Mood: sovraccarico
Reading: Daniel Clowes, Justin M. Damiano in The book of other people
Listening to: respiri dormienti
Eating: formaggio di capra e pomodoro
Drinking: tisana di camomilla e valeriana



Tra gli elementi umani che proprio mi sconcertano [per non scrivere “mal tollero”], più ancora di quelli-della-sottocultura ci sono quelli che fanno erudizione con la sottocultura, per esempio quel provincialotto milanese – giacca, cravatta, zainetto – in vacanza olandese tutto fiero del figliolo ingegnere Erasmus a Delft che, domandandomi questa sera «E tu, invece, da dove vieni precisamente?» e sentendosi rispondere «Sono nata a Bari, ho passato gli ultimi tre anni ufficialmente a Milano e adesso vivo qui in Olanda», ha osservato «Certo che da Bari a qui…».
Al che, Just to be sure, gli ho domandato «Cosa intende, mi scusi?»
«Beh, questioni di cultura… Non deve essere facile adattarsi qui per uno di Bari.»
Mi è cascato nella testa un secondo di silenzio.

Non è possibile. Che un tale elemento prodotto dalla sottocultura venga a parlarmi di cultura è quantomeno un ossimoro. «In onestà, signore, non accuso alcuna controindicazione.»
«Beh, magari il passaggio intermedio da Milano…»
Mi è salito alla testa un litro di sangue, a me? sta parlando proprio a me? «Mi permetta, signore. Sono nata a Bari. Ma sono certa di poter affermare di aver visto, Milano a parte, più mondo io negli ultimi due anni che lei in tutta la sua vita. E, la voglio anche rassicurare, mi sono adattata e integrata con serenità ovunque, così come continuo a fare,» il che fa sì che il mio cervello a differenza del tuo non vada sempre in tondo su se stesso come la circonvalla.«Le auguro una buonissima serata,» zaquar!

E vedete, da tempo ipotizzavo di mettermi a analizzare più a fondo cause e conseguenze di una certa sottocultura da luoghi [geografici] comuni tipo non ci sono più le mezze stagioni e è tutto un mangia mangia, ma stanotte corro il rischio di essere poco polite, sicchè.

Mi toglie l’aria

aprile 15, 2013

Mood: sereno
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: James Blake – Overgrown
Watching: Drive di Nicolas Winding Refn
Eating: toast al formaggio
Drinking: caffè-latte



Alle medie, sezione D, quella musicale, tra ventiquattro – se la memoria non mi inganna – elementi, io ero quello ormai deputato a garantire il benvenuto a eventuali nuovi studenti e a controbilanciare gli umori dei più scapestrati, facendo di sensibilità e docilità virtù. Succedeva così che venissi sradicata e impiantata di banco in banco decine di volte per anno scolastico con evidenti scompensi dovuti alle necessità di adattamento in ogni nuova ambientazione quando soltanto pochi giorni prima avevo cominciato a sentirmi a mio agio nel banco precedente.

R. – nuova arrivata nel paese e nella scuola a metà del mio terzo anno, con una storia conturbante dentro il Seven sulle spalle – me la ricordo col sorriso che le prendeva tutta la faccia butterata, ma soprattutto rotonda da occupare tre quarti di banco. Mi toglie l’aria dissi alla professoressa quando a fine giornata andai a rivoltarmi per essere stata piazzata senza batter ciglio al suo fianco.

Sono passati quasi dieci anni da quel giorno e stamattina R. – che non vedevo da pressapoco lo stesso tempo –, nello spazio lapidario di un’ANSA paesana, mi ha di nuovo tolto l’aria. C’era scritto che stamattina R. stava andando all’università a Bari, ma è scivolata sui binari, nella stazione di paese. R. era in ritardo e il treno già in moto. Le è passato sopra.

Ho raccontato subito a mia madre del giorno in cui ho detto alla professoressa che R. mi toglieva il fiato in banco. L’ho fatto a occhi bassi perché la morte di qualcuno che abbiamo conosciuto comporta sempre in noi che restiamo il bisogno di sentirci in colpa per qualcosa,
qualsiasi cosa, eppure una in particolare sarebbe più onesta e produttiva, ovvero:

Che morte fessa, R., nella stazione di paese.
Ma, dopotutto, moriamo sempre come fessi, noi uomini, l’intera faccenda non è che un soffio di vento, uno starnuto sotto il quale
vacilliamo,
cadiamo per non rialzarci mai più.

«Intendo: afferri il motivo per il quale dobbiamo vivere forte ogni giorno e essere felici, vero?»,
ecco, è questo il punto che mi sta molto a cuore.

De Senectute

ottobre 5, 2011

Mood: lo stesso di qualche minuto fa
Playing: a procacciarmi il sonno e la voglia di struccarmi
Listening to: musica non meglio decifrata dagli auricolari di mia sorella
Drinking: acqua



Bari, via Melo. Un vigile urbano chiude la strada al traffico col suo panzone, mentre un gruppo folto di ragazzetti e ragazzette tiene d’assedio la Feltrinelli, premendo contro le vetrine. C’è eccitazione nel pulviscolo e c’è brusio nell’aria.

Mi avvicino spavalda ad un gruppetto che si stringe attorno ad un vespino dal quale un ragazzetto con macchina fotografica digitale fa da vedetta pugliese sulla folla.
‹‹Scusate ragazzi, ma chi c’è in Feltrinelli?››
‹‹Entics!››
Mi blocco, totalmente assorbita dal tentativo di trattenere per bene dentro gli occhi e con tutto il corpo la mia ignoranza in merito ad un tale di nome Entics, tanto più di fronte ad un gruppetto di ragazzetti, non fosse che mi si fa vicina una signora.
‹‹Chi è che sta dentro?››
‹‹Entics, signora! Non mi faccia domande che all’improvviso mi sto sentendo vecchia!›› le bisbiglio tra i denti, ma i ragazzetti mi sentono eccome.
‹‹Entics, un cantante emergente, Entics! Cerca su YouTube che lì trovi tutto. Pure Mina!›› il che mi sembra troppo davvero, già mi ha ripetuto mille volte “Entics”, neanche fossi rincoglionita.
‹‹Hei bello, mo non esageriamo, che non sono vecchia fino a sto punto!››

Ovviamente, appena mi sono collegata ad Internet sono andata a vedere chi diavolo fosse questo Entics. Ancora più ovviamente, nella barra di ricerca di Google ho digitato “Entix”, al che Google mi ha avvisata che forse cercavo Entics. Gli ho dato ragione e sono incappata in questa roba qua. Mbah, quanto mi basta e mi avanza!


Mood: sereno
Reading: Salvador Dalì, La mia vita segreta
Listening to: Giorgia – Il Mio Giorno Migliore (“a me basta trovarti stanotte ai confini/ dell’essere o non essere / dammi un attimo e arrivo / mi vesto di scuro”)
Watching: vecchie foto, riorganizzando l’hardisk
Playing: senza tregua
Eating: spaghetti e polpette
Drinking: caffè







Venezia













Bassano del Grappa – Monte Grappa (Vi)





Monopoli (Ba)


Alberobello (Ba)


***

‹‹Possiamo toccare l’immenso e farci mancare altrettanto›› canta Niccolò Agliardi, sono un po’ in fissa con i suoi testi nell’ultimo periodo, lo ammetto, nel caso in cui non si fosse capito di già, ora ho persino un paio di grosse cuffie per immergermici, me le ha regalate Zulio.

Allora, nella mia instabilità spazio-temporale, adesso non è per caso se guardo il mondo attraverso un obiettivo grandangolare e ritraggo paesaggi, volti quasi nessuno, visioni d’insieme piuttosto, terse dal vento e dall’acqua, non è per caso se carico i colori per poi desaturarli, non è per caso se queste immagini mi sembrano tecnicamente ed emotivamente ancora troppo mediocri, ma mi offrono le motivazioni di un ben più ampio progetto fotografico (anche in vista di un esame di fotografia che si avvicina sempre di più e per il quale sono in fase di ricerca da mesi.).


Intanto sono tornata in Puglia da una settimana e domani riparto, questa volta in verità non troppo lontano dalla mia casa materna e per lavoro. Ci sono due ragazzi molto in gamba, Gianvito ed Alberto si chiamano, ma sono un duo così ben assortito che a volte mescolo i loro nomi e li chiamo Gianberto e Alvito, insomma, ci sono questi due ragazzi che si sono messi in testa di fare un film, Mozziconi, con Gianvito alla regia ed Alberto alla fotografia, e a Laura e me è venuta la possibilità bella, bellissima di assistere, Laura alla regia, io alla fotografia, sicché domani si va per le prime fasi produttive di questo grande lavoro, che per una serie di problematiche e difficoltà purtroppo di routine, non è ancora il film vero e proprio tutto bello concluso, ma il teaser da proporre a una qualche produzione
Tocca salutarci ogni dieci giorni, mi ha scritto l’amico mio Francesco-Poppi. Mi sono fatta una risata. Da grande farò la nomade, più di questo non mi sono mai posta il problema di sapere a riguardo del mio futuro.

La Sentenza della Nonna

luglio 11, 2011

Mood: quieto
Listening to: il ronzio che da ventiquattr’ore mi tormenta le orecchie, dannate siano le discoteche!
Watching: la mia nuova pelle bronzo
Playing: a non pensarCi
Eating: avanzi di torta salata spinaci e ricotta
Drinking: spritz per brindare al saluto dell’Amico mio che riparte dalla terra madre



Si stava sedute a pranzo, madre, sorella, nonna ed io, davanti ad un sano piatto di orecchiette fatte in casa al sugo fresco e si chiacchierava del più e del meno in vernacolo barese e provincial-barese, tanto per ridercela un po’, tra cadenze marcate e modi di dire prettamente nostrani.


Io ‹‹Mà, a settembr mi à accattà l vestagliett secsi!››
‹‹Mamma, a settembre mi devo comprare le vestagliette sexy!››

Madre ‹‹Ci ha fo a settembr?››
‹‹Cosa devi fare a settembre?››

Io ‹‹Ji ha trnà a fa la vita mè!››
‹‹Devo riprendere la mia vita indipendente!››

Sorella ‹‹Sè, av à dorm cu cuscen!››
‹‹Sì, deve dormire in compagnia del cuscino!››

Io ‹‹Auand’! U bove ca disc cornut a u ciucc!››
‹‹Senti questa! Il bue che dice cornuto all’asino!››, ovvero ‹‹Critichi tu proprio che sei nella mia stessa condizione!››

Madre ‹‹Dorotè, pinz ad acchiart n’omn, ji’ot ca i vestagliett secsi!››
‹‹Dorotea, pensa prima di tutto a trovarti un fidanzato e poi a comprarti le vestagliette sexy!››

Nonna (all’improvviso e seria e intristita in volto) ‹‹Je m sent ca l’omn p Dorotè nan c stè sop a chuss Munn…››
‹‹Io ho il sentore che l’uomo per Dorotea non esiste su questo Mondo…››

Silenzio interdetto, anche lui protagonista non indifferente.

Io ‹‹Popizz!››
‹‹Le pizzette al pomodoro!›› ovvero ‹‹Stocazzo!››


Dopo accurate valutazioni, ancora non ho deciso come interpretare una tanto corposa sentenza. Al momento, le alternative principali sono quattro.

La prima, quella più semplice. L’uomo per me è un marziano, vallo a pescare da chissà quale buco nero, nonna non ha saputo fornirmi grandi indicazioni a riguardo, nonostante la mia insistenza.

La seconda, quella della disperazione. Sto ai piedi di Cristo, ovvero nessun uomo mi si piglia e mai mi si piglierà, al punto tale che posso iniziare fin d’ora a dedicarmi anima e corpo ai gatti.

La terza, quella più scientifica. Nel momento proficuo in cui stanno sperimentando le crociere spaziali, mi viene concesso dal fato l’esperienza immaginifica e magnifica di incontrare l’uomo per me sulla Luna.

La quarta, per ovvi motivi quella da me preferita. Sono una donna ad un livello tale di splendore e perfezione che nessun uomo potrà mai eguagliarmi o meritarmi, sicché l’uomo per me non può che essere un dio. Anche in questo caso, in un qualche modo, sto ai piedi di Cristo.

Mbah!


* chiedo umilmente scusa per il modo sbagliato in cui ho scritto il dialetto. Si fa quel che si può.
Mood: impaziente ed euforica
Listening to: la notte
Watching: il panorama dal mio terrazzino
Sniffing: l’odore dei pini, l’aroma del vento
Eating: mozzarelle
Drinking: birra, ad averla in frigo



Stamattina era al telefono con Giulio-Gaga, il mio più caro Amico, il mio-me, e facevamo di conto per capire da quanto tempo ormai non ci vedessimo, Lui ed io. “Da Nantes”, “Ma è troppo!”, “Anche troppo imbarazzante” ché dal nostro viaggetto a Nantes sono passati ormai un anno, tre mesi e diciannove giorni per amor di precisione, davvero troppo. Sicché la sola idea che alle ventitrè di stasera Lui è stato rigurgitato sulla pensilina della stazione a Bari da un treno proveniente da Roma e che domani dopo pranzo al più potremo vederci, fa sì che il mio cuore faccia le capriole.

C’è di più, molto di più. Domani anche Arianna-Yanna rientra in terra barese da Milano, al momento è in viaggio, e Yanna è il terzo manoninordinediimportanza elemento di questa storia. Il quarto manoninordinediimportanza è Francesco-Poppi e Lui è già qui, chè Lui non è partito quando tre anni fa io sono andata via per Siena, Gaga per Roma e Yanna per Milano.
La storia a cui mi riferisco è quella della nostra Vita Insieme a costruire un luogo sentimentale da chiamare Casa, che a volerne scrivere non basterebbero questa notte e neanche le successive e che, proprio come nelle più belle e melense fiabe, la distanza non ha cancellato, anzi ha rinnovato e rafforzato ad ogni nuovo incontro, ad ogni nuovo abbraccio quand’anche più diluito nel tempo, ci siamo portati l’uno accanto all’altro, nonostante le circostanze, e ci siamo accettati con i nostri inevitabili cambiamenti e le nostre costanze, certi giorni mi sembra incredibile.
Questa riunione in terra materna l’abbiamo cercata e programmata da mesi, sgomitando nel tempo per ritagliarci lo spazio e per far coincidere le necessità di tutt’e quattro, ché dall’ultima volta che siamo stati nello stesso posto, Gaga, Yanna, Poppi ed io, insieme, è passato un anno è mezzo, davvero troppissimo. Sicché la sola idea che domani dopo pranzo al più potremo vederci, Gaga, Yanna, Poppi ed io, e che abbiamo per Noi una settimana, fa sì che il mio cuore declini verso la tachicardia, devo tenere sotto controllo l’euforia, ho estremo bisogno di Noi, non ho mai smesso di scriverlo con la maiuscola.


Ormai sette anni fa, quattro elementi per una storia
Mood: sereneggiante
Reading: Anna Marchesini, Il terrazzino dei gerani timidi
Listening to: Niccolò Agliardi – L’ultimo giorno d’inverno e mia sorella che instancabilmente ripete per gli orali della sua maturità
Eating: focaccia
Drinking: acqua



‹‹La stazione mi era familiare, il babbo mi aveva portato molto spesso sulle pensiline del treno, quando avevo avuto la tosse convulsa, per farmi respirare un’aria diversa – così gli aveva consigliato il dottore, di cambiare aria. Mi piaceva tutto lì dentro; i riti di transito dei treni, i rumori che rompevano il silenzio senza turbarlo, il movimento lento ed eccezionale dei passeggeri quasi tutti militari o parenti di militari.
Mi affascinava quella sorta di schiaffo sonoro che faceva girare la faccia e inseguire il treno in corsa, quando sfilava davanti agli occhi, compartimenti di vite estranee l’una all’altra eppure insieme e accanto, lunghi condomini orizzontali disordinati o amorfi, vivaci, con le luci accese, o del tutto segreti, dove l’esistenza si era organizzata per qualche ora attorno ad una stessa casualità. Mi emozionava essere per un istante risucchiata da ogni rettangolo di luce che scorreva veloce, testimone io della fiammella invisibile che quelle famiglie di sconosciuti tenevano accesa senza saperlo e che li costringeva ad una effimera intimità. Dopo aver dormito accanto l’uno all’altro, estranei, si erano intrattenuti in una scandalosa confidenza che aveva aperto un varco involontario nelle loro esistenze abbottonate, il tempo breve della durata di una tratta e poi tutto si sarebbe richiuso frettolosamente, ciascuno uscito dallo scompartimento, appena scivolato via, avrebbe lasciato solo una sfoglia di sé e un posto vuoto, pronto ad accogliere un’altra breve rappresentazione.››

[Anna Marchesini, Il terrazzino dei gerani timidi]


Riflettevo, ieri pomeriggio, a bordo del Freccia Bianca Milano-Bari, in merito al carico di vite tra loro estranee che affollava lo scompartimento e che, scendendo sempre più il treno verso il tacco d’Italia, si organizzava per istinto in un sistema intrecciato di relazioni e scambi e simpatie ed antipatie, è questo che mi piace dei treni, il loro diventare micro-habitat ambulanti ed interinali in cui si accalcano e restano sospese come foschia le vite e le storie, oltre che le possibilità di costruirle queste vite e queste storie e di immaginarle, i signori infervorati di politica senza troppe cognizioni di causa e corrosi dal vivere amaro e gli interventi sporadici di qualcun’altro a caso e gli sguardi tra il sarcastico e il divertito e l’infastidito, il gruppetto aggregato attorno ad una partita a briscola o scopa, la signora preoccupata per le mie gambe deformate dalla reazione allergica alle punture di zanzare e incapace di togliermi gli occhi di dosso e voci e passi uno sopra l’altro e suggerimenti su come trascorrere il tempo di un lungo, lungo viaggio.

In ragione di queste coincidenze relazionali, S. ed io ci siamo conosciute. Stavo ascoltando la musica in cuffia ed elaborando in Lightroom le foto del mio Natale olandese, ché sì, tra una cosa e l’altra, ancora non ho avuto modo di concludere il lavoro, insomma ero così impegnata e S. che mi sedeva accanto se ne stava col naso appiccicato sul mio monitor, ascoltava con attenzione quello che canticchiavo e mi studiava nei gesti, nelle espressione, in quello che avevo attorno, più tardi le avrei confessato che io ho lo stesso vizio all’attenzione e alla curiosità, a trasformare in intimità l’estraneità. Sarà stato all’altezza di questo scarto che a S. non è tornata la ragione per la quale io non facessi le ascoltare quello che stavo ascoltando, sicché, al palesarsi delle sue perplessità, mi è sembrato onesto concederle una cuffia e ascoltare insieme Daniele Silvestri, che poi a lei la cuffia dovevo risistemarla di continuo perché di continuo le sgusciava fuori dall’orecchio troppo piccolo, circondato da ciuffi castano chiaro. Nella ripetitività di questo gesto, mentre mutava il panorama e si trasformava progressivamente in quel Sud caro al mio cuore, S. ed io siamo diventate amiche e lei chiedeva a me cosa stessi guardando e io chiedevo a lei cosa stesse guardando, abbiamo anche affrontato discorsi importanti come il matrimonio, in merito al quale lei mi ha confessato che avrebbe sposato la sua amica I., ma che una volta che la loro storia sarebbe finita, I. avrebbe sposato il suo amico J., gente del futuro!, motivo per cui sarebbe stato opportuno che io, non essendo ancora sposata, sposassi J., così che lei potesse rimanere per sempre con I., io le ho raccontato delle fate nello stomaco e di quelle che portano i sogni e lei mi ha detto che avrebbe pestato le fate dei sogni, che non è bello sognare perché ad ogni sogno si piange e quando le ho chiesto cosa sogna, S. mi ha detto che sogna i morti e non sapevo bene cosa raccontarle a quel punto, se non che non sono tutti brutti i sogni, che ce ne sono di belli e che sono importanti, solo a volte capita che un troll rubi un sogno ad una fata e lo infetti con la paura e per distrarci, S. ed io, abbiamo fatto merenda con i grissini spezzettati ed abbiamo giocato a chi mastica più veloce, uno, due, tre, via! e a chi resiste di più senza ridere e S. rideva tanto con un sorriso davvero bello e profumato di fiori e ad un certo punto, S. mi ha guardata dritto negli occhi e mi ha detto “Perché tu stai sempre così?” e ha ritratto il volto nell’espressione più accigliata ed altezzosa e contrariata che le riuscisse, ha stretto i denti ed ha incrociato le braccia ed io mi sono sentita come colta di sorpresa nella mia nudità di fronte a lei e ho cercato appigli che non esistevano per darle una risposta, storie che non tornavano al computo, ma più avanti, S. mi ha detto anche “Tu mi fai proprio ridere!” e quasi si stava strozzando con le caramelle che le navigavano tra la lingua e il palato ed io mi sono sentita ancora più nuda, come se mi avesse tolto la pelle e mi stesse dando la possibilità di perdonarmi ed arrotondare gli spigoli e ridimensionare ogni cosa in un solo sorso di vita. A Pescara, S. ed io ci siamo salutate, ci siamo abbracciate e ci siamo date un bacio, le ho detto che per questa volta non potevo andare con lei dalla nonna, ma che non è improbabile rincontrarsi un giorno per giocare ancora, magari su un altro treno in corsa ad energia propulsiva “verso il bambino”. S. ha quattro anni, quattro anni complessi e sinceri che in me hanno lasciato molto più di una semplice sfoglia di sé e non hanno svuotato un posto, ma l’hanno riempito.

Mood: everything is all right!
Listening to: il vento che corre tra gli alberi, il cinguettio degli uccelli, il ronzio del traffico in lontananza, sono proprio in Puglia!
Watching: certi giochi di luce del sole che filtra attraverso la tenda
Eating: crostata di frutta
Drinking: caffè




Perché mai due persone sconosciute che si incontrano casualmente in bagno a condividere l’attesa per alleggerirsi la vescica si sentono in dovere di scambiarsi sorrisi imbarazzati e di circostanza?, chiedo venia per la pipì, sa, dovere…


Perché mai la fotocellula per lo scarico del water è affetta da un’attenzione maniacale per la pulizia, sì da rilasciare acqua violentemente e costantemente per tutto il tempo in cui un povero cristo è impegnato a tentare di allegerirsi la vescica?, toc, toc, occupato, presti pazienza, con le cascate del Niagara che mi scrosciano sul culo, pisciare è più che altro un’impresa!


Perché mai il neon del bagno è concepito in modo tale che da traumatizzare una fanciulla ‘sì beata fino al momento in cui non si sia incontrata nello specchio, facendone risaltare il giallognolo della pelle e il nero delle sue occhiaie gonfie, il disastro dei capelli arruffati e la screpolatura delle labbra, ogni graffio ed ogni macchia?, ma cazzo c’hanno gli uomini da fissarmi e sbavarmi dietro, “sei bellissima, pupa”?, mi prendono per culo?!


Passare in un’ora e mezza dalla Siberia, neve, gelo e tanto grigio, all’Africa, 21°, sole, mare e blu-giallo-verde accesi, accento barese incluso, non ha prezzo.
Mood: morfinizzato tendente, in fase di recupero
Listening to: strani moti di rivolta del mio stomaco
Watching: bucce di clementine disseminate senza ritegno sul tavolo
Eating: taralli
Drinking: vino bianco



Sabato e domenica velati di nostalgia, quando si acquieta il tram-tram e scompaiono gli “amici della settimana”, quelli che incontri a scuola, al supermarket, per strada, si fa silenzio e s’insinua il ronzio di una solitudine pensierosa e malinconica, troppo impalpabile per essere comunicata, e il pianto in fondo ad un orgasmo che scava il vuoto, non lo riempie come si può sperare.



Niente punti esclamativi. Niente punti di sospensione. Bado agli incisi.
Sto bene, nonstomale.
Solo continuo a fare sogni orribili e troppo reali, carichi di inquietudini e paure e neanche me li spiego. Poi penso e m’arrovello per un po’.


Ho pensato alle metamorfosi. Il mio più caro Amico, torna a Bari oggi, gli ho chiesto di abbracciarla per me che non la vedrò fino al mese prossimo, ma soprattutto non la vedrò ancora una volta al suo fianco. Il mio più caro amico vive a Roma da tre anni e nel corso del tempo è diventato sempre più difficile incontrarsi da me, da lui, a metà strada, anche solo far coincidere i nostri ritorni in madre terra. L’ultima volta che ci siamo visti è stato a marzo scorso, in terra francese per un viaggio lui ed io, uno dei più belli di cui serbi memoria. E’ il mio-me, lui, siamo cresciuti insieme quando farlo ci sembrava un’impresa troppo ardua e ci tenevamo per mano per farci forza così stretti che ci credevano fidanzati. Ieri ha preso il suo diploma in fotografia ed io non ero con lui. Mi manca e tanto, tutt’oggi è difficile accettare la nostra lontananza, l’assenza del nostro stare bene insieme costante ed indiscutibile, del ridere insieme e piangere insieme, senza vergogna. Penso a quanto Milano sia diventata la mia quotidianità, a quanto perché ciò potesse avvenire, abbia dovuto rinunciato (brrrrrrividi) a tutto ciò che prima reputavo irrinunciabile. Amicizie come la nostra tornano raramente, forse mai, perché rare sono le condizioni per cui riuscire a crederci. Un giorno gli ho scritto “manchi tu”, mi ha risposto “tu ci sei, ti vedo bene, proprio qui…”. Ed ho capito. Quando ci re-incontreremo, fosse anche tra un anno ancora (e no, sarà pur prima!), ci stringeremo forte e ci riconosceremo ancora come se non ci vedessimo che da qualche ora. Funziona così tra di Noi. Allo squillo, scendi!


Ho pensato di contro a quello che dice Joel in Eternal Sunshine of Spotless Mind: “Che spreco passare tanto tempo con una persona, solo per scoprire che è un’estranea.” ed io ora avverto il peso delle parole non dette, delle mezza verità in fondo ai frammenti di una storia. Bastardi buchi neri relazionali. Presto o tardi, toglierò le catene alle mie domande. Ho bisogno di quelle verità, mi sia concesso almeno loro. Che senso abbiamo altrimenti? … Dovresti restare, lo faresti? Mi piacerebbe.



Credimi se ti dico che, nonostante la soddisfazione complessiva attuale, ci sono giorni difficili anche per me. Eppure basterebbe un abbraccio sincero per sistemare tutto.
Perché sto bene, nonstomale.
Solo continuo a fare sogni orribili e troppo reali, carichi di inquietudini e paure e neanche me li spiego. Poi penso e m’arrovello per un po’.

Bari-Milano-Den Haag

ottobre 7, 2010

Mood: metereopatico
Reading: siti informativi vari
Listening to: il ronzio delle stampanti in aula computer
Playing: con Pauline
Drinking: cappuccino



Da una settimana

mia mamma ha il cuore diviso ormai in tre, è una questione logistica, così dice lei.
Io vivo a Milano.
Lei e mia sorella vivono a Bari.
Mio papà vive vicino Den Haag, Olanda, ci sono suo fratello, cognata e nipoti lì, i miei zii e i miei cugini insomma. Non è uno sfizio quello del mio papà, né la crisi da mezza età, piuttosto una corsia obbligata, chiamasi lavoro.
Mio papà ha cinquantun’anni suonati e alla sua età, ci vuole coraggio e tanto Amore per rimettere in gioco tutta una vita. Se hai sempre vissuto nel posto in cui sei nato, le radici sono ben annodate alla terra. Lì ci sono la famiglia, la casa, un par d’amici, le abitudini. Alla sua età si dovrebbe essere un passo in qua dal godersi la vecchiezza, quella del Cicerone. Ma in quel lì non c’è più un lavoro e senza un lavoro non si campa, neanche il pane sulla tavola si può mettere. Nel Bel Paese ormai si campa di disoccupazione, che gioco di parole del cazzo. E i Belpaesini sono storicamente emigranti, buon sangue non mente, sangue un corno, si tratta di contingenze. Ma raccontiamoci quel che vogliamo e crediamoci pure, ché ci fa tanto bene, davvero tanto.
Intanto per noi resta la difficoltà di tener sotto controllo il meteo in luoghi così distanti, differenti tra loro. Ciascuno ha il suo cuore diviso in tre.
Bari-Milano-Den Haag.

A Natale

per il mio ritorno alla famiglia, non ci sarà la Puglia, ma l’Olanda.
E quando anche mia mamma chiuderà la sua valigia con lo spago, forse anche mia sorella, qualsiasi altro mio rientro non significherà più il mare, in Puglia, ma i fiumi, a Dordrecht, e più in là l’Oceano. A Dordrecht c’è quella che sarà la nostra nuova casa ed il wine bar di prossima apertura di mio zio, l’unico della zona. Il mio papà ha detto che è un paese di piccole dimensioni, ma molto caratteristico, in cui il tempo sembra essersi fermato. Ha detto che tante strade sono chiuse al traffico automobilistico, per lui questo è importante, piace correre al mio papà.
Ho fatto una ricerca. Ho letto che Dordrecht con il suo retroterra è l’Olanda in formato tascabile, l’ombelico della Nazione e lo snodo per tutto il resto d’Europa. Dordrecht si trova su di un’isola, all’incrocio tra la Mosa Vecchia, la Mercede inferiore, la Nuova Merwede, l’Hollands Diep e il Dordtsche Kil, mentre il Wantij attraversa le terre nord e l’Oceano rumoreggia ad Ovest. “L’incrocio fluviale più trafficato d’Europa”. I turisti, tanti, ci arrivano con i battelli, così mi ha raccontato il mio papà. Ne va e ne viene di gente a Dordrecht. Se ne porta dietro di storie. E basta seguire i fiumi, per incontrare le vie del nord, del sud, dell’est e dell’ovest. Penso sia bello.
Comprerò una bicicletta. E avrò la mia famiglia tutta quanta insieme.



Cinque anni fa

cercai accoglienza in Olanda per un mese e poco più. Partii con una valigia scombinata, volevo provare a trovarvi un ordine, lontano da tutto ciò che era quotidianità, rabbia, amaro, amore. Leggevo Resterò in piedi e non avrò paura, all’epoca, e cercavo di tradurlo in un imperativo di vita.
Tornando, non avevo ottenuto una valigia ordinata, ma sapevo che l’Olanda, per una serie di ragioni, non sarebbe stato il Paese in cui avrei scelto di vivere la vita.
Continuo a crederlo.
Vorrei poter continuare a scegliere.
Anche se solo di cambiare quel che credo.
Non voglio una corsia obbligata nella mia vita. Credo nessuno la voglia.

Da mesi, a giorni alterni

il mio papà mi raccomanda di star tranquilla, si sistema tutto, mi vuole bene.
Me lo ricorda anche la mia mamma.
Dura, tutt’un pezzo, m’impongo di esserlo. Fuori, per me e per gli altri. Dentro, è tutta un’altra storia. Loro lo sanno. Perciò mi tranquillizzano di continuo.
E io di loro mi fido. Ciecamente.

Perciò cambio prospettiva, mi educo alla tranquillità.
A Natale, andiamo a conoscere l’inverno e il desiderio del calore in un brodo bollente o una cioccolata calda, dopo aver visto la neve cadere, pattinando sul ghiaccio. Vorrei regalarci un cappottino rosso per l’occasione, con il cappuccio largo, mi sembra fiabesca l’immagine.
Torniamo ad Amsterdam, è bellissima Amsterdam, non ci sono solo puttane e coffee shops, c’è arte, movimento, colore ed il museo del sesso con una fila chilometrica di maschi per i cessi, divertente da matti.
Andiamo a Berlino a vedere la ferita che spacca la terra e l’aria, è vicina Berlino, a un tiro di schioppo, dicono lasci il segno, come tutto quel ch’è segnato.
Soprattutto torniamo a sognare. Lo meritiamo anche noi.

Vi amo.

Al-di

agosto 1, 2010

Mood: operativo
Listening to: Paolo Nutini – Rewind
Reading: National Geographic Online
Eating: muffin appena sfornati
Drinking: acqua




Italia, Bari


Durante una di quelle loro chiacchierate, Lavinia gli aveva detto che credere che il mondo finisse all’orizzonte le metteva claustrofobia: in punta di piedi si tendeva verso l’al-di-là, frugava con la curiosità e la fantasia di un bambino e con la sua tenacia riportava qualcosa al-di-qua. Poi lo custodiva nel cuore, lo teneva al caldo anche per quei giorni meno buoni, in cui sorridere le risultava troppo difficile.

*
Lavinia. In parte alter ego. In parte ciò che vorrei essere e non sono.
Lei è una delle donne dei miei racconti incompiuti.
Aspetto sempre che ritorni a chiacchierare con me. Magari di fronte ad un caffè. Poiché per entrambe è un rito.

Scattando questa foto pensavo a Franco Fontana. Conoscerlo, oltre ad avermi letteralmente stregata, mi ha reso più forte delle mie (ancora in fieri) idee espressive.
Quando ho iniziato a fotografare, Photoshop era un punto di passaggio indiscutibile, così come la manipolazione. Adesso non più. Mi limito alle correzioni sui contrasti, sulle dominanti. Mi concedo qualche virata.
Il fatto è che c’è troppa bellezza, troppa poesia nel mondo, così come troppa bruttezza e troppo squallore. Ci sono tante tracce nel modo, tante storie e suggestioni, così come tante emozioni dietro un gesto, uno sguardo, una parete, un incontro tra terra e cielo. A me piace osservarle, coglierle per ciò che potrebbero essere. Interpretarle per come si presentano ai miei occhi. O perchè no?, immaginarle, fantasticarle. Raccontarle.
Dare un sussurro al silenzio o semplicemente accettarlo, senza paura.