Fare spazio all’errore

Maggio 15, 2014

Mood: rilassato
Reading: Clément Chéroux, L’errore fotografico
Listening to: Cyndi Lauper – Girls Just Want To Have Fun
Watching: Mister Lies – False Astronomy (Official Video by Nick Torres)
Eating: bruschette
Drinking: acqua



Dacché ho memoria, il cancro che mi brucia i polmoni è la pressa di fare tutto a regola d’arte, rendere alla perfezione quello che riguarda il mio operato, in ogni caso e a ogni costo – generalmente una pressione disperata che mi occlude ventre e cervello, non mangio più, non dormo più, non parlo più nel caso in cui qualcosa possa ancora distrarmi dall’obiettivo che ho posto troppo al di là delle mie possibilità del momento. Più ci tengo più mi ostino.
Chiunque non capisca, provi a immaginarsi bambino, cosa possa significare sognare di fare la parrucchiera o il poliziotto, per dire, e ritrovarsi, un giorno, con l’ambizione straniera, sicuramente di qualcun altro, di fare lo scienziato perché parrucchiera o poliziotto non si conforma al tuo cervello, sciocco che non sei altro, tu devi fare lo scienziato e oggi è il giorno buono per diventarlo!, momento catartico a cominciare dal quale cento lire dopo dopo cento lire fino a quarantamila lire cadono tintinnando nel salvadanaio destinato all’acquisto del primo microscopio di una lunga e splendida carriera a venire, microscopio però che al momento tutto ciò che ingigantisce è un marasma lancinante incastrato tra l’orgoglio e l’umiliazione e compattato dalla percezione di una certa fatalità, io devo fare grandi cose.
E questo è voler essere perfetti. Infinitamente pesante.

Mi domando se non posso, invece, provare a essermi grata così – con gli esiti costruttivi di oggi e già nell’aria i passi e i traguardi superiori di domani, felice per il meglio di me che di volta in volta do, piuttosto che angosciata dall’idea di non aver saputo fare di meglio. Mi domando anche se non posso provare a accettare l’idea particolarmente spinosa che potrebbe capitarmi di sbagliare alla grande, è capitato e in via teorica so anche che non è necessario che non capiti. Anzi, dovrei non solo farmi una ragione del fatto che sbaglio, ma anche – dalla posizione in cui mi trovo – fare spazio all’errore, praticarlo metodologicamente, sarebbe istruttivo: voglio dire, eccomi che sbaglio, ecco che mi dico d’accordo e non mi aggrappo più con le unghie e coi denti all’onta tutta personale di un presupposto fallimento prodotto dall’illimitatezza della mia insufficienza, ma ci passo attraverso, lo esploro, ne comprendo la natura e allo stesso tempo metto a nudo, corroboro la maniera in cui riesco al meglio nelle cose che faccio, empatizzo tutto, metabolizzo e lascio andare, rilascio, mi libero e respiro, respiro,
respiro.
Respiro come progressiva assimilazione di un’evidenza che troppo spesso metto in dubbio: quanto più a fondo respiro, tanto più mi stabilisco in me stessa e mi alleggerisco da quello che non è essenziale alla mia crescita, creo spazio, mare cielo e valli, quanto più mi stabilisco in me stessa e mi alleggerisco da quello che non è essenziale alla mia crescita, tanto meglio riesco nelle cose che faccio.

Adesso c’è Pauline

settembre 30, 2010

Mood: yu-uuuuuh! 😀
Reading: Manuale Nikon D90
Listening to: Lykke Li – Dance Dance Dance
Watching: Nikon D90
Eating: banana spliNt aka banana, nutella e yogurt alla pappa reale
Drinking: tisana camomilla e tiglio




Dicevo delle cicogne, giusto ieri, che non ci si crede più.
Mi sbagliavo, di tanto in tanto tocca ammetterlo persino a me, blu lapis sotto “persino”.


Insomma, alle qualcosa meno cinque di quest’oggi la cicogna ha sorvolato le mie lande, mi ha sganciato un fagotto tra le braccia ed è scomparsa tra i cirri e le gru – tempi andati i camini, la dolce vita! – che ancora gli occhi miei non avevano sbattuto ciglio, una punizione divina sembrerebbe, credi miscredentA!


Così, adesso c’è Pauline.
Il viaggio sembra non averla traumatizzata, sta bene con i suoi centotrentaduemillimetripercentotrèpersettantasette all’incirca per un chiletto di peso e qualcosa in più.
Ha un solo occhio al centro, ma è così grande che ci può accogliere il mondo. Ed è piena di giunture e punti di snodo.
Non è un cucciolo d’uomo, Pauline.





Quando ci siamo presentate mi pulsava forte il cuore. Ma forte, forte, tanto ero felice.
E grata, infinitamente, a chi mi ha regalato questo battito perfetto, con una capacità di sacrificio che solo un amore immenso può concepire.




E’ questa la DSC_0001, la primissima foto.
In automatico, fuori fuoco e sovresposta, tanto per sentire l’otturatore chiudersi.
E’ la primissima perché c’è la cucina ancora disordinata, sei ore dopo il pranzo con loro che fanno Casa, Yanna e Nicolò, ci sono la padella fiorata, quella più grande, ma piccola per tre con fame chimica a carico, i guanti gialli con cui Yanna combatte la fobia dei piatti sporchi di formaggio, il numero spropositato di mestoli d’ogni tipo e dimensione che a breve appenderemo anche ai lobi, le presine che nonna ha fatto per me all’uncinetto di un rosa che non si può vedere, un rosa che amo, manca solo Bberta, l’aspirapolvere.
C’è uno squarcio di panorama dal sesto piano, ci sono il non cielo e una delle gru, quella che quando si muove sembra dover entrare dalla finestra, manchiamo solo noi, penzoloni, a farci i fatti del mondo laggiù.


Ci saranno tempi migliori.
Impareremo a funzionare, insieme, che ne dici, Pauline?