una condizione a un’altra opposta con estrema facilità, se c’è una cosa peggio di tutte le altre è quando non riesco a starmi dietro, vado troppo di corsa e mi viene il fiatone, mi si gonfia nella laringe un nonsochè come una poltiglia, dolore credo nero denso grave mi si gonfia nella laringe e non fa passare l’aria sicché per alleviare il fastidio io continuo a cacciarmi le mani in gola e a suonare forte le corde vocali pizzicarle sfregarle nella speranza di urlare come quando
una notte ho sognato mia nonna che è morta e nel mio sogno mia nonna che è morta era la prima ballerina di uno spettacolo del Mouline Rouge, stava tutta torta e rinsecchita dentro la sua bara che oscillava a metri d’altezza attaccata al soffitto per delle funi tese da un paio di ruzzulani e io lì a guardare che ne avessero cura non la sballottassero troppo facendola piroettare e poi all’improvviso i due ruzzulani hanno calato la bara con dentro mia nonna che è morta e lei ha vomitato un rivolo di sangue giù per una ruga e come se questo l’avesse rianimata come se tutto il sangue fosse tornato a gorgogliare mia nonna che è morta si è alzata mi ha guardata e giuro non faceva nessuna paura voleva rassicurarmi tranquillizzarmi offrirmi una possibilità e quando mi ha abbracciata io le sono caduta in mezzo alle braccia sono caduta in ginocchio di peso e ho iniziato a urlare che sembrava non avrei finito mai che sembrava che mi stessi liberando persino degli organi, urlavo e non avrei mai finito se non quando mi fossi svegliata,
così
pensavo e c’era la luce dorata ad avvolgere l’Erasmusbrug i palazzi vetrati del porto di Rotterdam in lontananza dall’autostrada che porta a Dordrecht Utrecht Havens e pochi chilometri dopo, svoltando per Gorinchem c’erano le nuvole viola pesto a imbrogliare i prati sconfinati le poche costruzioni l’intreccio delle strade e quasi non volevo crederci che già a un angolo dell’orizzonte c’era l’arcobaleno solido e spezzato in cima simile a un marshmallow e che soltanto dopo l’arcobaleno è arrivata la pioggia a chicchi grossi poi a aghi sottili e di nuovo a chicchi grossi verso Venlo Nijmegen Köln fin quando al confine con la Germania non è ricomparso il sole uno spicchio sanguigno di prepotenza che la terra stava inghiottendo per illuminarsi bruciare col fuoco da dentro prima della notte, sembrava che per tanti chilometri noi non avessimo fatto altro che inseguire lo spettacolo finale, in Olanda, un momento prima c’è il sole quello dopo la pioggia così mi ha detto papà e io ho pensato – si capisce? –