Una piccola libreria in un vicolo di paese
novembre 10, 2010
Mood: sereno andante, ma tanto stanca (10 ore di lezione, non dico altro)
Reading: vecchi scritti…
Listening to: The Smiths – There’s a Light That Never Goes Out
Watching: Francois Trouffaut, Jules et Jim
Playing: a recuperare le unghie smangiucchiate, che schifo, avevo smesso, le avevo lunghe! E a tormentare i capelli, anche con questo avevo smesso!
Eating: fichi secchi con mandorla e limone, nonna rulez!
Drinking: acqua
Ho fatto un sogno.
Tu. Al di là della vetrina di una piccola libreria in un vicolo di paese, affaccendato tra migliaia di libri, ti muovevi con sicurezza tra gli scaffali. Si capiva che eri tu il proprietario di quella piccola libreria in un vicolo di paese e si capiva che quella piccola libreria in un vicolo di paese non era una piccola libreria qualsiasi in un vicolo di paese qualsiasi, ma il tuo ventre caldo, denso delle storie di cui sei autore e protagonista, del tuo mondo di cui sei unico demiurgo.
Io. Al di qua della vetrina della tua piccola libreria in un vicolo di paese, inchiodata, gelata, potevo sentire l’odore della carta inchiostrata filtrare attraverso le pareti, ma non potevo entrare. Osservavo voci senza suono, ascoltavo movenze liquide.
Uomini e donne, adulti e bambini, una marea increspata. Andavano e venivano tra l’al di là e l’al di qua della vetrina della tua piccola libreria in un vicolo di paese, s’intrattenevano un po’, sfogliavano pagine, estratti della tua storia, magari acquistavano qualche libro da riporre in busta, un’isola nel tuo mondo. Poi andavano via per non tornare mai più.
Ed io ancora al di qua della vetrina della tua piccola libreria in un vicolo di paese, inchiodata e gelata, a sperare di poter entrare e restarci per sempre, con un sorriso amaro a mezze labbra, gli spilli nel cuore e la nostalgia a vorticare nello stomaco, prima ancora di voltarmi ed andare via.
Perché l’ho capito, sai, forse avrei dovuto capirlo prima che per noi tutto l’amore nel cuore non basta più a scegliersi. Ci siamo amati in una cava tossica, squilibrati e distruttivi, mentre sognavamo scenari possibili in cui esser liberi di amarci, senza renderci conto che il tempo è passato e il nostro amore è invecchiato, è ormai stanco, fluisce come acqua piovana opaca e noi gli giriamo attorno come fiere, lo annusiamo, cerchiamo di afferrarlo, di colorarlo nello spazio che ricaviamo tra noi. Invano.
Non c’è più un angolo per me nella tua piccola libreria in un vicolo di paese in cui accucciarmi per vivere le pagine dei tuoi libri, viverti, viverci, scriverne ancora, è troppo tardi ormai, avremmo potuto cercarci di più, sparire di meno, non l’abbiamo fatto, chissà se almeno mi hai dedicato un capitolo a parte in cui respirare per quel che resta.
Probabilmente ha iniziato a piovere, è così che voglio lasciarti andare, libero. Fa ancora un po’ male, certe voci nella testa si combattono a fatica, certe immagini, dove sei, con chi sei, cosa fai, se ridi o se piangi, chi c’è nel tuo letto questa sera, tra le tue braccia, lui o lei, io non ci entro più da troppo tempo.
Passerà. Siamo effimeri anche noi. Sì, lo siamo, provo a convincermene.
Alla prossima stella in viaggio
agosto 11, 2010
Mood: vagamente produttivo
Listening to: Ligabue – Piccola Stella Senza Cielo
Playing: con Photoshop
Eating: crostata di frutta
Drinking: effettivamente ho sete
Ogni anno, cadono le stelle e con loro il mio mondo un po’ di più.
Scricchiola, si crepa, si sbilancia, frana su se stesso, si riassesta, dinoccolato.
Da qualche anno a questa parte esprimo sempre lo stesso desiderio.
Non va per niente bene.
E’ anche assai patetico.
Alla prossima stella in viaggio, chiederò un trapianto di cervello.