Un paio di calzini sformati coi talloni consunti
ottobre 9, 2012
Mood: inquieto
Reading: Ercole Visconti, Parole illuminanti
Listening to (but also watching): Smammas
Watching: True Romance – Citizen!
Eating: pane e nutella
Drinking: latte (oggi sono in ritardo)
Oggi, nove ottobre duemiladodici, sembrerebbe che tu non sia mai passato nella mia vita.
Non fosse che hai dimenticato nel cassetto del comò accanto al letto un paio di calzini sformati coi talloni consunti,
che io sto usando per abbracciare il piede malato, quello sul quale ieri sono rovinata, il sinistro,
fatto assai brigante, sfacciato, infame,
mi ragguaglia su quanto [mi] manchi [e sarebbe meglio di no] oggi che proprio sembrerebbe tu non sia mai passato nella mia vita [la stessa che, a volte, costringo in esilio da te per istinto di autoconservazione],
su quel che tu (eri), io (ero) e tu e io (eravamo), ]
mentre quel che siamo è un paio di calzini sformati coi talloni consunti dimenticati [ .
Firma il mio amore problematico problematizzato
Memorandum VII
ottobre 31, 2011
Mood: pseudo-floscio, pseudo-allegro
Reading: Alan Moore & David Lloyd, V per vendetta
Listening to: Gotye – Bronte
Playing: a combattere l’insonnia
Eating: pane e nutella, come una bambina
Drinking: acqua
“Non so chi sei. Ti prego di credimi. Non c’è modo di convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi importa. Io sono Io, e non so chi sei, ma ti amo! Ho una piccola matita, che non hanno trovato. Sono una donna. La nascondo dentro di me. Forse non potrò scriverti più, così questa è una lunga lettera sulla mia vita. È la sola autobiografia che scriverò mai e devo scriverla sulla carta igienica. Sono nata a Nottingham nel 1957 e pioveva sempre. Dopo le elementari e le medie, andai in un collegio femminile. Volevo fare l’attrice. Incontrai la mia prima amica a scuola. Si chiamava Sara, aveva quattordici anni e io quindici, eravamo tutte e due allieve della signorina Watson. I suoi polsi. Quanto erano belli i suoi polsi. Sedevo nell’aula di biologia e fissavo il feto di coniglio nel barattolo mentre Mr. Hird diceva che era una fase adolescenziale che la gente superava… Sara la superò. Io no. Nel 1973 smisi di fingere e presentai ai miei genitori una ragazza di nome Christine. Una settimana dopo mi trasferii a Londra e mi iscrissi ad arte drammatica. Mia madre diceva che le avevo spezzato il cuore. Era la mia integrità che mi importava. È così egoistico? È a buon mercato, però è tutto ciò che ci resta. È l’ultimo centimetro di noi che ci resta… ma in quel centimetro siamo liberi. Londra. A Londra ero felice. La mia prima parte fu quella di Dandini, in Cenerentola. Il mondo era bizzarro, ignoto e frenetico, con quelle platee invisibili dietro i riflettori incandescenti e quell’emozione spasmodica. Ero elettrizzata e sola. Di sera andavo nei club, ma me ne stavo più che altro per i fatti miei. L’ambiente non mi piaceva: c’erano tanti che volevano solo essere gay. Era la loro vita, la loro ambizione, non parlavano d’altro. Io volevo qualcosa di più. Il lavoro andava bene. Nei film mi davano parti sempre più importanti. Nel 1986 interpretai “The salt flats”. Alla critica piacque, al pubblico no. Conobbi Ruth durante la lavorazione. Ci amavamo. Vivevamo insieme e il giorno di San Valentino mi mandava le rose. Dio mio, quanto avevamo. Furono i tre anni più belli della mia vita. Nel 1988 ci fu la guerra e non ci furono più rose. Per nessuno. Nel 1992, dopo il colpo di stato, cominciarono ad arrestare i gay. Presero Ruth mentre era fuori a cercar da mangiare. Perché hanno tanta paura di noi? La bruciarono con delle sigarette accese e la costrinsero a fare il mio nome. Firmò una denuncia secondo cui io l’avevo sedotta. Non gliene feci una colpa. Dio l’amavo, non gliene feci una colpa. Ma lei sì. Si uccise nella sua cella. Non poteva sopportare d’avermi tradita, d’aver rinunciato a quell’ultimo centimetro. Vennero a prendermi. Dissero che avrebbero bruciato tutti i miei film. Mi rasarono i capelli, mi misero la testa in un water, si scambiavano barzellette sulle lesbiche. Mi portarono qui e mi diedero dei farmaci. Non sento più la lingua. Non riesco a parlare. L’altra donna gay che era qui, Rita, è morta due settimane fa. Credo che anch’io morirò presto. Strano che la mia vita debba finire in un posto terribile come questo, ma per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno. Morirò qui. Ogni centimetro di me perirà… tranne uno. Un centimetro. È piccolo ed è fragile ed è l’unica cosa al mondo che valga la pena avere. Non dobbiamo mai perderlo o venderlo o darlo via. Non dobbiamo permettere che ce lo tolgano. Spero che tu riesca a fuggire da qui. Spero che il mondo cambi e che le cose vadano meglio, e che ci saranno ancora rose per tutti. Vorrei poterti baciare. Valerie.”
[Alan Moore, V per vendetta, Vol. VI, Cap. 11]
Un appunto su Il cielo sopra Berlino
marzo 21, 2011
Mood: quello di prima
Listening to: il vocio fastidiosissimo dell’aula studenti
Watching: facce
«Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento. Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo. Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo. Sta zitta, zitta!
Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo. In momenti come questi, come adesso.
Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia? Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora. Vivere. Basta uno sguardo. Il circo mi mancherà. È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.
Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.
Come se il dolore non avesse un passato. Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria…Finisce sempre proprio quando sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero. Finalmente fuori in città. Chi sono io? Chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero.
Qualcuno che dicesse “Oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello.
Devo solo alzare la testa e il mondo s’apre davanti ai miei occhi, mi sale nel cuore.
Quand’ero bambina, volevo vivere su un’isola. Una donna sola. Potentemente sola. Sì, è così.
È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia…angoscia, angoscia, angoscia!
Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu? Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista, basta col trapezio! Le decisioni improvvise alle quali si crede…
Ma non piangere! Veramente, l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere! Succede così, dipende, non va mica sempre come si vuole.
Così vuoto, è tutto così vuoto.
Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino: qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non ci si può perdere, si arriva sempre al muro.
Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso, così potrebbe cominciare una storia! Le facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.
Ho paura di questa sera. E’ idiota!
L’angoscia mi fa male, perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere? Forse non è per niente questo il problema.
Come devo pensare!
So così poco. Forse perché sono sempre curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato, perché penso come se parlassi contemporaneamente a qualcun’altro. All’interno degli occhi chiusi, chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive.
Stare in mezzo ai colori. I colori, le luci al neon, il cielo della sera, il metrò rosso e giallo.
Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno. Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.
E’ questo che mi rende sempre così incapace? L’assenza di piacere?
Il piacere d’amare.
Il piacere d’amare… »