A-(f)fondo
ottobre 24, 2012
Mood: distratto
Reading: Pastoureau Michel and Simonnet Dominique, Il piccolo libro dei colori
Listening to: Electric Guest – Waves
Watching: Laura Guilda’s collection for MUUSEx VOGUE TALENTS Young Vision Award 2012 [let’s everybody vote, c’mon!]
Eating: senza freno
Drinking: caffè
Da bambina ero ossessionata dal timore di poter smettere di respirare da un momento all’altro per sbadataggine.
Mi tornava in mente, sempre all’improvviso in mezzo a un altro pensiero particolarmente immersivo, che prima di quel particolare momento epifanico io avevo considerato la sequenza inspirare, espirare ovvia, per il solo fatto di essere fisiologica, al punto da averla ignorata, dimenticata. Allora mi prendeva l’angoscia e iniziavo a spingere aria in petto e fuori dal petto, in petto e fuori dal petto, in petto e fuori dal petto,
a-(f)fondo,
fino a tranquillizzarmi.
Oggi credo che a ossessionarmi di più fosse l’idea di non ascoltarmi respirare.
Di non dare al respiro il giusto peso nella vita.
Ho domato tutti questi pensieri col passare degli anni, avendo cura di soffermarmi ogni giorno a esaminare il mio respiro, peso ritmo e densità. Salvo poi sviluppare la claustrofobia che in realtà è un disagio a cui do impropriamente questo nome: io, infatti, non è tanto l’assenza di spazio a stritolarmi, quanto quella di un flusso d’aria nello spazio da sentir passare a fior di pelle, sicché a me anche il contatto eccessivo dei tessuti può causare claustrofobia.
Poi qualche giorno fa, sono ripiombata all’improvviso nell’infanzia delle mie paure acuita dalla coscienza della loro maturità.
Andavo scalpicciando per Gorinchem, lungo la lieve china che, oltre il mulino De Hoop si affaccia sul canale dove stanno ormeggiati i barconi con i vasi verdeggianti sul pontile e i panni chiari stesi al vento da poppa a prua. Salivo, misurando l’angolo di pendenza del suolo e la consistenza della terra sotto la pianta dei piedi. Un passo dopo l’altro. E per ognuno, il fiato si accorciava, io mi appesantivo sempre un po’ di più.
Prima ancora di poggiare l’ultimo in cima, ho avvertito i polmoni gonfiarsi e irrigidirsi, uno scatto a freddo. C’era la luce spigolosa e l’aria aveva le lame, ho avuto paura che mi si spezzassero (tac) e mi sono ripiegata sullo stomaco, infine allora mi sto fermando (tic…
t-a…c)
Invece dal profondo è evaso un rantolo che ha fatto il rumore come di un tappo in sughero sbuffato senza preavviso dal collo di una bottiglia a causa della pressione. Aveva la maniera di un pianto e di un riso violenti con le ragioni da consumare su due piedi nell’intermezzo da capogiro tra un secondo e un altro,
poi basta. Mi ha lasciata lì, sfinita, con la sensazione di dover riprendere fiato e tanta aria.
Ho chiuso gli occhi e, come quando ero bambina, ho iniziato a spingere aria in petto e fuori dal petto, in petto e fuori dal petto, in petto e fuori dal petto,
a-(f)fondo,
fino a tranquillizzarmi.
Sono rimasta ancora a lungo ad ascoltarla con un piacere estremamente infantile mentre entrava e usciva, sbatacchiando tra la pelle e le ossa.
Io però non è vero che l’ho capito solo in quel momento. Sapevo già da tempo di avere i polmoni ostruiti e di far fatica a respirare – cause a parte –.
Mi dicevo, soltanto finché non avrai raccolto le energie per espettorare tutto.
Ecco, adesso posso tornare a trarre forza dall’aria.
[De Hoop si traduce con “La Speranza”]
Nella caosmosi sociale contemporanea
settembre 23, 2012
Mood: calmo
Reading: fogli pseudo-muti su un certo linguaggio di programmazione
Listening to: The Tallest Man on Earth – I Won’t Be Found [risveglio suggerito da Eta]
Watching: Price is Rice
Eating: frutta
Drinking: caffè
Nella caosmosi sociale contemporanea, il numero infinito di informazioni e immaginari inviato simultaneamente da macchine trasmittenti di ogni tipo verso innumerevoli riceventi provoca nelle menti umane una diffusa perdita di coscienza e di intensità a causa dell’impossibilità biologica a assorbire e elaborare (“secondo le modalità intensive del godimento e della conoscenza”) tutti gli stimoli in arrivo con la stessa velocità (sempre più) impetuosa con la quale invece la tecnologia-comunicazione li genera.
“L’esperienza dell’altro si snerva, si banalizza; l’altro, divenuto parte di una stimolazione ininterrotta e frenetica, perde la sua ricchezza e singolarità, perde la sua bellezza. L’altro suscita sempre meno curiosità, sempre meno sorpresa, tende a divenire fonte di irritazione. Nella relazione interumana prevale allora il fastidio, l’ansia, la paura e alla fine l’aggressività. […]
Si deve partire dalla sofferenza della relazione, si deve catturare il piacere della relazione se si vuole riformare la sfera sociale, se si vuole sottrarre la società alla paura, all’aggressione, alla guerra al fascismo.”
[Franco Berardi Bifo, Ciberspazio e cibertempo]
“Oggi non è più possibile pensare o parlare del mondo, dell’esteriorità, come se fosse qualcosa di completamente indipendente da noi. Anche e soprattutto dal punto di vista delle trasformazioni sociali, il mondo è sempre di più una nostra costruzione. Il mondo è sempre di più un campo di possibilità, e non qualche cosa che viene dato una volta per tutte. Comprendere questo è la precondizione indispensabile per poter costruire qualunque strategia di riqualificazione del simbolico, anche di riscrittura delle regole del patto di convivenza che lega gli uomini l’uno all’altro.”