Impressioni d’America d’impulso prima di disfare valige piene di storie da raccontare
agosto 7, 2012
Mood: calmo
Reading: Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata
Listening to: Steve Miller Band – The Joker
Watching: il quarto di luna su Milano sola ad agosto
Playing: all’allegra casalinga
Eating: insalata mista che pare non saziare
Drinking: acqua

Vandyke Brown print from digital negative, Rives BFK paper, 17×13 cm
Ecco qua, è un privilegio, te ne rendi conto, il vento quello che in America ruggendo con furia piega e impronta la vastità di un mondo elementare al di sopra delle cose umane e la solennità dei volti incartapecoriti ritorti all’imbrunire. È un privilegio, te ne rendi conto, il vento d’America che se ti ci inabissi è come macinare spazi e tempi per scivolare in una solitudine perfetta dove i pensieri non hanno gravità neanche posano nella mente c’è soltanto il vento quello che in America ruggendo con furia
(ti attraversa)
E sebbene tu stia contemplando e niente più in una qualche forma, lo avverti, i processi di trasformazione sono in atto.
Io ho l’impressione che tutta la mia geografia interiore sia stata rimodellata dal vento d’America, non credo di sbagliarmi.
Ci sono ai miei piedi valige piene di storie da raccontare che fanno ressa e si ingarbugliano.
***
Per quanto riguarda la fotografia che ho pubblicato in cima, ci tengo a scriverlo, io ci sono molto affezionata. Appartiene al gruzzolo di prime stampe che ho realizzato in camera oscura durante il workshop Alternative Process of Photography tenuto da Chris Neil che ho seguito alla University of Art and Design di Santa Fe. Soprattutto appartiene all’atmosfera romantica di un’esperienza gigantesca che ha portato parecchi stimoli e nuove prospettive al mio sguardo e alla mia capacità di visione che nel corso degli ultimi mesi ho spesso accusato di stanchezza e pesantezza.
L’originale da cui ho tratto il negativo per la fotografia che ho pubblicato in cima – che per altro così messa perde del suo particolare sapore tattile – è questo.
Lei in fotografia è Sara Ricciardi – questa fotografia è anche un po’ Sara Ricciardi -, [neo-trovata] compagna di viaggio eccezionale, ne scriverò ancora tanto raccontando dell’America. Quando ho scattato questa fotografia eravamo in viaggio attraverso il Gran Canyon in Arizona, Raffa portava la macchina alla giusta velocità che è quella in accordo perfetto col vento, la radio passava una bellissima musica spagnola e Sara giocava con la testa e le braccia slanciate fuori dal finestrino afferrava tra le dita una folata in mezzo a mille altre la lasciava andare ne afferrava un’altra e sul suo volto non c’era nessun segno del tempo passato, posso fare una cosa come quando ero bambina?
Avere le scarpe al contrario
aprile 13, 2012
Mood: vegetativo post nottataccia
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Mina Mazzini – Io sono il vento
Watching: la pioggia che si attacca alle finestre
Eating: caramelle Ricola LemonMint, l’assenza della cucina di mamma si fa sentire tanto più se il frigo è vuoto
Drinking: acqua
Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, provavo il solito sentimento misto di nostalgia ed euforia che mi assale a ogni nuova partenza. Succede così alle persone di tutto il mondo che dicono Casa non quando hanno un tetto sulla testa ma quando sentono i piedi stare saldi al terreno le scarpe adeguate e questo tipo alternativo di Casa – si capisce? – non ha problemi logistici burocratici legali può essere piazzata un po’ ovunque in mezzo a milamilioni di esseri umani, per esempio ho visto giustappunto ieri su un’autostrada olandese una casa di legno sopra un camioncino una casa di legno tutta pronta pareti porte e infissi per essere abitata dopo esser stata piazzata così mi ha detto papà e io ho pensato sono un po’ come quella casa pronta per essere abitata, ma molto più impalpabile, molto meno concreta e insomma succede così alle persone di tutto il mondo quelle come me succede che sentono la mancanza e il desiderio di tanti luoghi – si capisce? – emotivi più che geografici tutti quanti insieme e poi un po’ si sentono confusi, occorre sempre un grande sforzo per andare e un grande sforzo per restare.
Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, io mi stavo sforzando, ma tanto e non solo perché così succede alle persone di tutto il mondo quelle come me quando devono andare o restare, ma anche perché io provavo la sensazione scomodissima di avere le scarpe al contrario i lacci ingarbugliati le suole impiastricciate e di non sapere cosa non lo so, forse di non sapere cosa sapere perché nella vita c’è sempre bisogno di sapere qualcosa sennò ci si sente scomodi come mi stavo sentendo io. Adesso, a onor d’onestà, sono giorni forse un mese che mi sento molto scomoda tra un sorriso e un altro e vario da una condizione a un’altra opposta con estrema facilità, se c’è una cosa peggio di tutte le altre è quando non riesco a starmi dietro, vado troppo di corsa e mi viene il fiatone, mi si gonfia nella laringe un nonsochè come una poltiglia, dolore credo nero denso grave mi si gonfia nella laringe e non fa passare l’aria sicché per alleviare il fastidio io continuo a cacciarmi le mani in gola e a suonare forte le corde vocali pizzicarle sfregarle nella speranza di urlare come quando
una notte ho sognato mia nonna che è morta e nel mio sogno mia nonna che è morta era la prima ballerina di uno spettacolo del Mouline Rouge, stava tutta torta e rinsecchita dentro la sua bara che oscillava a metri d’altezza attaccata al soffitto per delle funi tese da un paio di ruzzulani e io lì a guardare che ne avessero cura non la sballottassero troppo facendola piroettare e poi all’improvviso i due ruzzulani hanno calato la bara con dentro mia nonna che è morta e lei ha vomitato un rivolo di sangue giù per una ruga e come se questo l’avesse rianimata come se tutto il sangue fosse tornato a gorgogliare mia nonna che è morta si è alzata mi ha guardata e giuro non faceva nessuna paura voleva rassicurarmi tranquillizzarmi offrirmi una possibilità e quando mi ha abbracciata io le sono caduta in mezzo alle braccia sono caduta in ginocchio di peso e ho iniziato a urlare che sembrava non avrei finito mai che sembrava che mi stessi liberando persino degli organi, urlavo e non avrei mai finito se non quando mi fossi svegliata,
così
pensavo e c’era la luce dorata ad avvolgere l’Erasmusbrug i palazzi vetrati del porto di Rotterdam in lontananza dall’autostrada che porta a Dordrecht Utrecht Havens e pochi chilometri dopo, svoltando per Gorinchem c’erano le nuvole viola pesto a imbrogliare i prati sconfinati le poche costruzioni l’intreccio delle strade e quasi non volevo crederci che già a un angolo dell’orizzonte c’era l’arcobaleno solido e spezzato in cima simile a un marshmallow e che soltanto dopo l’arcobaleno è arrivata la pioggia a chicchi grossi poi a aghi sottili e di nuovo a chicchi grossi verso Venlo Nijmegen Köln fin quando al confine con la Germania non è ricomparso il sole uno spicchio sanguigno di prepotenza che la terra stava inghiottendo per illuminarsi bruciare col fuoco da dentro prima della notte, sembrava che per tanti chilometri noi non avessimo fatto altro che inseguire lo spettacolo finale, in Olanda, un momento prima c’è il sole quello dopo la pioggia così mi ha detto papà e io ho pensato – si capisce? –