Suon di #lutto
novembre 15, 2015
Mood: addolorato
Reading: aria fritta
Listening to: Brett Dennen – Ain’t No Reason
Watching: The Salt of the Earth by Wim Wenders
Eating: uova
Drinking: caffè
Troppo spesso negli ultimi anni ho assistito a lutti clamorosi a suon di ashtag e non serve un filosofo per capire che il sensazionale motiva l’opinione. Troppo più spesso il populismo.
Io risparmio il fiato e penso alla vita, alle bombe, al cielo che avvampa nella luce delle fiamme, ai cadaveri disseminati su tutto il Globo, alle anime in fuga dal Globo – dal Libano a Parigi, dalla Siria all’Iraq e poi ancora in Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Ucraina, Gaza, Somalia, Yemen e Tanti Altri Ancora difficili da tenere a mente. È un’epoca di massacri orribili, la nostra: il Mondo intero sta andando in briciole. E il cuore mi salta all’aria ogni giorno più volte al giorno.
Basta essere uomini per vergognarsi di essere uomini. Certo, la vita continua perché la vita continua anche quando ne avvertiamo il peso per le troppe lacrime raccolte nelle tasche, persino quando con le tasche ossidate pronunciamo l’ulteriore chiamata alle armi. Ma a essere onesti per la prima volta mi sto chiedendo se davvero la vita valga tutta la pena che viene dal vivere. E, nell’infinito numero di storie da raccontare e già raccontate, non trovo una sola risposta soddisfacente.
Gravità selettiva
aprile 9, 2014
Mood: inquieto
Reading: David Grossman, Ci sono bambini a zig zag
Listening to: Bijelo dugme – Ne spavaj mala moja muzika dok svira
Watching: Kill your darlings di John Krokidas
Eating: marmellata di mirtilli
Drinking: infuso di limone e zenzero
“Un oggetto cadrà sempre in modo da produrre il maggior danno possibile.”
[Arthur Bloch, Legge della gravità selettiva, La legge di Murphy, 1977]
***
Due settimane fa mi sono misurata con una rampa di scale in stazione. Indipendentemente dalle cause, gli effetti sono stati – diciamo così per sfortuna – lampanti su di me: contusioni facciali dalle meno alle più gravi, lesioni e ecchimosi di vario genere e un braccio, il sinistro, lussato. L’ambulanza è arrivata a sirene spiegate con due paramedici a bordo per me soltanto, ma ciò non toglie che, contrariamente a ogni buon senso, questi due brav’uomini non mi abbiano disinfettato le ferite e che mi abbiano spedita con un tram dal medico curante, il quale era però alle Galapagos, sicché qualche ora dopo sono stata ricevuta su appuntamento da una dottoressa sconosciuta che mi ha guardata tra uno scuotimento di testa e l’altro e mi ha detto con atteggiamento assai sportivo «domani sarà se possibile anche peggio» e per consolazione mi ha prescritto otto pasticche di paracetamolo al giorno, congedandomi infine con un solerte «passerà», «ma grazie al cazzo, dottoressa!», al che sono seguiti tre giorni a letto in cui ho letto libri e basta – altro che gli analgesici chimici – e una settimana di alimentazione a cannuccia.
A oggi le cose, specchio canta, vanno migliorando: giorno dopo giorno, i gonfiori rientrano e lasciano spazio alle forme originarie, i lividi ingialliscono e si preparano a cadere, le ferite si richiudono su se stesse e si ritraggono in canaletti duri sotto cutanei, il tessuto epidermico riacquista elasticità e porosità, i muscoli e le articolazioni cedono e si sciolgono alla debolezza dei movimenti, eppure – e questa è sicuramente la cosa straordinaria – più giorni passano, più divento cianotica. È a causa si direbbe di questo singolare movimento di convalescenza – questa primavera del corpo – che invece di liberarsi verso l’esterno, sprofonda sottopelle e pianta il dolore nei tessuti molli laddove germina aggrappato alle ossa e si moltiplica correndo lungo i vasi venosi, mescolato al sangue e all’ossigeno, ma in quantità nettamente superiore, motivo per cui il flusso vitale si fa denso e, non riuscendo piú a scorrere bene dal cuore alle periferie del corpo, mi intasa le arterie – la mia urgenza di vita. Allora lo stomaco, dove c’è la depressione del respiro sottoposto a mille spasmi, va a fuoco, esala puzzo e fumo da restarci asfissiati e il cuore, là in cima, si mette a picchiare come un condannato a morte contro la cassa toracica, bubum buBUM BUBUM e poi strappi capillari di luce incommensurabile. Sono giorni che sembra debba arrivare il temporale.
Prima di cadere, me ne stavo ferma e immobile al limite di un ricordo bellissimo: la levità.
Prima di cadere, me ne stavo ferma e immobile al limite di un ricordo bellissimo: la levit.
Prima di cadere, me ne stavo ferma e immobile al limite di un ricordo bellissimo: la levi.
“La felicità è rivoluzionaria”
gennaio 8, 2014
Mood: conciliante
Reading: Jack Kerouac, On the road
Listening to: tic tac, tic tac, tic tac,
Watching: The Hobbit: The Desolation of Smaug di Peter Jackson
Eating: melone
Drinking: tisana della buonanotte
Nine Feathers – Heidi Harris (ft. Eta)
“È mia precisa missione dirlo a tutti.”
***
E comunque se la storia della collaborazione tra Heidi Harris – Astoria, New York, USA, America – e Eta – Utrecht, Olanda, Europa – è già di per sè particolare [si veda qui],
quella che sta dietro Nine Feathers lo è ancora di più. La storia è questa:
Il funerale
dicembre 27, 2013
Mood: rigenerato
Reading: Jack Kerouac, On the road
Watching and listening to: Sébastien Tellier – L’amour naissant (Official Video)
Eating: pizza
Drinking: caffè
«A mia nun m’a fari mali o cori.» precisa il signor A., riprendendo un discorso interrotto un pugno di minuti prima per consegnare a un habitué del suo locale la cena da asporto ordinata via telefono. «Altrimenti ti metto la croce sopra.»
Sorrido al modo di dire. Quanto al signor A. non ha ombre di incertezza tra le rughe attorno agli occhi stanchi. Parla con gran serietà. «Nun schirzo.» dice, infatti. «To’!» e ci mostra, cacciandolo fuori dallo scollo della sua t-shirt bianco farina e isolandolo da altri pendagli, un cerchietto d’oro con una croce latina nel mezzo. Se lo gingilla per qualche secondo tra pollice e indice prima di richiuderlo nello scrigno fatto di petto e trame di cotone. «La fedina del mio primo fidanzamento, tant’anni fa.» precisa per cancellare qualsiasi dubbio.
Nel silenzio a seguire, avverto chiaramente un palpito più forte come quando da bambini ci si scopre innamorati e poi la pelle d’oca veloce lungo la spina dorsale.
Con l’immaginazione, rievoco infinite volte una dopo l’altra il signor A. entrare in una gioielleria, lanciare la fedina d’oro sotto il naso dell’orafo ancora ripiegato col monocolo su un pezzo da tre grammi e commissionargli la saldatura di una croce latina all’interno dell’anello in modo tale da dividerlo perfettamente in quattro, impedendo così e sbeffeggiando qualsiasi possibilità di indossarlo ancora nel futuro. Memorabile.
Ci tengo a ringraziare Glauco Canalis per l’aiuto col siciliano.
Annotazione sulle disfunzioni dell’armonia
ottobre 24, 2013
Mood: enfatico
Reading: itinerari lungo la metropolitana londinese
Listening to: Ellie Goulding – Nobody’s Crying
Watching: la partita con la telecronaca in olandese
Eating: cavatelli e broccoli
Drinking: succo di mirtilli
[…]
Il fatto, ho l’impressione nasca da dentro, da uno sforzo titanico eppure minimale all’apparenza di intro-spaziare e intro-ispezionare,
‘ché io sempre, tutte le cose migliori le colgo mentre sono in movimento e, andando, riconquisto la certezza di avere i piedi robusti quanto basta e anche più per poterle inseguire.
Allora ho colto che “a interporsi tra me e la mia serenità non sono né la fatica, né l’insoddisfazione, né gli scorni, né i tormenti, piuttosto il tentativo di mantenermi sulla loro superficie.
Sono certa che adesso smettere di farmi la guerra significhi sprofondare, sviscerare senza sosta e cavare il dolore dal petto.”
[treno Maastricht – Eindhoven, 8 ottobre 2013, di ritorno da Milano, di ritorno dal paesello – a matita sul taccuino verde]
A volte l’armonia è come se i tormenti non dovessero presentarsi mai più. A volte, l’esercizio all’armonia – quando diventa chiaro come secernerla – si altera in una negazione dell’abisso. Eppure l’armonia non è che la risultante di tutta una nuova consapevolezza rigorosa che governa il transito e la metamorfosi del dolore e della felicità.
“Il mio vecchio cuore, quello con cui mi sono innomorato”
luglio 11, 2012
Mood: instabile
Reading: Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata
Listening to: The Platters – Only You
Watching: il temporale
Playing: a ungermi di cortisone dopo che uno stuolo di zanzare ha fatto strage di me
Eating: melone
Drinking: acqua
“Questa sera vado a letto desideroso di frugare nel cestino della passione, fra i ricordi e i sogni. Voglio vedere cosa resta del mio vecchio cuore, quello con cui mi sono innomorato.”
[Mathias Malzieu, La meccanica del cuore]
Qualche pezzetto ne è rimasto sotto il cuscino insieme a tutte le cose preziose che ci nascondo fin da quando ero minuscola un pollice e credevo che nel torpore tutte le cose preziose nascoste sotto il cuscino parlassero ai miei sogni li persuadessero a non turbarmi e da allora negli anni il mucchietto è cresciuto ha assunto una morfologia assai consistente e dinoccolata al punto che quando ci appoggio sopra la testa devo farlo con leggerezza per non frantumare o riattizzare alcunché.
Quelle volte in cui succede che sono maldestra, i pezzetti del mio vecchio cuore si mettono a cigolare un sacco a perdere ruggine pieni come sono di condotti di sutura raffazzonati alla meglio più che di capillari ostruiti e rinsecchiti, a farmi male a piantarmi nel petto gli antichi lamenti d’amore di chi tanto amando tanto senza confini noti è rimasto in attesa di una meta che non era stata prevista e implora perdono per aver tollerato di essere ridotto a sussulti e stanchezza dopo aver barattato le corde per vociare un usuale impersonale – così sembrava – e per tradizione sereno ti amo, mi manchi, voglio baciarti con le congetture magnifiche di una nuova forma essenziale scolpita a tutto tondo da rare straordinarie e per tradizione tempestose emozioni, quindi tanto meglio se faccio attenzione.
Mai avrei pensato che a causa dell’infelicità un cuore potesse consumarsi per sempre perdendo un pezzo dietro l’altro e restare in briciole nella conca dell’anca destra senza far dolore prima o poi mi riesce di rimetterlo insieme pensavo, ma dopo tanto rigirarmi per tutto il mondo tra bonzi e stregoni non ho trovato un solo pezzo di ricambio per il mio vecchio cuore vecchia scuola finito fuori serie da qualche anno, nessuna diavoleria avrebbe potuto aggiustarlo.
Perciò ho raccolto qualche pezzetto tra i più grossi rimasti del mio vecchio cuore nella conca dell’anca destra e li ho nascosti sotto il cuscino, quel po’ che restava l’ho soffiato in polvere al vento che ne avesse un po’ d’amore. Nella cava ormai vuota del mio petto ho ficcato un cuore nuovo di fiamma conquistato dopo mille fatiche in fondo a un imbuto, ho allacciato per bene vene e arterie e l’ho azionato.
Il mio nuovo cuore è un prodigio, ha una capienza esagerata dentro un assetto ben saldo e compatto ma estremamente leggero e flessibile sicché mentre pulsa tutto euforico e impaziente i flussi e i deflussi della vita intera vanno avanti e dietro avantiedietro senza che mai la sacca si svuoti o si ingombri, entrano in circolo e con quale fierezza il mio nuovo cuore mi insegna che la vita intera si percepisce nella misura di quello che si decide di accogliere abbracciare incanalare tra possibilità e pesi in atto, con quanta diplomazia svolta malumori in buonumori, eppure
Io col mio nuovo cuore non mi sono ancora mai innamorata. Sembra quasi non ne abbia bisogno tanto è sicuro di se stesso e pago del suo connubio con la vita intera, il mio nuovo cuore si direbbe innamorato del modo in cui ama.
Allora ogni tanto prima di addormentarmi sollevo il cuscino sotto il quale nascondo tutte le cose preziose fin da quando ero minuscola un pollice e rovisto tra i pezzetti rimasti del mio vecchio cuore, del mondo che rappresentava che avevo dove stavo e che non esiste più, resto un po’ in ascolto dei cigolii come della nenia scordata di un carillon di quelli con la ballerina dagli arti sottili che si gira attorno in punta di piede per meccanica reiterazione senz’anima,
poi tutti i pezzetti rimasti del mio vecchio cuore li nascondo di nuovo sotto il cuscino tra le altre cose preziose e vado via per il mondo ‘ché c’è ancora tutto da fare e più che del mio vecchio cuore col quale mi sono innamorata, più che del mondo che rappresentava che avevo dove stavo e che non esiste più non voglio più, io ho bisogno di sentire le emozioni vivide ed espanse di quando sono innamorata. E io col mio nuovo cuore non mi sono ancora mai innamorata,
ho bisogno di pensare che posso ancora innamorarmi che a irrigidirmi non è la paura del mio vecchio cuore in polvere e pezzetti, quello con cui mi sono innamorata.
Che con tutti i flussi e i deflussi della vita intera che fa andare avanti e dietro avantiedietro entrare in circolo prima o poi il mio nuovo cuore, quello con cui non mi sono ancora mai innamorata, busserà al petto e mi dirà ci siamo innamorati.
[2 luglio, non a caso]
***
Comunque sulle pagine de La meccanica del cuore di Mathias Malzieu ho pianto senza risparmiare lacrime ‘ché tanto sulle lacrime la crisi mondiale non prevede tagli. L’ultimo libro che era riuscito a coinvolgermi a tal punto è stato Che tu sia per me il coltello di David Grossman. È successo quasi quattro anni fa ormai, avevo ancora il mio vecchio cuore. In verità, sulle pagine de La meccanica del cuore ho pianto senza risparmiare lacrime per la prima volta da quando ho il mio nuovo cuore.
Insomma, tanto per fare un po’ di vendita promozionale che in certi casi è doverosa.
Dyonisus è il gruppo di cui Mathias Malzieu è frontman e cantante solista. La mécanique du cœur è il disco con il quale mettono in musica l’immaginario del libro.
Abissi
marzo 22, 2012
Mood: quieto
Listening to: Michael Kiwanuka – Home Again
Watching: The Bull Laid Bear di Zanny Begg & Oliver Ressler
Playing: a riordinare gli archivi digitali, un’impresa ardua più che un gioco
Eating: tiramisù super buono fatto da Yanna
Drinking: acqua
“Amavo di te la pena di una persona non amata. E’ stato così triste volerti bene.”
[Artribune, anno 2, numero 5, Gennaio-Febbraio 2012]
Ho sentito freddo nelle ossa.
(…)
Fuori intanto la gente toglieva i cappotti e metteva in mostra le braccia.
– Pugni di parole per miniere di emozioni. –
Legge costituzionale
dicembre 29, 2011
Mood: compagnone
Reading: Chatwin, Che ci faccio qui?
Listening to: Tom Waits – Time
Playing: a correre nel vento per le strade di Delft
Watching: fulmini in lontananza
Eating: cheesecake da Uit de Kunst
Drinking: cappuccino
Che in me i momenti del piacere siano annodati all’esplosione in gola delle sacche del dolore in quarantena è una legge non scritta.
Perciò adesso non mi sorprende la sensazione tutta fisica dell’anima che si lacera in più pezzi senza preavviso in momenti impensati della giornata, facendo i salti mortali tra le cime del piacere, per l’appagamento e per tutte le prospettive che sta fruttando il mio lavoro, e le slavine del dolore, per quello che è caduto a pezzi e per quello che forse verrà, ma intanto si ostina a mancare.
Nella mia realtà del momento, i cambiamenti si incuneano con una rapidità da capogiro, qualcuno lo graffio dalla pietra dei giorni, qualcuno mi capitombola in braccio e lo puntello. Entusiasmo, fierezza, timori e incertezza si fondono insieme e fin qui niente di strano, ogni sentimento rende possibile il dannato vivere.
Ma spesso, alla fine di un giorno qualunque, dopo aver tanto corso e tanto sudato energia, mi sento persa. Nel mezzo è capitato più volte di aver lasciato cadere un sassolino lungo l’aorta, sperando negli angoli più buoni per poter rimettere ogni cosa e cercare conforto, leggerezza o semplice e ineducata condivisione. Altrettante volte è capitato di sentire ritornare solo le eco stridenti dei luoghi del cuore che un tempo furono giardini e ormai sono deserti sconfinati.
Con i tempi che corrono sarebbe meglio tenersi vicini, scaldarsi col fiato. Allora com’è che i doppi legami in cui mi cullavo giacciono sfilacciati nella terra e già ingrassano i primi giacinti? Ricordo sorpresa di aver creduto in ognuno di quegli amabili avanzi così tanto da sentirmi troppo piccola per non correre il rischio di esplodere. Sono consapevole che qualsiasi cosa finisce, ma come può qualsiasi cosa finire? È come prendere nello stomaco un pugno e vedere dischiudersi un gorgo. Rimpicciolisco. Mi risucchio al centro. Ed esco dalla felicità. Se c’è una cosa che mi fa male è non capire dove, quando e perché le direzioni sono diventate opposte. E valicando i patetismi di un necrologio qualunquista, scivolo in una delicata rassegnazione. Mai, prima d’ora, mi era capitato di sentirmi così.
Ecco, bisognerebbe che io sondi e argini una volta per tutte il meccanismo per il quale un’ondata di gloria non possa restar tale per più di un secondo prima di sprofondare in una qualche falda putrida. Bisognerebbe perché inizio a esserne stufa. L’udienza è aperta.
Per mirare il nocciolo della faccenda, non mi nascondo che tanto sono tronfia di gratificazioni lavorative, tanto sono sul lastrico dei sentimenti. Ma se c’è qualcosa di puramente umano, questo è l’incapacità di sorridere davvero alla vita quando i ritagli più intimi ed emozionali dell’esistenza sono scoperti al freddo. D’altra parte, con me il gioco è particolarmente facile. Qualunque idiota potrebbe intuire che il mio punto di massima vulnerabilità e contraddizione è negli affetti. In tutta onestà, ho un talento particolare per le circostanze squilibrate. Forse un istinto naturale.
Certo, adesso potrei lasciarmi andare ai venti nuovi che soffiano da ovunque, stringere legami più freschi, mappare nuovi riferimenti. Non mi diverte stare inchiodata mani e piedi a far arieggiare il cuore dalle scie degli amori persi. Vorrei anch’io sapermi concedere l’occasione per bruciarne di nuovi. Ma è come se, al momento, la mia anima fosse priva della capacità di avvicinarsi veramente a qualcuno e di incastrarsi.
Perciò, quantunque mi sfogli la pelle con scrupolo, il volto più viscerale della mia vita resta, fuori da un taglio qualsiasi di luce, con le orbite senz’occhi. E date le circostanze, quel sentimento di nuda verginità in un presente che non mi è amico, rattoppo i pozzi profondi che, fissandomi, m’affliggono con tutto ciò che di più vicino all’umano raggranello in fretta sui lidi della mia anima, sassi e conchiglie per lo più, postumo, spurgo, rimasuglio, sedimento di vecchi fiati e battiti cardiaci. Presenze che testimoniano assenze, assenze che riempiono vuoti. A ognuno il suo personale portagioie.
Ordunque si manifesta il valore costituzionale della legge non scritta per la quale in me i momenti del piacere sono annodati all’esplosione in gola delle sacche del dolore in quarantena.
Eppure sarei ingenua a pensare che non c’è modo di andare al di là. Dopotutto, in questo mondo non esiste legge, finanche la più costituzionale, non aggirabile con un affabile cavillo da azzeccagarbugli. Forse questa storia ha che fare con la meschinità più di quanto non voglia riconoscere. Più di quanto non voglia riconoscere, ho detto. Ebbene. Mi calo nell’etilene, poi di faccia in un cesso e mi assento dalla dignità. Faccio passare la notte. Epuro lo stomaco dei succhi gastrici. All’alba ho passato troppo tempo spezzata in due per voler continuare come fin’ora. Perché credere di poter riempire le mancanze con le assenze, perché se una vita può esser piena di presenze? A volte devo fare qualcosa di molto brutto quantomeno per farmi forte di una serenità nuova e accomodarmi quelle stesse possibilità che ho troppo ostacolato. Non so granché, soltanto che andare da questo luogo a un altro, quale chissà, mi bacerà, nutrirà, terrà viva.
L’udienza è sospesa.
[in merito a questa storia, si ringraziano – con tutto il cuoricinoinoino –
Lou e Yanna per la luminosa sempreveravicinanza]
Le scarpe consunte // Esercizi di stile
dicembre 27, 2011
Mood: (in)quieto
Reading: la nuova normativa sulla mobilità olandese per capire come spostarmi
Listening to: Birdy – Shelter
Watching: la condensa alle finestre
Eating: a breve, sento puzza di rape, si salvi chi può
Drinking: te asprigno
(Andare. Per miglia. Talvolta più vicino. Talaltra più lontano.)
Di certo non si sarebbe potuto dire che per amore avesse mai risparmiato le scarpe.
***
Com’è sospettabile, un esercizio di stile liberamente ispirato a fatti di cronaca personale. Poi neanche troppo liberamente. Direi pedissequamente, questa volta.
Tanto per apporre un inciso, stamattina non avevo voglia di perdonarmi il desiderio di aver cura di me e di essere nauseata, se non proprio arrabbiata, senza per questo crocifiggermi con sensi di colpa illegittimi.
Per quanto riguarda l’esercizio, tentavo da mesi di scrivere un racconto brevissimo.
Sono stata educata abbastanza in fretta alle virtù della sintesi. Ogni volta prima di iniziare a scrivere, la mia prof.ssa di letteratura al liceo, ci ammoniva di essere “chiari, concisi e compendiosi”, ché non serve imbastire archi verbali e ghirigori estetici per raccontare qualcosa. Tutto quello che scriviamo, a una seconda lettura si può ridurre sempre quantomeno alla metà, senza per questo perdere il senso. A patto che le parole e i costrutti sintattici da utilizzare siano ponderati e non lasciati al caso.
Del resto, questa faccenda del valore di ogni singolo termine mi sta molto a cuore, è risaputo. Tanto più oggi, quando, a causa delle dosi massicce di materiale alfabetico che mettiamo in circolazione – per gran parte con mediocre qualità da scribacchini –, le parole sono le prime a sprecarsi, perdendo spessore e profondità.
Ebbene, (provare a) scrivere un racconto concentrato in una frase è un ammonimento continuo a dosare il peso di ogni singola parola, in modo tale che la suggestione di una vita possa respirare dentro poche lettere.
Io resto della convinzione che scrivere bene è un esercizio, non un’istintività felina.
Amniotica // Un Autoritratto Provvisorio IV – Dicembre 2011
dicembre 27, 2011
Mood: taciturno nauseato
Reading: quello che Lou mi scrive in chat, facendomi ridere a orari improponibili
Listening to: Laura Pausini – Bastava (e sì, lo so che Laura Pausini è nella tripletta primordiale dei cantanti italiani che mi stanno sul culo, ma questa canzone è una storia a parte perché il testo è di Niccolò Aglierdi e lo sento molto mia in questi giorni dalle ri-considerazioni affettive. E sì, la canto pure. “Bastava fare a meno delle buone maniere”)
Watching: le vetrate illuminate dei palazzi di fronte
Playing: a ficcanasare nella vita degli altri con papà, grazie feisbùc!
Eating: tortelli in brodo
Drinking: te
‹‹Abbine cura, questa ferita sta andando in cheratosi.››
‹‹Che benedizione!›› Se continua a creparsi, questa volta è perché i nuovi albori premono per germogliare in un sangue purgato. E qualcuno già s’insinua e gorgheggia.
Non mi sono mai considerata una dai modi gentili con se stessa, tanto più nel dolore. Per questo mi piace pensare alla mitezza inaspettata con cui oggi affronto i pungoli tra cuore e cervello, quando penetro nel buio attraverso la gola della ferita più fresca e ne traggo chiarore da spargere fin nel movimento più minuto. In questo ritrovo bellezza. Non più nell’essere coperta di lividi, di rabbia e d’orgoglio.
Questo pomeriggio, in un parco a Rijswijk ho anche visto un uccello ignoto che sembrava una fenice. Una creatura spaventosa e attraente da perfetta sconosciuta.
Concretezza
ottobre 14, 2011
Mood: conciliabile
Listening to: canzoni ad elevata concentrazione di bassi ed energia rabbiosa
Watching: 1°) una valanga di bei films; 2°) un cortometraggio da “non ci resta che piangere ed io che volevo fare il cinema tanti puntini di sospensione” scritto e diretto da Tornatore per Esselunga – prima e seconda parte ricercate appositamente per voi -; 3°) il nuovo videoclip di Brucerò per te dei miei amati Negrita, in merito al quale mi mangio le mani e mi domando perché sprecare immagini bellissime e suggestive come quelle dell’immobilità frammentata nel nulla di fatto del video nella sua complessità.
Playing: a produrre endorfine
Eating: spasmodicamente, considerate le mie abitudini
Drinking: tisane alle erbe
Felicità.
Va a viene. In verità, mai troppo lontana dal nostro intorno e dal nostro giorno più immediato.
Malgrado tutto, si fa. E si rifà.
Ultimamente accuso un troppo diffuso sentimento di costipazione emotiva generata dall’assalto frontale di avvenimenti e pensieri da cui non sono stata veloce a proteggermi, e dopotutto si sa, a piovere viene giù sempre sul bagnato.
Certi giorni, proprio non mi sto nella pelle. Mi sento fisicamente schizzare fuori da me. Non è “come se”, certamente ho all’interno qualcuno che urla e prende a pugni gli organi e fracassa le ossa, mentre io resto con le mascelle serrate a millantare uno stoicismo che devo ancora sviscerare tra i respiri più profondi. Mi fa male e senza filtraggio.
“Io darei la mia vita, / le ebbrezze più nauseanti della vita, / per sapere passare in quelle luci / come passa quel giovane / che le ha calme nel sangue, / com’è passata quella donna accesa / che ne ha intorno e negli occhi / tutta la limpidezza allucinante.” scrive Cesare Pavese nella prima de Le Febbri Luminose. Ugualmente io, ed io per me medesima mi depreco! Ho compiuto passi da gigante per alleggerirmi le scarpe e le tasche e le sacche emotive, ma nonostante tutti i sassi sterili lanciati alle spalle, resto un esseruncolo oscuro e grave che la terra magnetizza verso il suo nucleo, stringendo le vie di fuga a giorni alterni. Così mi inchiodo negli occhi di quanti, pur senza necessariamente sciacquarsi soltanto in superficie della vita, non perdono chiarezza e leggerezza, e mi sembrano esseri eterei questi ultimi e splendenti. Sicché inevitabilmente io per me medesima mi depreco! Ho ampiamente bypassato la pretesa tutta paradossalmente umana di cucirmi addosso una qualche forma di perfezione, neanche esistesse su questa terra, la perfezione!, ma fossi diversa, che non necessariamente significa meglio di come sono, sarei certamente meno intimamente sola, ed allora perché semplicemente non mi riesce di smettere di interiorizzare tutto quanto così tanto e di segare ed arzigogolare elucubrazioni celebrali e cardiache fino a farne cavezza?
Concretezza.
Per gente come me, servirebbe quella soltanto.
Di tanto in tanto ed in dosi massicce.
La tristezza NON è glamour
novembre 2, 2010
Mood: happy, shalallà!
Reading: Racconti di Gianni Rodari
Listening to: Après la Classe – I Love You
Tribalistas – Ja Sei Namorar
Playing: in Chat roulette, rigorosamente travestiti e truccati (si rimanda al blog di Yanna per delucidazioni in merito)
Eating: torta salata zucca, radicchio & gorgonzola + soufflè di zucca e cioccolato
Drinking: Heineken
“Forse non è proprio legale sai
ma sei bella vestita di lividi
M’incoraggi ad annullare i miei limiti
Le tue lacrime in fondo ai miei brividi”
Lo cantano gli Afterhours, c’è stato un momento in cui non ascoltavo che loro, La Sottile Linea Bianca, Play “Ora che sei vera / Sai la verità / Siamo vivi per usarci…”, Next, Ballata Per La Mia Piccola Iena, Play, “La testa è così piena, non riesci più a pensare che anche senza te si possa ancora respirare!”, Next, E’ la Fine la Più Importante, Play, “Tutto ciò che hai sempre amato giace in una fossa / che han scavato le tue stesse ossa…”, Next, La Vedova Bianca, Play “C’è qualcosa dentro di me / Che è sbagliato / E non ha limiti / E c’è qualcosa dentro di te / Che è sbagliato / E ci rende simili…”, Next, Strategie, Play, “So che lo sai / Gabbie di strategie / Fa quasi impazzire / Fa quasi impazzire / So cos’è…”, Next, Male di Miele, Play, “Copriti bene se ti senti fredda / Hai la pressione bassa nell’anima…”, Next, Rapace, Play, “Verrò come un rapace / A mutilare la pace / Dentro nel tuo cuore, eppoi / Se vuoi la mia reazione / Essia / Essia / Essia / Essia / Essia!…”, Next, Pelle, Play, “Cercherò su di me / La tua pelle che non c’è…”, Next, Quello che non c’è, Play, “Perciò io maledico il modo in cui sono fatto / Il mio modo di morire sano e salvo dove m’attacco / Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia / Quello che non c’è…”
Insomma, bro, taglio corto, capisci quel che voglio dire, no? Se le cose stanno così, io devo essere stata davvero bellissima, a tratti sublime, io, che ho raccolto per strada sassi da stipare nelle tasche e fiori pochi ed effimeri, che ho ingigantito mostri per i miei giorni e messo in latitanza dolcezza e ingenuità, gioie e ritmi tribali, che ho incitato me, menade ebbra sul mio stesso corpo e ne ho risucchiato il respiro, guardandomi dritto in faccia dentro uno specchio. Assieme all’ossigeno, nel sangue mi scorre l’Albascura dei Subsonica – mi ci hanno persino paragonata l’estate di tre anni fa, ficata.
“Si nutre di cose che fanno male
E ama quando è l’ora di odiare,
Si nutre di cose che fanno male
E odia quando è l’ora di gridare”
e là là là…
Ma sai che c’è, bro? Sono tutte cazzate. Una sera, sono capitata a bere una birra nel solito locale, con il solito gruppo d’amici. C’era in più una tizia mai vista prima, un’amica di un amico del solito gruppo d’amici. Avresti dovuto vederla sorridere. Avresti dovuto vedere come, anche quando non spingeva all’insù gli angoli delle labbra, gonfiando le guance, una serenità morbida permeava il suo sguardo, una gioia semplice, fatta di piccole cose, gli amici, le birra, le chiacchiere. Lei era chiara, lei era bella, lei era un mare calmo in cui è dolce il naufragare, non io, incappucciata nella mia malinconia complessa, illividita nei contrasti, un vermetto pallido io, truccato ad Halloween, v e r g o g n a.
13 Ott 2010 Da: X “Smettila di rincorrere chimere. Quaggiù c'è la vita.. Quella vera, quella reale e nn è facile per nessuno... Con tutto il mio amore..”
La smetto, bro, dico davvero.
La vita è troppo breve per trascorrerla in una logorante estetica del dolore e, come ha detto una volta un tizio – ma non un tizio qualunque per me – la sofferenza NON è glamour.
Dopotutto so ridere e sorridere, so sognare e danzare nel mondo senza peso, a piedi nudi. Perché continuare a negarmelo?
Perciò dai gas, bro!
Io sto in sella, stavolta non casco.
E questa salita la affrontiamo, ti dirò di più, la conquistiamo.
Viaggio leggera, sto svuotando le tasche.
Se ti sembrerò un po’ rude, un po’ imbranata, ricorda solo che così è la gioia di ogni inizio.
Stomaco
ottobre 3, 2010
Mood: in via di definizione
Reading: Manuale Nikon D90
Playing: con Pauline
Eating: yogurt fragola, lime e zucchero di canna
Drinking: acqua
Non aveva chiesto lei alla vita di prenderla a calci in culo. Ma che altro poteva fare se non ricambiarla?
Un souvenir per incontro. Lo riportava in brandelli di carne rammendata.
E lo custodiva nel baricentro, emozioni e reazioni, tutto convogliava lì, al caldo.
Avesse saputo poi come avrebbe ribollito, quali e quanti terremoti…
Di fatto, quel che restava era una grande faglia nello stomaco.
*Certe notti sono solo troppo lunghe, sfumano grigie nel giorno.
Libere associazioni
settembre 15, 2010
Mood: stremato (sessione autunnale del piffero!)
Reading: tesine e tesine
Listening to: Elisa (ft. Giuliano) – Ti vorrei sollevare
Watching: il monitor e se continuo gli occhi appassiranno
Playing: a distrarmi
Eating: gelato choco-muffin 🙂
Drinking: acqua
“Il filo rosso che unisce gli artisti selezionati è quello delle live performance, in cui l’indagine artistica si ibrida con la tecnologia per rispondere ad istanze di natura filosofica, antropologica e scientifica, oltre che sociale. I termini di modulazione di quest’analisi… ”
Gli esami sono troppi.
E troppa poca è la voglia di stargli dietro. Il culo rifiuta la sedia. E la testa si perde in voli pindarici, è spostata, c’è un errore di parallasse.
Proprio non ce la faccio.
Voglio dire, l’abbronzatura sta abbandonando la pelle, l’ho notato ieri in doccia. Cioccolato e latte tornano ad uniformarsi e presto sarò nuovamente candida, meglio dire pallida. Sto bene a cianciare! Pallida lo sono già, emotivamente.
“Dalla più immediata indagine sul rapporto uomo-macchina con Epizoo di Marcel-lì Antunez Roca, nella cui performance il corpo viene messo a disposizione del computer interattivo e diventa oggetto di un gioco di massacro…”
Corpo. Un giorno gli chiederò scusa, non sono una buona compagna. Non lo sono complessivamente.
“… si passa all’ambito di una corporalità vissuta nella sfera dell’emotività e della percezione con Laser Sound Project di Edwin Van Der Heide.”
Famiglia. Famiglia? Solitudine. Psicoanaliticamente. Vi amo.
Milano, Casa. Quest’anno ci provo. Mi ci metto d’impegno. Se apparecchio per qualcuno in più oltre me sento già il cuore riscaldarsi.
“All’incrocio tra reale e virtuale, il concetto di corporalità incontra i temi della presenza e dell’assenza, della prossimità e della distanza e quello del controllo, con Can You See Me Now dei Blast Theory…”
Tu. Io. Noi? Voi. Loro. Non so. Chissà. Domani. Sarà. (Un giorno migliore?) Ho conosciuto uno. Grazioso. Non ci penso nemmeno. Vorrei davvero correre tra le tue braccia. Ma se te lo dico mi lasci? Shhh. Ond’evitare.
“… e diventa termine di passaggio per una serie di considerazioni sulla concezione contemporanea di identità con COME.TO.HEAVEN di Gazira Babely.”
Chi sono? Dove sono? Cosa faccio? Cosa voglio? Come fare?
Olanda. Dovrei, ma non voglio.
Non tengo dinero. Tocca sgobbare.
E i sogni, in quale cassetto? Ne ho tanti, alcuni neanche li conosco ancora. Non so se ci stanno. Forse son meglio due cassetti.
“Sposta questo keyframe di un secondo. Più in qua, più in là, ma vaffanculo s’è sballato tutto.”
Nina dice che ci sono giorni in cui non succede niente. Poi ci sono quelli in cui succede tutto. Bello e brutto. Ecco. Appunto.
Oggi ho pensato che dovrei cambiare suoneria al cellulare.
Dicono sia depressiva.
Voglio essere propositiva. Ho imparato a piangere. Sto diventando forte, dico, sarà poi vero?
Ho le pile scariche, questo è certo.
Dai gas, dai gas! La vita è così. Più cerchi di definirla, più ti sfugge. Lei corre più veloce. Io ho il difetto di non arrendermi.
“Non posso ancora lanciare il render.”
Avrei bisogno di un viaggio. Bello lungo. In qualche posto lontano. Magari mediterraneo.
E’ troppo tempo che non mi nutro di bellezza, non provo meraviglia, non riposo.
Sono stanca.
Stanotte non dormirò. E’ per la zanzara. Continua a ronzarmi nell’orecchio. Mi dà fastidio. E poi faccio reazione allergica alle punture di zanzare.
Bubboni. Me ne spuntano fin nel cervello.
L’ho stordita. Al prossimo colpo l’ammazzo. Sono animalista e pure vegetariana, non farei male ad una mosca. A questa zanzara sì.
Metto su il caffè. Ne assumo in endovena.
Devo studiare. Dovrei. Poco male.
Ho un rigurgito di ansia.
Gli occhi s’intrippano, mi costringo a resistere. Sembro una fattona.
Notte bohemien.
Non intendo struccarmi. Al mio incontro con l’inferno voglio andarci ben conciata.
Corro a vomitare. Sarà che ho bevuto. Aria. E’ l’inquinamento. Air pollution.
Ne approfitto per fare pipì.
“La televisione è una tecnologia di trasmissione delle informazioni, una modalità di organizzazione, declinazione e distribuzione della comunicazione. La televisione ha cambiato il nostro modo di vivere a livello percettivo e neurofisiologico in quanto ha un forte impatto sul nostro processo di condivisione della realtà.”
Non sono disattenta. Non so come propormi.
Non devo propormi. Non è con me che intendi parlare. Più appropriato un estraneo per svuotare le palle.
Non siamo legati, non siamo legati, non siamo legati.
E’ un po’ come con le fate, Peter Pan la sapeva lunga! Basta crederci.
Ora siamo estranei.
Mi parli? Mi dici?
Ho bisogno.
Però. Qualcuno può domandarlo anche a me?
E’ passata una vita dall’ultima volta che un umano ha voluto sapere sestobenesestomale, che giro hanno preso cuore e testa.
Sono alla ricerca di un pozzo vuoto.
Devo svuotarmi le palle.
Due settimane al ciclo.
“Secondo la teorizzazione della scuola di Toronto, la tecnologia è un’estensione della sensorialità umana”
Rettifico.
Voglio dire, l’abbronzatura sta abbandonando la pelle, l’ho notato ieri in doccia. Cioccolato e latte tornano ad uniformarsi e presto sarò nuovamente candida, meglio dire pallida. Auspicabile. Sono fin troppo colorata, emotivamente.
*
Con la gentile concessione E dei miei appunti E di detti propri della mia quotidianità da studentessa.
Sono distante un po’. Causa studio, davvero!
Manca poco alla libertà!
Alba meccanica a Milano
settembre 7, 2010
Mood: tachicardico
Listening to: Sade – The Safest Place
Watching: fuori dalla finestra
Eating: pane e nutella
Drinking: latte
Alba meccanica a Milano.
E un cielo pesante affollato di gru, Cristo in croce con i due ladroni.
Fenduto, sferzato.
Se ruotando lo squarciassero, non mi meraviglierei, è così che deve andare.
Sgorgherà nero, a fiotti, a bolle.
E c’è chi ancora vaticina il 2012.
Sto aspettando una pioggia che sia purificatrice.
Cuore mio, che t’ho fatto?!
*
La foto che non ho scattato.
Il disegno che non ho abbozzato.
Maschera
agosto 5, 2010
Mood: preoccupata
Listening to: Baustelle – Andarsene così (sarebbe splendido veramente…)
Playing: alla ricerca dei nodi tra i ricci
Eating: insalata indigesta
Drinking: Moscato d’Asti
Dicono che il mio dolore ha una sfumatura tutta particolare quando si nutre di te. Accarezza la disperazione e la rassegnazione, il dubbio ed il desiderio, il silenzio e la voglia di urlare.
Dicono che mi si modella sul volto come una maschera di ferro.
Non sfugge neanche allo sguardo più distratto.
Ed io vorrei solo poterti custodire con più discrezione.
Dopotutto la Reazione
luglio 28, 2010
Mood: selvatico
Watching and Listening to: Scott Matthew – White Horse
Prima o poi anche questo castello di rabbia crollerà, abbattuto dall’onda schiumosa di un’alta marea infuriata.
Forse neanche sarai testimone della prima breccia nelle mura, troppo impegnata ad assaporare l’euforia bastarda della lotta contro la corrente, la tensione bruciante dei muscoli, il respiro affannato che si incastra tra le costole, e sale e vento negli occhi, tra le ciglia, la scalata alle labbra di urla di bimba selvaggia.
Nessuna paura.
Se questa vita è la tua malattia, ha in sé anche la tua cura. E che lo faccia velocemente o lentamente, a scorrerti in vena è il suo desiderio. Per deviazioni, fino al cuore.
Dopotutto la reazione ha mille volti.