Couches on the Road // III

novembre 8, 2012

Mood: addormentato
Reading: quanto vorrei…
Listening to: la notte che scende su Milano
Watching: L’esplosivo piano di Bazil di Jean-Pierre Jeunet
Playing: a inventare metodi per non farmi cogliere dal panico-tesi
Eating: zuppa di legumi
Drinking: acqua




Martedì scorso, Kuba e Paweł sono spuntati dalla torma accalcata contro i tornelli della stazione metropolitana di Romolo, Milano, all’ora di pranzo, semplicemente agitando le braccia verso di me che stavo dall’altro lato, con movimenti che, tracciando sorrisi nell’aria, sembravano spaccarla. O almeno così mi sembrava. Mi sono chiesta se, per caso, non ci fossimo già incontrati in un altro tempo, da qualche parte. Poco dopo ho realizzato che Kuba e Paweł semplicemente percorrono la Via con occhi trasparenti e senza distacco.
Avevano in spalla lo zaino e venti giorni di viaggio tra Spagna e Portogallo e le facce vagamente interdette di chi nelle ultime dodici ore ha avuto a che fare per le strade di Granada con un gruppo di zingari malintenzionati e misteriosamente l’ha fatta franca, poi ha trascorso una notte in aeroporto, accusando il pavimento direttamente sotto il culo, e alla fine non sogna che una doccia e un piatto caldo per sentirsi a casa. Passavano da Milano prima di ritornare in Polonia perché era la strada last minute più economica e, per dirla tutta, avrebbero potuto essere ovunque.

Sono nati entrambi in Polonia, in una città di cui non mi è chiaro il nome, ma che si trova al confine con la Germania, al punto che entrambi riconoscono come capitale Berlino più che Varsavia, ma nessuno dei due ama la lingua tedesca, il cui insegnamento viene imposto nelle scuole dell’obbligo soltanto per condizione geografica.

In Polonia, il loro periodo di viaggio sarebbe finito e “ritornare alla realtà” non li entusiasmava. Ho il sospetto che dentro di loro qualche certezza stesse vacillando. A Lisbona, avevano incontrato Gogy che vive facendo il giocoliere agli incroci delle strade principali e raccogliendo durante la notte gli alimenti di cui ha bisogno dai cartoni della roba scartata dai supermercati. Ne sono rimasti impressionati. Abbiamo discusso della realtà in cui viviamo, fatta di oggetti, comodità e soprattutto abitudini. Ci siamo domandati quanto coraggio e incoscienza ci vogliano per sradicarsene. Qualcuno ha espresso l’ambizione di provarci un giorno, ma già con la consapevolezza che proprio l’ambizione non è il sentimento più opportuno per affrontare una tale scelta di vita. La verità è che, allo stato attuale, nessuno di noi darebbe un calcio alla sua realtà.

Kuba è uno programmatore informatico, ma più che un nerd – come ci si aspetterebbe – sembra un poeta vagabondo con il mare negli occhi e la terra nel sorriso, un miscuglio che tanto destabilizza, tanto rassicura. È innamorato della Spagna, della sua musica e della sua letteratura, ha studiato per sei mesi a Barcellona, dove ha sviluppato un’antipatia viscerale per l’ambiente Erasmus, fatto di gente che gli sembra voler collezionare amici da tutte le parti del mondo, «Ciao-nome-età-nazionalità-ciao», senza mai soffermarsi un po’ di più.
Paweł invece è tanto più buffo, smilzo con i capelli rossi e la faccia che sembra essere modellata dalla penna di un fumettista, sembra Figaro del Pinocchio di Walt Disney quando articola una catena bassa di «Hmm-hm, hmm-hm» e con la testa fa su e giù. Dei due l’avrei detto il più piccolo e invece è il contrario, lavora già nel reparto logistico di una qualche ditta di trasporti polacca, ma quello che mi sembra lo esalti di più è organizzare partite di ping-pong con i colleghi durante l’orario di ufficio. Di Milano, una delle cose che più gli è rimasta più impressa è la pasta al sugo col peperoncino – che neanche è propriamente di Milano –, ma ha confessato subito che per lui ogni tappa dei suoi viaggi va ricollegata a un buon piatto e che gli unici momenti di tensione con Kuba sono arrivati insieme allo stomaco vuoto.
Quando gli ho chiesto come si fossero conosciuti, Kuba e Paweł prima si sono guardati, poi hanno detto di non ricordarlo perché è stato tanti anni fa durante una festa del vino dove il motto in termini di alcool è «don’t mind the taste, but the waste», si capisce!

Per certi versi anche i nostri tre giorni insieme si possono trovare al fondo di una bottiglietta di Vodka Lubelska aromatizzata al pompelmo che ha viaggiato dalla Polonia a Milano, tre bottiglie di vino bianco Esselunga, un Lambrusco, due bottiglie di vino bianco Carrefour, una Vodka pura Keglevich, messe in fila sul piano del lavandino, e litri di Peroni. Non che ci siano affogati, piuttosto sono scivolati con leggerezza lungo le pareti di vetro, mentre storie e pensieri si innalzavano per intrecciarsi alle nuvole di tabacco sovrastanti.
Anche perché, nel frattempo, al nostro tavolo si è aggiunta tanta di quella gente con cui condividere i fondi delle bottiglie che affogare non ci si sarebbe riusciti neanche a provarci con caparbietà.


Sì, è un “to be continued”