Mood: quieto
Reading: (per finta) dispense per un esame imminente
Listening to: Beirut – Santa Fe
Watching: fotografie di luoghi col fuso orario diverso
Eating: yogurt magrissimo con gelato triple chocolat, è in atto un corto circuito
Drinking: acqua da una bottiglietta-biberon



Galleggerei volentieri oltre insicurezze e scarsa autostima,

Ma tu, insomma quando hai smesso di amarmi? Forse quando mi sono spuntate le occhiaie?

Ultimamenteffettivamente

marzo 21, 2011

Mood: quieto
Listening to: Subsonica – Sul Sole



Ultimamenteffettivamente, mi trascino la stanchezza alle spalle, come un Tobia attaccato al guinzaglio, una palla alla catena, un rompicoglioni alle scatole, insomma, a buon intenditor.

Ultimamenteffettivamente, “stanca” è il solo termine che utilizzo per raccontarmi, vai poi a vedere tutto quello di cui sono stanca, di quella stanchezza che mi marca gli occhi in nero, liquidi e pesanti, mi vedo brutta nello specchio, bruttissima, è come assistere ad una disfatta, giorno per giorno e perché cazzo non riesco a sorridermi?, perché cazzo non riesco ad amarmi solo un po’ e strozzo il respiro ad ogni minima perturbazione del cuore?

Ultimamenteffettivamente, al di là del troppo-troppissimo lavoro, a maggior ragione con i giorni di riprese in arrivo, tanto per il booktrailer, quanto per il cortometraggio, il vero problema sono gli scompensi, mamma, se mi stai leggendo, tranquilla!, non quelli alimentari, forse anche onestamente, quelli emotivi ed affettivi piuttosto, che poi, se ci pensi un po’, è degna fame anche questa. Incastrato tra lo stomaco e la bocca, resta un nugolo di storie, parole, desideri e paure, tossisco, sputacchio, ma non mi libero. In verità mi sommergo di lavoro perché ogni tempo morto diventa un’allucinazione ingestibile, affogo nell’ansia se non riesco a riempirmi la giornata di impegni e se non corro all’impazzata fisicamente e psicologicamente, anche a vuoto, fino alla tachicardia. Il problema sostanziale è che mi racconto va tutto bene, procedi, non perdere tempo in inutili piagnistei, va tutto bene, va tutto bene, sorridi tutto il tempo, non c’è più dolore, ma questa è una carnevalata, forse la peggiore che abbia mai messo in scena perché non è che se uno ha imparato a stare bene non può più star male, e il dolore, quando torna, non si può metterlo da parte, bisogna masticarlo, una due, tre volte, tutte le volte che serve fino a metabolizzarlo e piangerlo via, altrimenti la sacchetta del veleno si gonfia e scoppia, contamina il sangue e non si fa presto ad uscirne.

Ultimamenteffettivamente, sono fin troppo consapevole della necessità e delle modalità di un giro di boa nella mia vita, ho persino stipulato dei patti secchi di clausole con la mia anima, ma allora perché non riesco a perseguirli? Hai troppa paura di perdere, dice mia sorella, e non ti accorgi che hai la vita davanti, che mentre tu aspetti c’è chi va avanti ed allora non solo avrò perso quel che non voglio perdere, ma avrò perso vita, ed io ho paura di perdere la vita, mi fa uscire di senno l’idea di tutta la sabbia che scivola nel collo della clessidra e spaccherei ogni specchio, ogni superficie che riflette il tempo scorrere, mi terrorizza letteralmente il tempo, che poi il tempo è un soffio, non sai mai quando si stanca di scorrere, magari è un attimo, e non riesco a smettere di pensare a quanti ragazzi sono morti in meno di una settimana, quello in Belfanti, neanche sapevo esistesse, ne ho sentito parlare per la prima volta mentre spariva sotto il telo bianco, e tutto quello che so è di come se n’è andato, poi due amici di un amico, una notte, ancora la strada, di loro non so assolutamente nulla, ma non è che devi per forza sapere qualcosa di qualcuno per provare dolore, e poi Freddy, com’è possibile?, Freddy? mi faceva il caffè tutti i giorni Freddy, talvolta più di un caffè, e non è che fossimo intimi Freddy ed io, anzi ci conoscevamo appena, ma insomma, un po’ sì, mi faceva il caffè, chiacchieravamo al bancone ed era pieno di vita lui, come è mai possibile che non ci sia più?

Ultimamenteffettivamente, mi mangio mani, unghie e vene, ad arrivarci, mi fanno nuovamente malissimo i denti, ho persino sognato di perderli uno dietro l’altro, clang, clang facevano, e di restare ad osservarli sconvolta, grandi, orrendi, distrutti dal rosicare. Qualche giorno fa, mi è stata proposta una spiegazione psicosomatica per il mangiarsi le mani e le unghie, non le vene però, Fondamentalmente tu sei un animale e, nella coscienza evolutiva, le unghie restano il tuo strumento d’aggressione, pensa ad una leonessa, ma anche solo ad una gatta. Nel momento in cui nutri una voglia folle di aggredire qualcuno, qualcosa, qualcuncosa, ma per un motivo o per l’altro o per entrambi, preferisci non farlo e restar buona e calma, riversi tutta la tua aggressione sul tuo strumento d’aggressione per evitare che aggredisca. Esticazzi se è vero!, ho esclamato, centro di controllo, mandi pure i soccorsi che quaggiù si soffoca. Temo di vomitare all’improvviso e tutto d’un botto, come un fuoco d’artificio di lava e lapilli. Nel 79 d.C., il Vesuvio ha eruttato l’anima della Terra, distruggendo Pompei ed Ercolano, mica robetta, e, a millenni di distanza, esiste forse qualcuno che nutra fiducia nel suo sonno?

Ci sono giorni in cui ho un po’ paura che le cose mi trascinino via, senza possibilità di appiglio, che non arrivi più il sorriso, che non scenda più una pioggia torrenziale sotto cui ballare, solo acqua sporca che lava via ogni colore.
Poi, una notte, all’incrocio di un volo dei nostri cuori, lontano dall’immondo, verso gli sconfinati spazi vergini degli amori innocenti, ho conosciuto l’Agathe di Baudelaire, e nei suoi occhi ho scovato la stessa malinconia burrascosa che c’è nei miei, le stesse domande e le stesse preghiere e mi sono sentita meno sola.

Portami via, vascello, involami, vagone!
Via, lontano da qui, dove il fango è di pianto!
È vero che a volte, Agata, gridi nell’afflizione:
dal rimorso, dal crimine, dall’affannoso schianto
portami via, vascello, involami, vagone?

Le ho detto, Succede, non va sempre come si vorrebbe, piangi pure, Agathe, ma credimi, c’è spazio anche per noi, non disperare, non affannarti, forse il Paradiso è solo più lontano, per noi, forse dovremo cercarlo più a lungo, ma c’è spazio anche per noi. Lo sai che nella foresta tropicale, è l’assenza di luce che stimola la crescita? Lo sai che a un certo punto, la testa rimescola tutto e trova la luce nel buio e il sacro nel profano? La ricchezza, Agathe, è nella complessità e tu non sei un fondo di bottiglia vuota, non lo sei, Agathe, smettila di raccontarti stronzate. Ma li vedi i segni sul tuo volto?, li vedi, Agathe? Non è bruttezza, è la vita che ti si è aggrappata alla pelle, la vita, Agathe! Alza la testa, il mondo, le facce, i gesti, al rosso di un semaforo, emozionati, Agathe!, consolati, cattura il sole che ti illumina il colore degli occhi, stai in mezzo ai colori!
Che poi l’abbia detto per cullare anche me, si capisce.

Dopotutto, Oggi, è l’ultimo giorno!, canta Samuel nelle mie orecchie.

Mood: morfinizzato tendente, in fase di recupero
Listening to: strani moti di rivolta del mio stomaco
Watching: bucce di clementine disseminate senza ritegno sul tavolo
Eating: taralli
Drinking: vino bianco



Sabato e domenica velati di nostalgia, quando si acquieta il tram-tram e scompaiono gli “amici della settimana”, quelli che incontri a scuola, al supermarket, per strada, si fa silenzio e s’insinua il ronzio di una solitudine pensierosa e malinconica, troppo impalpabile per essere comunicata, e il pianto in fondo ad un orgasmo che scava il vuoto, non lo riempie come si può sperare.



Niente punti esclamativi. Niente punti di sospensione. Bado agli incisi.
Sto bene, nonstomale.
Solo continuo a fare sogni orribili e troppo reali, carichi di inquietudini e paure e neanche me li spiego. Poi penso e m’arrovello per un po’.


Ho pensato alle metamorfosi. Il mio più caro Amico, torna a Bari oggi, gli ho chiesto di abbracciarla per me che non la vedrò fino al mese prossimo, ma soprattutto non la vedrò ancora una volta al suo fianco. Il mio più caro amico vive a Roma da tre anni e nel corso del tempo è diventato sempre più difficile incontrarsi da me, da lui, a metà strada, anche solo far coincidere i nostri ritorni in madre terra. L’ultima volta che ci siamo visti è stato a marzo scorso, in terra francese per un viaggio lui ed io, uno dei più belli di cui serbi memoria. E’ il mio-me, lui, siamo cresciuti insieme quando farlo ci sembrava un’impresa troppo ardua e ci tenevamo per mano per farci forza così stretti che ci credevano fidanzati. Ieri ha preso il suo diploma in fotografia ed io non ero con lui. Mi manca e tanto, tutt’oggi è difficile accettare la nostra lontananza, l’assenza del nostro stare bene insieme costante ed indiscutibile, del ridere insieme e piangere insieme, senza vergogna. Penso a quanto Milano sia diventata la mia quotidianità, a quanto perché ciò potesse avvenire, abbia dovuto rinunciato (brrrrrrividi) a tutto ciò che prima reputavo irrinunciabile. Amicizie come la nostra tornano raramente, forse mai, perché rare sono le condizioni per cui riuscire a crederci. Un giorno gli ho scritto “manchi tu”, mi ha risposto “tu ci sei, ti vedo bene, proprio qui…”. Ed ho capito. Quando ci re-incontreremo, fosse anche tra un anno ancora (e no, sarà pur prima!), ci stringeremo forte e ci riconosceremo ancora come se non ci vedessimo che da qualche ora. Funziona così tra di Noi. Allo squillo, scendi!


Ho pensato di contro a quello che dice Joel in Eternal Sunshine of Spotless Mind: “Che spreco passare tanto tempo con una persona, solo per scoprire che è un’estranea.” ed io ora avverto il peso delle parole non dette, delle mezza verità in fondo ai frammenti di una storia. Bastardi buchi neri relazionali. Presto o tardi, toglierò le catene alle mie domande. Ho bisogno di quelle verità, mi sia concesso almeno loro. Che senso abbiamo altrimenti? … Dovresti restare, lo faresti? Mi piacerebbe.



Credimi se ti dico che, nonostante la soddisfazione complessiva attuale, ci sono giorni difficili anche per me. Eppure basterebbe un abbraccio sincero per sistemare tutto.
Perché sto bene, nonstomale.
Solo continuo a fare sogni orribili e troppo reali, carichi di inquietudini e paure e neanche me li spiego. Poi penso e m’arrovello per un po’.