La puttana sacra
dicembre 10, 2011
Mood: sereno
Reading: Bruce Chatwin, Che ci faccio qui?
Listening to: Robyn – Dancing On My Own
Watching: il cielo su Milano
Eating: risotto radicchio e panna, devo ancora digerirlo
Drinking: caffè
Ho il presentimento che passerà ancora molto tempo prima che il mio impulso migratorio possa dirsi concluso o, se non altro, meno pressante. Scrive Bruce Chatwin, il viaggiatore per eccellenza – grazie a Mariano per avermene parlato – che ‹‹tutti i grandi maestri hanno predicato che in origine l’Uomo “peregrinava per il deserto arido e infuocato di questo mondo” […] e che per riscoprire la sua umanità egli deve liberarsi dei legami e mettersi in cammino.›› Così io che ho ancora molti garbugli tra le sinapsi, non riesco ad accettare la sedentarietà senza essere inquieta e irrequieta, senza domandarmi Cosa ci faccio qui?, dal momento che il viaggio è la strategia con cui vivo e do (nuova) forma la confusione della mia mente. Perché, come scrive Kerouac, ‹‹A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione.››
Così, approfittando del ponte milanese Sant’Ambrogio-Otto dicembre, ho calciato con forza tutto il lavoro in un angolo e sono volata a Roma.
Negli ultimi mesi sono stata nella capitale più di una volta, in primo luogo per godere del calore di un’amicizia che mi accompagna dalla pre-adolescenza, malgrado la distanza. Va da sé quanto questo possa essere sufficiente alle volte.
Ma, derivando di viale in vicolo senza parole di troppo, Roma mi ha anche attratta per il suo essere.
Me ne stavo un giorno ai piedi del Pantheon e iniziava appena a farsi sera. Ammucchiavo nella cassa toracica i fusti possenti delle colonne e le gambe veloci dei passanti, l’epigrafe M.Agrippa L.F.Cos. Tertium.Fecit e le melodie di una chiatarra elettrica e di uno xilofono incrociate al brusio insistente degli avventori ai tavolini dei locali, i fori del timpano per i bronzi che non ci sono più e l’isteria delle macchine fotografiche, dei tablet e dei cellulari per fotografare anche il sampietrino più nascosto. Accatastavo tutto in soluzione di continuità, con una ritualità misterica e profana che mi infastidiva e mi rasserenava allo stesso tempo.
In un istante di estasi, ho afferrato la consapevolezza che Roma mi affascina proprio perché si ammanta del contrasto e della simbiosi tra la pietra viva dei secoli e l’ansia metropolitana di un giorno qualunque. Perché indossa una veste da puttana sacra.
Di età in età, Roma è impazzita di vita, ha bruciato senza tregua o negazione ed è esplosa come una fontana d’artificio. Le sue memorie hanno superato il tempo e affiorano tra le crepe dell’asfalto, monche e meravigliose da togliere il respiro, traspirano l’emozione, l’ambizione e l’illusione romantica e tipicamente umana dell’eternità. Eppure oggi, queste stesse memorie affogano in mezzo alla disattenzione e all’incuria urbanistica e turistica. Aggirando di pochissimo i luoghi comuni, Roma non dissimula la stanchezza e la corruzione che i secoli le hanno inflitto e languisce a gambe aperte, mostrando il sorriso sdentato e nostalgico di chi si imbelletta al mattino con la gloria del passato ed esce in strada reggendosi ad una stampella, senza più un sentimento soltanto di rivalsa.
È intimamente umana, Roma, il suo tracciato cardiaco assomiglia a quello dei miei pensieri. A volte, quando le inchiodo gli occhi addosso, mi sembra di essere allo specchio. Per questo mi attrae. Mi attrae a sé per le viscere e mi sbatte, centrifugando i pensieri e sparpagliandoli nel vento tanto rapidamente da lasciarmi su un marciapiedi, sfiancata per la lotta e svuotata all’improvviso come se avessi sudato veleno. Allora l’aria frizzante di pino torna a farsi spazio tra le carcasse dei muscoli e delle ossa ed è l’idillio della catarsi.
Per adesso, tre foto e basta. Concessioni tempistiche premettendo, ci sono buone probabilità che mi metta a lavorare più organicamente sul corpus di scatti romani che ho messo in saccoccia negli ultimi mesi. Perciò tengo tutto al caldo per un po’ ancora.
A Roma soltanto
ottobre 15, 2011
Mood: inquieto
Watching and listening to: la diretta RaiNews da Roma
Drinking: tanta acqua
Oggi 952 città in oltre 82 Paesi sono state occupate dagli Indignados.
A Roma soltanto la protesta si è fatta guerriglia. In diretta RaiNews io vedo autonomi sfondare le banche ed i negozi, le agenzie e le sedi istituzionali, polizia e carabinieri caricare la folla, fumogeni e sampietrini volare, bombe carta esplodere, autonomi mettere a fuoco automobili, polizia e carabinieri manganellare, fumogeni e sampietrini volare, bombe carta esplodere, autonomi fare razzie, polizia e carabinieri lanciarsi tra i manifestanti in camionetta, senza frenare se qualcuno gli si para davanti, fumogeni e sampietrini volare, bombe carta esplodere, ambulanze andare avanti ed indietro, autonomi feriti, polizia e carabinieri feriti, un blindato della polizia esplodere in mezzo alla gente, sembra un bollettino di guerra, sembra Genova durante il G8.
A Roma non c’è nessuno che abbia ragione e nessuno che abbia torto. A Roma non si sta costruendo nulla, in nessun modo la violenza è legittimabile. Ma senza ingegnarsi in semplicistiche considerazioni di giudizio, a Roma, sta traboccando dal vaso un concentrato di disperazione per un futuro che sta morendo. E, al di là della crisi mondiale, che un tale concentrato di violenza ci sia a Roma soltanto dovrebbe far riflettere su certi modi particolarmente oligarchici ed offensivi tutti all’italiana di considerare la dimensione statale, sociale, economica, politica, culturale ed umana.
Peccato ci sia ancora chi banalmente parla di teppisti e di polizia. Peccato perché non c’è un bel cazzo di niente da minimizzare.
Oggi io mi sento davvero tanto indignata.
‹‹Un sorriso per favore, signorina!››
settembre 27, 2011
Mood: quieto
Reading: Luiz Ruffato, Sono stato a Lisbona e ho pensato a te
Listening to: Ritchie Valens – La Bamba
Eating: troppi panzerotti
Drinking: acqua
In preda al mio pallino del nomadismo che mi ha portata da Milano a Siena e da Siena a Roma e da Roma a Bari, sempre “proprio zingarella”, come ormai usa definirmi la mia mamma leggermente sconvolta, leggermente divertita, leggermente impotente, me ne andavo ieri all’imbrunire per Piazza Navona, in solitaria e col passo trascinato, intessendo un pensiero dietro l’altro in una cantilena lamentevole ed insieme combattendola, senza sosta né consapevolezza di quanto il giogo mi si fosse stretto attorno al collo e la testa si fosse accartocciata su se stessa, fino a quando ‹‹Un sorriso per favore, signorina!››, schizzato all’improvviso tra i miei rimescolii fumosi, non mi ha fatto sobbalzare, fermare, alzare la testa, girare di scatto, ma che?, un omone di colore, giacca e camicia, occhiali da vista bianchi con scritta dorata, Onnò, ora mi s’appiccica per invitarmi a cenare nel suo ristorante!, ‹‹Italiana?››, ‹‹S-sì››, ‹‹Un sorriso per favore, signorina!››, con la voce profonda ed allegra, tutto serio, e la gesticolazione ad ampie traiettorie, da dove cazzo è sbucato? Dritto, dritto da City of Angels?, m’è venuto da sorridere per davvero a guardarlo, stralunata come mi sentivo e vuota d’un colpo, ‹‹Lo vede? È cambiata da così a così››, rivoltando la mano come la frittata nella padella, ‹‹Ha un sorriso bellissimo. Non smetta mai di sorridere, per favore!›› al qual punto, la faccia ha iniziato a tirarmi da tutti gli angoli, preannunciando un sorriso alla grande, di quelli che sbarcano fin negli occhi, ‹‹Buonasera, signorina!››, e non vuole neanche invitarmi a cenare nel suo ristorante!, ‹‹Ma buona serata a lei!›› e mi sono girata per andarmene, poi mi sono rigirata ‹‹Grazie!›› e mi sono allontanata che mi sembrava di saltellare, sollevata dal centro dello stomaco, sicché sono deflagrata in lacrime e risate, dannato Vivere! ed io che ormai non mi nascondo più e per fortuna!.