L’albero genealogico del mio olandese
dicembre 2, 2013
Mood: gratificato
Reading: Reif Larsen, Le mappe dei miei sogni
Listening to: Blues Jam in Chicago – I Can’t Hold Out [il blues mi ha ormai rapita, ciao]
Watching: Shame di Steve McQueen
Eating: biscotti al burro
Drinking: te
A un’analisi generica e poco approfondita, l’apprendimento di una nuova lingua sembra contenersi in una memorizzazione granitica di vocaboli, costrutti sintattici, regole grammaticali e principi di pronuncia, una somma monumentale di elementi in effetti la cui incombenza soltanto potrebbe giustificare l’incuria di un altro aspetto nodale relativo all’apprendimento di una nuova lingua, laddove questa venga appresa in uno Stato che l’abbia come sua ufficiale, andandoci a vivere a un certo punto, e per strada piuttosto che sui libri: ovvero che, l’acquisizione di vocaboli, costrutti sintattici, regole grammaticali e principi di pronuncia segue il solco della necessità, vale a dire colui che si sperimenta in una nuova lingua impara dando di volta in volta precedenza a quello di cui ha bisogno nella vita di tutti i giorni e in merito al quale avverte urgenza di espressione perché conta tanto, molto più in un contesto tutto nuovo, la possibilità di raccontarsi. La qual cosa significa che si potrebbe guardare ai personali e diversi processi di apprendimento di una nuova lingua per dedurre dove e come colui che si sperimenta nella specifica nuova lingua in questione stia andando.
Ho considerato allora la possibilità di utilizzare l’albero genealogico del mio olandese – di cui, mentre lo conosco, tengo traccia su foglietti sparpagliati insieme a lunghe liste di ordinazioni, cose da fare, promemoria e pensieri – come punto di introduzione a un’informazione su quello che mi succede dentro.
Ho rilevato che tra le prime asserzioni, accanto a vocaboli come tot ziens (ci vediamo), dank u veel (grazie), alstublieft (prego), mooi (bello), bierje (birretta), artisjokken (carciofi), ansjovis (acciughe), emerge
Ik ben niet kwijt. Ik ben een zwerver.
(Io non sono persa. Io sono una vagabonda.)
trovata un giorno nel capitello di un libro su una panchina in stazione a Rijswijk.
Tra le ultime – wat willen jullie drinken? (cosa volete bere?), mag ik de rekening? (posso avere il conto?), gezellig (intraducibile se non con un concetto a metà tra fico e accogliente), het spijt me (mi dispiace), opdonderen nu (vaffanculo) – si distingue, invece
Ik ben zoek naar mij.
(Io mi sto cercando.)
indotta da una serie illimitata di tentativi telefonici per rintracciare qualcun altro, Goedemiddag. Met Dorotea. Ik ben zoek naar Tizio. (Buon pomeriggio. Sono Dorotea. Sto cercando Tizio.)
Nel mezzo:
Een man op de maan.
(Un uomo sulla luna.)
e
Ik will graag […]
(Io vorrei […])