Megabytes. Tentativo di un inventario.
dicembre 30, 2015
Mood: affaticato
Reading: Guido Catalano, Fiesta
[“È Natale
facesse un po’ di neve, almeno
o tu ti trovassi a portata di baci
o io avessi sette anni
ma nessuna delle tre”]
Listening to: Colleen – Captain of None
Watching: Mr. Nobody di Jaco Van Dormael
Eating: bacche di Goji
Drinking: chai nero
Da sempre, una della mie rogne più grandi è lo spazio d’archiviazione digitale, sistematicamente troppo poco, continuamente agli sgoccioli. Colleziono a centinaia di migliaia megabytes per naturale – ahimè – tendenza all’accumulo e non ci bado neppure. Del resto, mentre nel mercato dei supporti di archiviazione digitale è sempre come la corsa allo Spazio, i megabytes peccano di poca concretezza. Soltanto quando, a un certo punto, l’ennesimo supporto gigamega di archiviazione digitale nel quale ho riposto tutta la mia fiducia giunge alla saturazione con una velocità proporzionale al peso incrementale dell’alta qualità elaborata dai miei apparecchi elettronici, soltanto allora quelle centinaia di migliaia di megabytes acquistano un peso specifico.
Si pone a questo punto un atroce dilemma: potrei comprare nuovi spazi esterni gigamega di memoria digitale e continuare a ammassare megabytes a centinaia di migliaia. A voler esagerare, potrei occupare una stanza intera con i miei supporti gigamega di memoria digitale, poi magari un appartamento con vista sul mare. Oppure potrei, con un po’ di pazienza, cominciare a liberarmi di qualche megabytes in eccesso.
Da anni ormai apprezzo gli ambienti essenziali molto più di quelli ridondanti e con l’avvicinarsi della fine dell’anno, mi prende sempre più di frequente una certa smania esagerata di fare spazio e riorganizzare tutta la vita che mi è passata sotto il naso. Con quest’idea in testa di alleggerire i cassetti e dare aria ai polmoni, apro anche i miei archivi gigamega di memoria digitale, un mare magnum di scorci e riflessi, bruciature e sfocature. Esamino una cartella alla volta, file per file, un giorno dopo l’altro per giorni – e, devo aggiungere, non arrivo mai alla fine. Cestino centinaia di migliaia di megabytes assolutamente irrilevanti. Pochi altri invece mi colpiscono profondamente. Non perché siano evidenze della vita che mi è passata sotto il naso. Al contrario mi affascinano in quanto ombre e falle della memoria: luoghi deputati alla fantasia, fonti inesauribili di storie, spazi vivaci di snodo e ritorno, punti cruciali di riferimento. E mi stupisce che per molto tempo questi megabytes siano rimasti intoccati nei miei archivi gigamega di memoria digitale.
Vorrei concepire uno spazio meticoloso, uno spazio inventariato dove giustapporre ciascuno di questi megabytes secondo ordini di causa e effetto variabili a seconda delle circostanze in atto, certamente l’inventario più instabile che sia mai stato concepito, un intrico complesso di percorsi diversi eppur tutti plausibili. D’altronde non c’è niente di più incerto della memoria. Se mai dovessi cominciarlo – considerato il carattere chiaramente confusionario e utopico dei miei presupposti e del mio proposito – questo spazio rappresenterebbe il mio massimo esercizio di stile, un inno innamorato alle affabulazioni. Pur sempre il tentativo di trattenere una traccia, strappare al tempo qualcosa di familiare, accorciare le distanze per i tempi più ostili a venire.
Italy, Milan, 30 September 2010.
N., gli occhi grandi di N. / Eravamo decisi a salvarci.
30 December 2015. In quanto a questo, niente è cambiato.
To become me medesima
aprile 12, 2012
Mood: disteso
Listening to: l’acqua che sgocciola giù per i tubi e le cornacchie, musica concreta
Watching: il nuovo moderno citofono che hanno installato or ora nella casa hollandese con astio, io rivoglio subito il vecchio citofono vintage
Eating: il cheesecake che mangerò a breve
Drinking: il cappuccino che berrò a breve
Pensavo stanotte poco prima di – provare ad – addormentarmi che non ci avevo mai pensato, io su tutto, quanto di più significativo abbia mai vissuto nella vita fino a qui è stato che, cercando di differire liberarmi elevarmi da me medesima per diventare qualcos’altro–ve– di più arioso vasto sconfinato non ho fatto che avvicinarmi somigliare diventare me medesima.
Pensavo anche, questo a causa di una condizione geofisica instabile per la quale mi ritrovo da qualche settimana a ragionare in tante lingue allo stesso tempo nessuna bene per davvero ma tutte un po’ all’incirca quasi, pensavo insomma sempre stanotte in quel poco prima di – provare ad – addormentarmi che l’inglese “to become” esprime il concetto che io mi sto rigirando nella testa assai meglio dell’italiano “diventare” dal momento che l’inglese “to become” è, così mi suggerisce l’accostamento di “to be” e “to come”, il (di)venire verso un (modo d’)essere l’approssimarsi.
Questo (in una certa forma) è un ringraziamento a me medesima.
Controcampi // Un Autoritratto Provvisorio VI – Marzo 2012
marzo 31, 2012
Mood: dis-equilibrato
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: taaaaaanti discorsi in inglese il che fa molto bene
Playing: a scrollarmi di dosso gli imbarazzi linguistici
Watching: itinerari attraverso la Norvegia
Eating: un tipico piatto turco, per l’occasione senza carne, in altri termini le meraviglie del couch surfing
Drinking: tanta acqua
Adesso che ci sono io,
cosa c’è al di là?
‹‹Voglio dire,
nella realtà
(…)
com’è che ci si innamora?››
Altrove
febbraio 20, 2012
Mood: divertito
Reading: Desmond Morris, La scimmia nuda
Listening to: Explosions in The Sky – First Breath After Coma
Watching: palloncini che continuano a ballonzolare per casa a seguito del festino di ieri sera con tema – si presti orecchio all’originalità – pane sì pane, abbiamo da consumarne!
Playing: a riordinare ogni cosa dopo mesi d’incuria
Eating: risotto funghi e zucchine
Drinking: teh
Prima di essere altrove non avrei potuto sapere che altrove c’erano incalcolabili possibilità per essere felice. Prima di andare in anossia per la mancanza di tutta la vita che vivendo non avevo vissuto non avrei potuto essere altrove.
Altrove è quando tra i flussi riflussi cicli ricicli dei giorni delle settimane dei mesi degli anni si fa spazio la disposizione a sradicare le arterie dai territori esistenziali noti che sono sistemi complessi di eventi e meccanismi e nomi ed emozioni, per familiarizzare con la mobilità sperimentare gli impulsi e le necessità che tramano e ordiscono la felicità.
Il problema è che gli uomini hanno natura assai abitudinaria la sola idea del cambiamento li pietrifica, si sono convinti di avere un’identità ferrea figurarsi la facilità estrema con la quale si assuefanno ai territori esistenziali noti e ci rimangono anche quando stanno cadendo in pezzi a causa di un continuo inaridimento. Gli uomini si dicono felici piangono tantissimo. Per dire che
Prima di vivere come se il mio territorio esistenziale noto fosse il solo generoso il solo possibile, non avrei potuto andare in anossia per la mancanza di tutta la vita che vivendo non avevo vissuto, non avrei potuto essere altrove, non avrei potuto sapere che altrove c’erano incalcolabili possibilità per essere felice.
Oggi sono altrove.
Quando porto alle spalle lo sguardo e mi perdo nei campi lunghi squartati dalle arsure continue iniziate ormai troppi anni fa, penso che mi viene da arrabbiarmi avrei potuto lasciare i miei territori noti per essere altrove già troppi anni fa, ma poi penso anche che essere altrove non è stato e non avrebbe potuto essere come girare una frittata nella pentola al volo voilà!, ieri vivevo come se il mio territorio esistenziale noto fosse il solo generoso il solo possibile oggi sono altrove. No, proprio no.
Per mesi ogni mattina al risveglio ancora nel letto, ho oliato tutte le giunture delle ossa legnose i tessuti degli organi interni battuti da malinconie e cacofonie i meccanismi delle sinapsi affette da idiosincrasie e falle temporali i sentimenti i cimeli poveri dei miei territori esistenziali noti che un giorno avevano fatto sbam!
Per mesi ogni mattina al risveglio ancora nel letto, ho sentito le assenze marciare il cuore indietreggiare e prima della sopraffazione prima del cuore in mille pezzi ero ancora viva non potevo ignorarlo non potevo restare in attesa dovevo andare sapevo dove
non potevo
che possibilità c’erano di essere felice?
eccome se potevo
dovevo
altrove,
allora ho oliato – tutte le giunture delle ossa legnose i tessuti degli organi interni battuti da malinconie e cacofonie i meccanismi delle sinapsi affette da idiosincrasie e falle temporali i sentimenti i cimeli poveri dei miei territori esistenziali noti che un giorno avevano fatto sbam! – per sradicarmene piano senza fare crack!
E sono passati i mesi le mattine i risvegli ancora nel letto che era come essere in utero, non bene o male, semplicemente essere e sentire i piedi allontanarsi distintamente passo dopo passo dai territori esistenziali noti sperimentare l’altrove forzandone i confini sentire di aver vissuto una vita intera senza ricordarne che pochi istanti flosci e amorevoli sentire di dover nascere una volta ancora sentire di poter nascere una volta ancora forse anche più sentire tutta la forza propulsiva di un evento creativo.
Oggi sono altrove che è l’esito in divenire di un lungo processo esistenziale ri-creativo, non già un sistema complesso di eventi e meccanismi e nomi ed emozioni sarebbe prematuro, piuttosto un numero incalcolabile di possibilità per essere felice e insieme la libertà di correrci attraverso, sentire sottopelle il solletico e ridere tantissimo ridere di gusto avvertendo il corpo danzare distendersi espandersi prolungarsi con tutto il suo peso.
Oggi sono altrove e prende bene oggi che soltanto ieri non mi sarebbe riuscito così spontaneo ridere tantissimo ridere di gusto perché nel mio territorio esistenziale noto un solo motivo per cui piangere sarebbe stato più violento di mille motivi per cui ridere – mille motivi per cui ridere che non facevano un solo motivo per cui piangere, ieri –.
Prima di essere altrove non avrei potuto sapere che altrove c’erano incalcolabili possibilità per essere felice.
Oggi sono altrove e prende bene oggi che altrove ci sono incalcolabili possibilità per essere felice.
‹‹Ma guardala lei che finalmente ride quanto ride!››
(Grazie)
***
Comunque dedico queste parole a Eta perché Altrove le appartiene. In una certa misura, ne ha reso possibile per me la consapevolezza in questi ultimi mesi. Altrove è il titolo che chiude (?) il percorso del suo progetto di tesi di diploma accademico ‹‹di frattura›› (viscerale).