Intro-[…]

ottobre 21, 2013

Mood: pacato
Reading: Bruno Schulz, Gli uccelli, in L’epoca geniale e altri racconti
Listening to: Laura Marling – Little Love Caster (Live on KEXP)
Watching: Screen Lovers di Eli Craven
Eating: cavatelli con funghi e carote
Drinking: caffè



Sono successe molte cose diverse nell’ultimo mese. Soprattutto mi sono sentita priva di senso, insoddisfatta e inadeguata alla tensione che ne è conseguita tra una docile nostalgia dell’annullamento e un dispotico anelito vitale.

Mi sono messa in cammino. Ho percorso un ritorno silenzioso dalla mia nuova condizione esistenziale alla terra in cui sono nata e alla casa in cui non ho mai avuto più di diciotto anni, a Milano e ai suoi flussi rapidi di ricambio, alla condizione esistenziale infine da cui sono partita, ma non proprio la stessa, piuttosto la condizione esistenziale visibilmente rinnovabile – pertanto già rinnovata in una qualche misura – da cui sono partita.

Il fatto, ho l’impressione nasca da dentro, da uno sforzo titanico eppure minimale all’apparenza di intro-spaziare e intro-ispezionare,
‘ché io sempre, tutte le cose migliori le colgo mentre sono in movimento e, andando, riconquisto la certezza di avere i piedi robusti quanto basta e anche più per poterle inseguire.

“Ma sì, adesso mi faccio trascinare dalla bufera attorno al distributore,
fintantoché non mi spuntano le ali.”
[Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio]


dorotea_pace

Italia, Puglia, Monopoli, 28 settembre 2013


Mia nonna quando sono andata a trovarla in cima a uno dei cinque colli del paesello, se non fosse stata solo una fotografia sul marmo di una lapide, mi avrebbe detto Datti da fare, Dorotea, come se mai fosse abbastanza.

Respiro

marzo 31, 2011

Mood: sereneggiante
Listening to: il ronzio del frigorifero e lo sfrecciare di qualche macchina nel silenzio notturno
Playing: il gioco della felicità
Eating: patate duchesse
Drinking: acqua



Dentro custodisco respiri.

Bolle d’ossigeno, acciuffate col retino, strada consumando, e liberate tra i muscoli e le ossa. Immuni al mondo là fuori, immuni al tempo, le mie bolle d’ossigeno serbano solo il sereno e l’armonia di un momento di completa empatia, riecheggiano la bellezza e lambiscono l’immenso.
Ché io sono una creatura piccina, ma la mia anima ha uno spazio sconfinato e per fortuna! perché incessantemente percepisce il mondo, e si percepisce nel mondo, con il mondo ed archivia ed estetizza.

Così, nel mezzo di una disfunzione, mi guardo dentro e so dove andare a rifugiarmi, dove andare a respirare.




«Che posto è?»
«La mia terra, il mio mare.»

Ho scoperto questo lembo di terra pugliese quand’ero ancora bambina. La gente lo chiama Porto Ghiacciolo, per via delle correnti gelide che battono i fondali. A quel tempo, la spiaggia non era ancora stata colonizzata da un’orda di culotetteaddominali al rimorchio, ammassati in pochi centrimetri di sabbia, ma era frequentata dai soli pochi che ardivano attraversare i campi di pomidoro e scavalcare muretti a secco diroccati per distendersi al sole, e non c’era il bar e non c’era la musica e non c’erano le brandine, solo l’orizzonte sfumato tra il mare e il cielo e da un lato il castello con le palme in cima e dall’altro la casa segnata dalla salsedine di due anziane sorelle con le oche, i riflessi cangianti nel ritmo dei flutti e le pozze con i gamberetti, persino una vasca con le cozze, lo sciabordio del mare contro gli scogli e i fianchi delle barchette ormeggiate più al largo ed il vento tra gli spruzzi, il risucchio e il rigetto dell’acqua nella cavità sotto il castello e lo starnazzare delle oche che scendono a mare per la traversata quotidiana fino al castello.

Nel corso del tempo, in questo lembo di terra ho seminato ricordi ed emozioni forti tra i sassi e le conchiglie sul bagnasciuga e li ho intrecciati con la spuma delle onde.
Ho trascorso lunghe ore con il mio mare, a lasciarmi cullare la solitudine, a raccontargli di me e ad ascoltare di lui. Ho imparato a restare in silenzio, a respirare e ad osservare, ché il mare decisamente non lo conosci in fretta. Ho imparato a vivere la simbiosi tra la cadenza del mio respiro e la continua metamorfosi del suo, fino ad avvertirla rimbombarmi nella cassa toracica, ondata di rantoli cavernicoli, ora quieti, ora violenti. Ho imparato a lasciarmi andare e a scendere dalla superficie ai fondali, fino ad alienare la mia anima e il mio momento nel palpito incalzante del mare, sfogando le emozioni e consolando gli affanni.

Così, questo lembo di terra si è rivestito ai miei occhi di un’aura rituale. Oggi ci torno solo quando so che l’orda di culotetteaddominali al rimorchio è distante, ma venero questo lembo di terra, lo venero come liquido amniotico, lo venero quand’è silenzioso, quand’è mio, quando posso riprendere a dialogarci indisturbata e nutrire l’anima, quando mi ci immergo e torno a respirare e mi sento libera di andare ed immensa.


Domani, che poi è già oggi, torno a Sud per qualche giorno, devo risolvere alcuni problemi di salute e rilassarmi tra mia mamma e mia sorella.
Tornerò anche al mio mare, da giorni ormai ne sento il richiamo ancestrale.


Tra due ore suona la sveglia per andare in aereoporto. Magari non vado a letto e vedo l’alba. Adesso la sto aspettando con impazienza.