La nuova epoca

gennaio 7, 2014

Mood: sovraccarico
Reading: Jack Kerouac, On the road
Listening to: The Strokes – Alone, Together
Watching: The Young and Prodigious T.S. Spivet di Jean-Pierre Jeunet
Eating: tiramisù
Drinking: caffè



Il 2014 mi ha raggiunta da qualche parte a Utrecht tra i tetti a falde inclinate, ritta e incerta sotto la distesa del cielo su una lingua snella d’acciaio che, passando per un abbaino, si lanciava da una mansarda in festa all’imbocco di una scala antincendio tubiforme da dove piombava all’infinito nel buio inchiostrato. Ci si doveva stare a gruppi di cinque su questo corridoio al firmamento tanto era stretto. Quelli per cui non c’era spazio aspettavano che arrivasse il loro turno all’interno, scolandosi una bottiglia di vino rosso con andamento circolare e dissertando sull’esistenza con accuratezza filosofica.
A me andava benone stare fuori. Il cielo era costellato dai fuochi d’artificio, un gran casino. Scoppiavano e sfrigolavano a migliaia tutt’attorno all’orizzonte basso, basso con la sola difformità da centododici metri della torre del Duomo, una linea lunga e continua inguainata dalla luce arancione dei lampioni cittadini e dai getti rosso, oro, verde, azzurro. A ogni detonazione, la massa dell’aria satura di zolfo si contraeva e si rigonfiava fino alla massima tensione possibile, andava vicinissima a crepare, ma nella magnificazione dei bagliori di luce a seguire si ripiegava su se stessa e gioiva delle stesse fantasticherie notturne che fino a poco prima l’avevano addolorata. Il vento trasportava il fumo che restava, insieme alle lanterne cinesi, tanto fumo che generava foschia. E pioveva, una pioggia leggera e battente come fosse vapore atmosferico.
A poco a poco mi sono infradiciata e, forse a causa dello scialle di lana che zuppo d’acqua com’era mi procurava un prurito disumano contro il collo, ho desiderato per un momento di trovarmi all’interno di quella sala candida fiocamente illuminata che sfuggiva al ritaglio di una grande finestra in basso al lato opposto della strada, una sala senza tracce umane con un lungo tavolo sgombro e più in là lo scorcio di un camino acceso, ho sognato di stare nuda accanto al fuoco, allungata sul pavimento con gli occhi al soffitto statico e le orecchie al crepitio delle fiamme. Il che però sarebbe stato infruttuoso in una notte come quella, lo sapevo fin troppo bene.
Dalla mia posizione privilegiata in alto sulla città, mi sentivo al limitare estremo del mondo, intendo lontana dal nocciolo primordiale dell’esistenza, eppure, per la prima volta dopo tanti mesi insignificanti, intimamente e violentemente vicina a tutto. I fuochi d’artificio germogliavano in mezzo ai tetti circostanti e, sibilando, si slanciavano sottili e veloci verso il firmamento che mi sovrastava, ne puntavano il centro per sbocciarmi sulla testa in un tripudio di luce e colore. Erano una moltitudine in festa, l’insieme ricordava un flusso caparbio di spermatozoi. E io, al centro, un grande ovulo universale. Tutto ancora era concepibile e tutto poteva succedere. Bisognava solo che mi lasciassi vivere, predisponendomi a accoglierne la sostanza e a nutrirne la bellezza. Sentivo gli occhi ricolmi di stupore. Eccola, la nuova epoca. Il mio basso ventre eccitato lo comprovava. Voglio dire, è nello stupore la nuova epoca.


***

A Eta che ha a cuore – sempre – la mia nuova epoca.