Gezi Park

giugno 2, 2013

Mood: infiammato
Listening to: Sinfonia con suoni di protesta notturna a Istanbul, 1 giugno
Watching: Gezi Parkı hala orda! e Turkis rebe in 90 seconds! by Baran Gunduzal
Eating: penne con zucchine escaglie di pecorino + due biscottoni al cioccolato anni 90
Drinking: acqua



20130602_TURKEY-slide-47SW-articleLarge© Ayman Oghanna for The New York Times


“Many protestants are on the street for a few days. What is that for? For a few trees?”

[dalla dichiarazione ufficiale del Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdoğan]


La storia di questi ultimi giorni a Istanbul non è soltanto quella di un intervento urbano che vuole tranciare di netto Gezi Park per far posto a un centro commerciale e a una nuova moschea [connubio già di per sé esemplificativo], di una pacifica manifestazione di opposizione e di una brutale repressione nel sangue che dura da quattro giorni e che si è esteta dal cuore di Istanbul a Ankara a altri centri cittadini del Paese.

È piuttosto l’epilogo di un’estetica e di una pratica del potere che, osteggiando da mesi tutti i processi di democratizzazione e laicizzazione precedentemente avviati, si stanno rivelando sempre più reazionarie e repressive. La pianificazione cospicua è quella che prevede un nuovo Paese a uso e consumo di chi il potere lo detiene, sia esso politico, religioso, morale, economico o sociale.

Come se un popolo privato del suo diritto di espressione a suon di elicotteri, carrarmati, manganelli, lacrimogeni, cannoni a acqua e spray urticanti non fosse già un affare abbastanza grave,
il governo turco ha fatto calare la censura sui media del Paese e TTNET, il principale provider turco, impedisce l’accesso a Twitter e Facebook. Dello Stato di polizia instaurato dal Primo Ministro Erdoğan a Istanbul si cerca di far filtrare il meno possibile.

Istanbul ci chiede, invece, di sapere e di far sapere quanto più possibile.
Rispondere alle richieste di Istanbul – sentirsi coinvolti in prima persona – è questione di onestà umana e intellettuale.

Occupy Gezi su Facebook, Tumblr e Twitter.
Non fermiamo l’informazione.


occupy istanbul© Nazim Serhat Firat for Istanbul’s Taksim Square Has Become a Warzone.

“What is that for? For a few trees?”

[dalla dichiarazione ufficiale del Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdoğan]
Mood: calmo
Reading: fogli pseudo-muti su un certo linguaggio di programmazione
Listening to: The Tallest Man on Earth – I Won’t Be Found [risveglio suggerito da Eta]
Watching: Price is Rice
Eating: frutta
Drinking: caffè



Nella caosmosi sociale contemporanea, il numero infinito di informazioni e immaginari inviato simultaneamente da macchine trasmittenti di ogni tipo verso innumerevoli riceventi provoca nelle menti umane una diffusa perdita di coscienza e di intensità a causa dell’impossibilità biologica a assorbire e elaborare (“secondo le modalità intensive del godimento e della conoscenza”) tutti gli stimoli in arrivo con la stessa velocità (sempre più) impetuosa con la quale invece la tecnologia-comunicazione li genera.

“L’esperienza dell’altro si snerva, si banalizza; l’altro, divenuto parte di una stimolazione ininterrotta e frenetica, perde la sua ricchezza e singolarità, perde la sua bellezza. L’altro suscita sempre meno curiosità, sempre meno sorpresa, tende a divenire fonte di irritazione. Nella relazione interumana prevale allora il fastidio, l’ansia, la paura e alla fine l’aggressività. […]
Si deve partire dalla sofferenza della relazione, si deve catturare il piacere della relazione se si vuole riformare la sfera sociale, se si vuole sottrarre la società alla paura, all’aggressione, alla guerra al fascismo.

[Franco Berardi Bifo, Ciberspazio e cibertempo]


“Oggi non è più possibile pensare o parlare del mondo, dell’esteriorità, come se fosse qualcosa di completamente indipendente da noi. Anche e soprattutto dal punto di vista delle trasformazioni sociali, il mondo è sempre di più una nostra costruzione. Il mondo è sempre di più un campo di possibilità, e non qualche cosa che viene dato una volta per tutte. Comprendere questo è la precondizione indispensabile per poter costruire qualunque strategia di riqualificazione del simbolico, anche di riscrittura delle regole del patto di convivenza che lega gli uomini l’uno all’altro.”