Mood: insicuro
Reading: Bruce Chatwin, Che ci faccio qui?
Listening to: Give A Little Love – Noah And The Whale
Playing: facciamo che io sono il medico e io il paziente
Eating: pastiglie per l’infezione delle corde vocali
Drinking: sciroppo per la tosse



La difficoltà a elaborare concetti è tra le seccature più serie del momento.
Mi fa sentire come fossi in ristagno.
Del resto, non sono così certa di star qui a pensarmi e ripensarmi più di tanto.

Ho capito che per buona parte la mia vita di adesso è gestita dalla paura,
mi ha pietrificata,
mi sta metabolizzando,
paura dei giorni che verranno di quello che hanno da offrirmi di quello che saprò conquistare di quello che voglio, paura che i giorni che verranno si rifiutino o che io mi rifiuti, paura della paura,
succede a tutti credo, in quest’epoca precaria soprattutto.
In onestà, non pensavo sarebbe successo a me che Io quello che voglio ottengo, ma il punto è: adesso cosa voglio punto di domanda in cui ogni paura s’identifica.

Non va bene così. Dovrei essere felice, uno di questi giorni.
Se non altro, lasciare che l’entusiasmo e la curiosità – che pure ci sono, li avverto – si facciano un giro in mezzo alle paure e le alleggeriscano, con una risata perché no? So fin troppo bene che sono la prima responsabile del peso delle mie emozioni e che ogni circostanza muta consistenza passando da un punto di osservazione a un altro.
Ho il sospetto che mi sia venuta meno l’audacia.

Ecco, dovrei tornare a sperimentarmi a mobilitare proprio i punti di osservazione,
magari provare a fare così, provare a fare cosà,
come ballare da sola in camicia bianca sulle note di un canto di protesta latino americano, in punta di piedi e volteggi per le stanze di un appartamento romano tra quadri e colonne di libri e conchiglie giganti, mentre il vento entra dalla finestra e smuove le tende e i petali delle rose rosse sul balcone,

per esempio.

Perché non è affatto nella paura la parte migliore di me.

Non dormo più

dicembre 14, 2012

Mood: quietato
Reading: Orzo solubile
Listening to: il risveglio di Milano
Watching: la luce di Milano
Playing: a respirare piano
Eating: desidero una dutch breakfast stamattina
Drinking: acqua



Mi sono svegliata all’improvviso nella notte con fiati alcolemici in bocca e filacce di pelle riarsa, due giorni fa una bambina sulla linea del 13 si è spolmonata tanto ha implorato acqua, questo mi è tornato in mente perché mi ha colpita al punto da aver desiderato di esser nata fontana piuttosto che essere umano. Ho vacillato un po’. Milano rapprendeva in un’atmosfera arancio fuliggine che è quella di quando c’è la neve per terra e la luce dei lampioni si riflette nel bianco, ungendo tutto senza decoro, così ho pensato perché a me non è mai piaciuta questa sporcizia da bianco e la intuisco subito. Tant’è che c’era la neve, per terra per aria nel cielo, anche se stanotte un cielo non c’è, devono averlo strappato via o deve essere cascato al suolo con la neve e quando si farà giorno qualcuno lo troverà e lo riattaccherà al suo posto con chiodi e martello. Adesso ci sarebbe un silenzio tombale se non fosse per gli spalaneve perché i fiocchi continuano a venire giù, non hanno smesso un secondo soltanto da quando mi sono svegliata all’improvviso nella notte.

Io è da tre ore che ci provo, ma non dormo più.
Sono le sei e mezza qualcosa.

Mi sono fissata nel respiro della persona alla mia destra, nelle deformazioni percettive degli spiragli della tapparella socchiusa alla mia sinistra, nel mio respiro, con le mani sullo stomaco, sul cuore, nei capelli, rincantucciata sul fianco destro, sul fianco sinistro, a pancia in su, ho scritto messaggi, l’incipit mentale della mia tesi di laurea, una lettera a un amore mai amato, e tanto altro
ma non dormo più, io è da tre ore che ci provo,
non dormo più.

Fin’ora erano tre settimane che dormivo tanto a lungo e tanto profondamente, ma non per riposare, piuttosto per non fronteggiare il parapiglia mentale.
Adesso non so, forse sta meglio concludere con un punto interrogativo.

Punto interrogativo

Ottobre 2012, «E dopo?»

ottobre 27, 2012

Mood: sereneggiante
Reading: Paola Bressan, Il colore della luna
Listening to: Bonobo – Noctuary
Watching: Nuovomondo di Emanuele Crialese
Eating: latte e biscotti
Drinking: caffè



Questo ottobre 2012 è un mese inequivocabilmente degno di nota nella mia vita. Per la prima volta in ventitré anni, l’inizio di un nuovo anno accademico non mi ha trascinata di fronte a una qualche cattedra con congruo professorone in tale eccelsissima scienza – senza sottigliare sul fatto che quando ero al liceo dovevo rientrare in aula il primo lunedì di settembre, quando, a Sud dove sono cresciuta, tutto il resto dell’umanità se ne sta ancora abbarbicato sugli scogli per sfuggire alla bollitura a secco e mai nessun istituto si sognerebbe di aprire le porte di quella che sarà certamente una fornace, nessuno tranne il mio che era speciale e aveva anche le reti di sicurezza alle finestre.
Ritornando indietro di qualche riga, fino a prima dell’inciso, e riprendendo le fila del discorso, si tratta di una cosa che letteralmente deforma il tempo di ogni giorno per come ero abituata a viverlo e questo un po’ mi confonde, ma per lo più mi sconfinfera perché adesso, senza darmi alla nullafacenza, né sollazzarmi oltre misura, finalmente posso starmene con i muscoli di qualche centimetro più distesi e persino concedermi un diletto di tanto, in tanto.
Facendo i conti in rapidità, a oggi mi trovo a un esame, una tesi e una dissertazione di distanza dal mio brillante foglio di carta da incorniciare nello studio che mai avrò. A febbraio avrò azzerato anche questi numeri,

«E dopo?»
«Dopo arriverà», rispondo generalmente.

Ebbene, la mia potrebbe definirsi una crisi communis da laureando in merito alla quale non c’è bisogno di aggiungere alcunché. Effettivamente ci sono giorni che mai come adesso mi sono sentita tanto uguale a tutti gli altri.
In realtà io, se mi metto la testa alla rovescia, chiunque potrebbe vedere che non è vuota, ma che è frullata ininterrottamente da un gran numero di idee tutte di prima classe, desiderabili e persino attuabili, ma tutte intrugliate con un numero superiore di eventualità, cause e effetti precisabili da me, dagli altri, dalle situazioni, dal caso, cioè da tante cose che – chiunque converrà con me – variano di giorno, in giorno, e sulle quali non si può fare affidamento quando si tratta di prevederne gli esiti. Un matematico definirebbe questa condizione “sistema complesso”, se fosse più pignolo “sistema caotico”.
Del resto io, se mi metto a pensare al dopo, mi distraggo subito perché non voglio fare come chi se ne va lontano dal presente a causa di un’attrazione superiore per il futuro che, invece, io dico, si riempirà delle cose che saranno passate sicché adesso mi limito – se di limitazione si può parlare, senza farmi torto – a vivere al meglio che posso tutto quello che mi circonda, “sistema complesso” incluso.


Accordo però che, tra gli elementi che mi rimescolano il cervello, il più frequentemente a galla è esodo

1 // da me che, determinata come sono nell’inseguire quello che voglio e abituata a superare ogni momento di crisi, non ho voluto riconoscere di essermi ridotta con i nervi a pezzi nell’ultimo anno, errore mai tanto grande perché adesso l’unica cosa che mi va a fagiolo è stare appesa a testa in giù dal ramo di un albero mentre il mondo fa avanti e dietro e io lo interiorizzo per alimentare il mio genio ammutolito.

2 // da uno Stato che, miseria di offerta di lavoro a parte – a maggior ragione per eretiche come me che osano pensare di poter svolgere una professione di appannaggio maschile –, ma non del tutto, si arricchisce di “puttanieri, faccendieri e tragattini”, demolisce continuamente i diritti fondamentali dell’essere umano in virtù di una legge tutt’altro che laica, millanta un ideale di democrazia che non bacia la realtà tanto più perché è vuoto fin dalle origini dei concetti di cittadino e di popolo sicché tutti l’importante è il mio piatto di pasta due volte al dì, per quello si può scendere in piazza, fottere e ammazzare, ma del bene comune, dello Stato sociale – quei famosi – chissenefrega, e quali virtù, quali beni può trasmettere tutto questo al piccolo figlio – che forse mai avrò – quando dovrà insegnargli a stare al mondo, quale serenità a me che non mi ci riconosco e che me ne vergogno? Dicono che ho il dovere di essere arrabbiata e giuro, lo sono. Fino a qualche anno fa, sarei anche stata nelle schiere di chi resta a dare capocciate contro i muri, guadagnando infine [con tempi da olocene] piccole crepe interstiziali – tanta stima a riguardo –. Ma onestamente io, non che abbia mai affinato un forte sentimento di italianità e questo scombussola un po’ i fatti: oggi andrei via perché vedo mancare le condizioni per restare o forse semplicemente perché oggi sono geneticamente italiana più di qualche anno fa e voglio interessarmi di me soltanto e non dell’Italia.

Fra l’altro, prima o poi, dovrà arrivare il momento in cui fare per davvero i conti con la mia irrequietezza che tanto mi spinge a vagabondare, tanto mi tormenta – talvolta morbosamente – con la ricerca delle radici.

Mood: teso
Reading: stupide carte di metodologia di design, ma che frega a me?
Listening and watching: l’arrivo del temporale
Eating: poco
Drinking: tea chai



Mi sono strappata di dosso l’universo che mi ero appiccicata alle ossa, ago e filo,

ho scoperto in stadio avanzato un buco nero emozionale,
– roba da strozza-fiato lacrime a singhiozzo –
l’ho srotolato nel vento.

Adesso ballonzolo nuda a mezz’aria, con uno scafandro gigantesco sulla testa tra milioni di possibilità accese tutt’attorno a fulcri bollenti di necessità in evasione da Sottocontrollo,

prima o poi doveva succedere

Ogni tanto ci sta,
ballonzolare a mezz’aria e niente di più,
è fuori questione una guerra a breve termine per la conquista di scampoli di suoli e materia stellare da addobbo,
ballonzolo a mezz’aria e niente di più,
mi serve per s-gravitare la testa,

Dai fogli di bordo, nodi della crisi

il giorno in cui la mia fantasia ha defezionato
il giorno in cui una bufera spazio temporale mi ha trascinata in un universo lontano (tantissimo) di cose ancora da scoprire
il giorni in cui i cavi comunicazionali con un paio di universi vicini (tantissimo) sono saltati
il giorno in cui ho riconosciuto di essere affetta da una forma gravissima di loco-patia
il giorno in cui ho scoperto che allora l’avvicinarsi della chiusura di un ciclo mi fa paura
i giorni in cui ho desiderato [e anche quelli in cui ho sfiorato]

prima o poi.

Mood: ovattato
Reading: Salvador Dalì, La mia vita segreta (ancora e di nuovo)
Watching: Variabili Umane, della compagnia teatrale Atopos, per la regia di Marcela Seri. Chiunque ne avesse l’opportunità, vada a vederlo! Al momento è in scena al Teatro Ringhiera di Milano. (“Un canto di esseri umani. / Un canto d’amore e d’odio per “essere” umani./ Una dedica all’incomprensione. / Un canto per chi non capisce. / Un urlo di rabbia, di vita. / Un urlo parossistico, fottutamente indigesto./ Una danza di corpi buffi e belli che desiderano essere amati. / Una tragicommedia sull’ignoranza e una ricerca continua… / Chi sono io veramente? E ciò che sto guardando: sei tu o sono io? / Le variabili umane entrano nelle menti come un elettroshock. Guardami! / Guardami: cosa devo fare per farmi amare?”)
Eating: cioccolata Lindt
Drinking: te







Nessun dubbio all’orizzonte, sono io. Io, proprio io, me mededima.
Appunto perché, appunto… appunto.

Insomma, lo diceva sempre mia mamma! Me ne sto attaccata al riccio come Linus alla coperta. Al riccio, sì. Uno specifico, sempre lo stesso. Sulla spalla a sinistra quando avevo i capelli lunghi, in cima alla capoccia da che ho tagliato i capelli, per altro scomodissimo, ma tanto meglio la fiacchezza muscolare di un esaurimento nervoso. Dopotutto ognuno ha i suoi personali anti-metodi da stress communis.
Appunto perché, appunto… appunto.

Potrei vivisezionarmi, elencare i fatti, farne la disamina ed emettere il rapporto patologico. Ma nell’ultimo periodo, non sono il meglio sul mercato con le parole. Sto sperando in una svendita da fiondarmici e farne mambassa. Intanto, meglio passare la frequenza a qualcuno più appropriato al caso.






Appunto perché, appunto… appunto.