Io quando ero un fagiolo
giugno 22, 2012
Mood: un po’ preoccupato
Reading: Mathias Malzieu, La meccanica del cuore
Listening to: tramestii giù in strada
Drinking: caffè
Eating:latte e cereali
‹‹Mamma… ma tu hai la mia ecografia quella in cui sembro un fagiolo?››
‹‹Non mi ricordo… bisogna vedere. Quella di Marilù si.. Perchè?››
‹‹Così.››
‹‹Nostalgie?››
‹‹Non credo. Non ricordo com’era essere un fagiolo.››
però ho il sospetto che fosse una cosa molto emozionante. Avevo il cordone ombelicale.
Legge costituzionale
dicembre 29, 2011
Mood: compagnone
Reading: Chatwin, Che ci faccio qui?
Listening to: Tom Waits – Time
Playing: a correre nel vento per le strade di Delft
Watching: fulmini in lontananza
Eating: cheesecake da Uit de Kunst
Drinking: cappuccino
Che in me i momenti del piacere siano annodati all’esplosione in gola delle sacche del dolore in quarantena è una legge non scritta.
Perciò adesso non mi sorprende la sensazione tutta fisica dell’anima che si lacera in più pezzi senza preavviso in momenti impensati della giornata, facendo i salti mortali tra le cime del piacere, per l’appagamento e per tutte le prospettive che sta fruttando il mio lavoro, e le slavine del dolore, per quello che è caduto a pezzi e per quello che forse verrà, ma intanto si ostina a mancare.
Nella mia realtà del momento, i cambiamenti si incuneano con una rapidità da capogiro, qualcuno lo graffio dalla pietra dei giorni, qualcuno mi capitombola in braccio e lo puntello. Entusiasmo, fierezza, timori e incertezza si fondono insieme e fin qui niente di strano, ogni sentimento rende possibile il dannato vivere.
Ma spesso, alla fine di un giorno qualunque, dopo aver tanto corso e tanto sudato energia, mi sento persa. Nel mezzo è capitato più volte di aver lasciato cadere un sassolino lungo l’aorta, sperando negli angoli più buoni per poter rimettere ogni cosa e cercare conforto, leggerezza o semplice e ineducata condivisione. Altrettante volte è capitato di sentire ritornare solo le eco stridenti dei luoghi del cuore che un tempo furono giardini e ormai sono deserti sconfinati.
Con i tempi che corrono sarebbe meglio tenersi vicini, scaldarsi col fiato. Allora com’è che i doppi legami in cui mi cullavo giacciono sfilacciati nella terra e già ingrassano i primi giacinti? Ricordo sorpresa di aver creduto in ognuno di quegli amabili avanzi così tanto da sentirmi troppo piccola per non correre il rischio di esplodere. Sono consapevole che qualsiasi cosa finisce, ma come può qualsiasi cosa finire? È come prendere nello stomaco un pugno e vedere dischiudersi un gorgo. Rimpicciolisco. Mi risucchio al centro. Ed esco dalla felicità. Se c’è una cosa che mi fa male è non capire dove, quando e perché le direzioni sono diventate opposte. E valicando i patetismi di un necrologio qualunquista, scivolo in una delicata rassegnazione. Mai, prima d’ora, mi era capitato di sentirmi così.
Ecco, bisognerebbe che io sondi e argini una volta per tutte il meccanismo per il quale un’ondata di gloria non possa restar tale per più di un secondo prima di sprofondare in una qualche falda putrida. Bisognerebbe perché inizio a esserne stufa. L’udienza è aperta.
Per mirare il nocciolo della faccenda, non mi nascondo che tanto sono tronfia di gratificazioni lavorative, tanto sono sul lastrico dei sentimenti. Ma se c’è qualcosa di puramente umano, questo è l’incapacità di sorridere davvero alla vita quando i ritagli più intimi ed emozionali dell’esistenza sono scoperti al freddo. D’altra parte, con me il gioco è particolarmente facile. Qualunque idiota potrebbe intuire che il mio punto di massima vulnerabilità e contraddizione è negli affetti. In tutta onestà, ho un talento particolare per le circostanze squilibrate. Forse un istinto naturale.
Certo, adesso potrei lasciarmi andare ai venti nuovi che soffiano da ovunque, stringere legami più freschi, mappare nuovi riferimenti. Non mi diverte stare inchiodata mani e piedi a far arieggiare il cuore dalle scie degli amori persi. Vorrei anch’io sapermi concedere l’occasione per bruciarne di nuovi. Ma è come se, al momento, la mia anima fosse priva della capacità di avvicinarsi veramente a qualcuno e di incastrarsi.
Perciò, quantunque mi sfogli la pelle con scrupolo, il volto più viscerale della mia vita resta, fuori da un taglio qualsiasi di luce, con le orbite senz’occhi. E date le circostanze, quel sentimento di nuda verginità in un presente che non mi è amico, rattoppo i pozzi profondi che, fissandomi, m’affliggono con tutto ciò che di più vicino all’umano raggranello in fretta sui lidi della mia anima, sassi e conchiglie per lo più, postumo, spurgo, rimasuglio, sedimento di vecchi fiati e battiti cardiaci. Presenze che testimoniano assenze, assenze che riempiono vuoti. A ognuno il suo personale portagioie.
Ordunque si manifesta il valore costituzionale della legge non scritta per la quale in me i momenti del piacere sono annodati all’esplosione in gola delle sacche del dolore in quarantena.
Eppure sarei ingenua a pensare che non c’è modo di andare al di là. Dopotutto, in questo mondo non esiste legge, finanche la più costituzionale, non aggirabile con un affabile cavillo da azzeccagarbugli. Forse questa storia ha che fare con la meschinità più di quanto non voglia riconoscere. Più di quanto non voglia riconoscere, ho detto. Ebbene. Mi calo nell’etilene, poi di faccia in un cesso e mi assento dalla dignità. Faccio passare la notte. Epuro lo stomaco dei succhi gastrici. All’alba ho passato troppo tempo spezzata in due per voler continuare come fin’ora. Perché credere di poter riempire le mancanze con le assenze, perché se una vita può esser piena di presenze? A volte devo fare qualcosa di molto brutto quantomeno per farmi forte di una serenità nuova e accomodarmi quelle stesse possibilità che ho troppo ostacolato. Non so granché, soltanto che andare da questo luogo a un altro, quale chissà, mi bacerà, nutrirà, terrà viva.
L’udienza è sospesa.
[in merito a questa storia, si ringraziano – con tutto il cuoricinoinoino –
Lou e Yanna per la luminosa sempreveravicinanza]
Amori in formaldeide
novembre 18, 2010
Mood: inquieto
Reading: National Geographic Novembre
Listening to: Negramaro – Basta così (“liberi ci sembrerà di essere più liberi / e intanto farò a pugni contro il muro per / averti ancora qui…“)
Watching: una performance targata Fluxus‘s, mbah…
Playing: con Marino il cavalletto e Pauline, monta e smonta la macchina dalla testina rotante, roba da demenza senile
Eating: domattina, magari
Drinking: camomilla
‹‹Je pensai que toutes mus amours avaien été ainsi. une émotion subite devant un visage, un geste, sous un baiser… des istantes épanouis, sans cohérence, c’était tout le souvenir que j’en avais.››
Françoise Sagan, Bonjour tristesse
Ho pensato alla mia scatola di souvenir in cima ad un armadio, al suono che emette quando la rigiro tra le mani, quel che scivola, quel che s’incaglia, quel che rotola, quel che s’infrange, quel che fruscia e quel che tintinna e insieme correnti di vita che rumoreggiano stanche come strette in un’insenatura.
Mi ci sono immersa, prima ancora d’esserne consapevole, ho annaspato tra lettere e fotografie, film e canzoni, disegni dedicati e biglietti e scontrini e cartoline, petali di rosa, bustine di teh e involucri di cioccolato, spille e bracciali e lacci di scarpe e creature di pezza, bazar ancora tiepido deputato a combattere l’horror vacui di rapporti, manca il fiato, rovesciano gli occhi, punge ancora ancora dove fa più dolore.
C’è chi dice bisognerebbe incendiarle, la scatole di souvenir, una fiamma nella notte e segue l’aurora. Io non mi fido di chi celebra sabbath alla fine di un amore, come si può assassinare quel che per natura è immateriale? Come quel che s’è amato? Alla damnatio memoriae preferisco le cicatrici brune che sanguinano anche solo dopo una notte dai sogni incerti, la corsa e i balzi nel vuoto del cuore fino al cedimento, non è tanto forte il mio, errore genetico. Se non altro, ho respirato.
Ho pensato che i miei amori sono tutti in fondo alla scatola, in ognuno di quei souvenir, momenti infinitesimali deputati all’eternità in formaldeide, niente di più prezioso né di più duraturo. Eppure, sì, c’è un “eppure”, a volte fa paura l’idea di sfiorire senza nulla più che un’orda di souvenir in una scatola.