L’Intronauta
luglio 7, 2011
Mood: quieto
Listening to: la ninna nanna di questa notte
Watching: le poche finestre ancora accese nei palazzi circostanti
Playing: con i riccioli
Eating: frugalmente
Drinking: caffè, uno per ogni persona che sto rincontrando
Negli ultimi giorni, scrivo tanto, ascolto canzoni, leggo libri, scandaglio in profondità i testi e le parole, le mie e quelle degli altri, compulsivamente direi, con compulsiva-mente, ho fame di parole, le pronuncio a voce alta per avvertirne la consistenza tra il palato e la lingua, per sentirne il fiato che rende tremuli gli organi interni e le ossa anche quand’è già sfuggito alle labbra e all’insidia delle sue screpolature, cerco significati, sinonimi e contrari, scompongo e ricompongo, provo ad abbozzare definizioni ed ora confesso che le definizioni a me non piacciono neanche un po’ perché sono i limiti concreti al vivere e al sentire più profondo e contraddittorio, ma che di tanto, in tanto devo farci ricorso per capire qualcosa di me e companatico, mettere un puntinoeacapo e, a proposito di puntini, rendo manifesta la mia consapevolezza che, negli ultimi giorni, non solo scrivo tanto, ma scrivo anche manzonianamente, che a cercare il punto nelle miei frasi e nei miei raggiri non è sufficiente un binocolo.
Ma si dà il caso, e a quest’altezza del discorso chiunque potrebbe supporlo ben da sé, dicevo, si dà il caso che questo puntinoeacapo a me non riesce proprio di scovarlo e piazzarlo nel tormentoso rimescolio della mia esistenza, prim’ancora che nei miei scritti. Ora, che l’esistenza sia per gran parte tormentoso rimescolio non è certo la dichiarazione più geniale che potessi fare: letterati e pensatori, artisti e scarpari illustrerrimi che mi hanno preceduta tanto per le tempistiche, quanto per l’intelletto, hanno ampiamente disquisito e problematizzato la faccenda. Per quel che mi riguarda, me ne son fatta una ragione senza particolari isterismi e del tormentoso rimescolio sbrodoloso sbrodolino mi sono persino innamorata, fortuna che è così la vita, altrimenti sai la noia!, il che non vuol dire che il tormentoso rimescolio ed io non siamo contemporaneamente acerrimi nemici, ma quel che conta è che grossomodo mi barcameno e di questo farmi spazio a scossoni ho fatto uno stile di vita.
Il vero guazzabuglio è che nell’ultimo periodo, di cose ne sono successe e, repentinamente, ne sono cambiate e ne stanno cambiando ed io, che pure convulsamente cerco di seguire una direzione, non sto capendo nulla di tutto quello che al momento penso, provo, voglio, ché io al momento penso, provo, voglio non una sola cosa per volta, ma infinite cose e contrastanti e neanche so da dove partire per venirne a capo. A voler concretizzare, è come essere seduti davanti ad una montagnola collosa di spaghetti in un piatto troppo piccolo, senza riuscire a rintracciare lo spaghetto da cui iniziare ad arrotolare una forchettata.
Sono preda di una confusione totale e totalizzante che mi confonde – una confusione che confonde! – debilita, corrode, distrae, astrae, svuota, senza mai abbandonarmi per un solo momento, al punto che dopo l’ennesimo muretto a secco e l’ennesimo rinculo dell’auto a precedere scansati per un soffio, ho preso la per me-drammatica decisione di non guidare finché non sarò riuscita a tenermi sotto controllo, donnina coscienziosa. Si direbbe che tra cuore e cervello mi si sia innescato un attacco fork bomb di pensieri ed emozioni e desideri e paure contrastanti che non so decifrare e riequilibrare e che minacciano brutalmente di mandarmi in crash.
Penso che talvolta sarebbe massimamente utile se a vivermi e sentirmi ci fosse qualcun’altro più bravo di me a capire com’è che mi vanno le cose lì dentro, per poi riferirmelo con dovizia di particolari. Certamente sarebbe tutto molto più semplice, ma non sono certa che sarebbe la soluzione migliore, dopotutto è una grande avventura conoscere se stessi e dal confronto e dal conflitto si emerge necessariamente arricchiti e più consapevoli.
Qualche sera fa, tra le pagine de Il giardino dei gerani timidi, ho incontrato il termine “intronauta” e ne sono rimasta estasiata, non c’è dubbio che nel ventaglio di parole che ho rintracciato nel corso delle mie più recenti ricerche allo scopo di darmi un volto e di raccontarmi, “intronauta” sia proprio la più interessante, la più necessaria, “intronauta”, esploratore dell’interiorità. Nella mia immagine, l’intronauta ha uno scafandro sulle spalle, ed in mano una lanterna, una penna e un taccuino, viaggia in silenzio, si fa strada col respiro nei più intimi grovigli e valuta e annota e valuta e separa e valuta e chiarifica. Io sono un intronauta e sono in viaggio, dal cuore della mia nebulosa emotiva tutto sembra stazionario, ma semplicemente perché muove impercettibilmente verso una soluzione d’incastro, centro di controllo, abbi pazienza, qui ci vuole solo tempo, ce n’è di strada da coprire e di fogli da riempire, ma prest’o tardi la nuova strada sarà costruita!
Ultimamenteffettivamente
marzo 21, 2011
Mood: quieto
Listening to: Subsonica – Sul Sole
Ultimamenteffettivamente, mi trascino la stanchezza alle spalle, come un Tobia attaccato al guinzaglio, una palla alla catena, un rompicoglioni alle scatole, insomma, a buon intenditor.
Ultimamenteffettivamente, “stanca” è il solo termine che utilizzo per raccontarmi, vai poi a vedere tutto quello di cui sono stanca, di quella stanchezza che mi marca gli occhi in nero, liquidi e pesanti, mi vedo brutta nello specchio, bruttissima, è come assistere ad una disfatta, giorno per giorno e perché cazzo non riesco a sorridermi?, perché cazzo non riesco ad amarmi solo un po’ e strozzo il respiro ad ogni minima perturbazione del cuore?
Ultimamenteffettivamente, al di là del troppo-troppissimo lavoro, a maggior ragione con i giorni di riprese in arrivo, tanto per il booktrailer, quanto per il cortometraggio, il vero problema sono gli scompensi, mamma, se mi stai leggendo, tranquilla!, non quelli alimentari, forse anche onestamente, quelli emotivi ed affettivi piuttosto, che poi, se ci pensi un po’, è degna fame anche questa. Incastrato tra lo stomaco e la bocca, resta un nugolo di storie, parole, desideri e paure, tossisco, sputacchio, ma non mi libero. In verità mi sommergo di lavoro perché ogni tempo morto diventa un’allucinazione ingestibile, affogo nell’ansia se non riesco a riempirmi la giornata di impegni e se non corro all’impazzata fisicamente e psicologicamente, anche a vuoto, fino alla tachicardia. Il problema sostanziale è che mi racconto va tutto bene, procedi, non perdere tempo in inutili piagnistei, va tutto bene, va tutto bene, sorridi tutto il tempo, non c’è più dolore, ma questa è una carnevalata, forse la peggiore che abbia mai messo in scena perché non è che se uno ha imparato a stare bene non può più star male, e il dolore, quando torna, non si può metterlo da parte, bisogna masticarlo, una due, tre volte, tutte le volte che serve fino a metabolizzarlo e piangerlo via, altrimenti la sacchetta del veleno si gonfia e scoppia, contamina il sangue e non si fa presto ad uscirne.
Ultimamenteffettivamente, sono fin troppo consapevole della necessità e delle modalità di un giro di boa nella mia vita, ho persino stipulato dei patti secchi di clausole con la mia anima, ma allora perché non riesco a perseguirli? Hai troppa paura di perdere, dice mia sorella, e non ti accorgi che hai la vita davanti, che mentre tu aspetti c’è chi va avanti ed allora non solo avrò perso quel che non voglio perdere, ma avrò perso vita, ed io ho paura di perdere la vita, mi fa uscire di senno l’idea di tutta la sabbia che scivola nel collo della clessidra e spaccherei ogni specchio, ogni superficie che riflette il tempo scorrere, mi terrorizza letteralmente il tempo, che poi il tempo è un soffio, non sai mai quando si stanca di scorrere, magari è un attimo, e non riesco a smettere di pensare a quanti ragazzi sono morti in meno di una settimana, quello in Belfanti, neanche sapevo esistesse, ne ho sentito parlare per la prima volta mentre spariva sotto il telo bianco, e tutto quello che so è di come se n’è andato, poi due amici di un amico, una notte, ancora la strada, di loro non so assolutamente nulla, ma non è che devi per forza sapere qualcosa di qualcuno per provare dolore, e poi Freddy, com’è possibile?, Freddy? mi faceva il caffè tutti i giorni Freddy, talvolta più di un caffè, e non è che fossimo intimi Freddy ed io, anzi ci conoscevamo appena, ma insomma, un po’ sì, mi faceva il caffè, chiacchieravamo al bancone ed era pieno di vita lui, come è mai possibile che non ci sia più?
Ultimamenteffettivamente, mi mangio mani, unghie e vene, ad arrivarci, mi fanno nuovamente malissimo i denti, ho persino sognato di perderli uno dietro l’altro, clang, clang facevano, e di restare ad osservarli sconvolta, grandi, orrendi, distrutti dal rosicare. Qualche giorno fa, mi è stata proposta una spiegazione psicosomatica per il mangiarsi le mani e le unghie, non le vene però, Fondamentalmente tu sei un animale e, nella coscienza evolutiva, le unghie restano il tuo strumento d’aggressione, pensa ad una leonessa, ma anche solo ad una gatta. Nel momento in cui nutri una voglia folle di aggredire qualcuno, qualcosa, qualcuncosa, ma per un motivo o per l’altro o per entrambi, preferisci non farlo e restar buona e calma, riversi tutta la tua aggressione sul tuo strumento d’aggressione per evitare che aggredisca. Esticazzi se è vero!, ho esclamato, centro di controllo, mandi pure i soccorsi che quaggiù si soffoca. Temo di vomitare all’improvviso e tutto d’un botto, come un fuoco d’artificio di lava e lapilli. Nel 79 d.C., il Vesuvio ha eruttato l’anima della Terra, distruggendo Pompei ed Ercolano, mica robetta, e, a millenni di distanza, esiste forse qualcuno che nutra fiducia nel suo sonno?
Ci sono giorni in cui ho un po’ paura che le cose mi trascinino via, senza possibilità di appiglio, che non arrivi più il sorriso, che non scenda più una pioggia torrenziale sotto cui ballare, solo acqua sporca che lava via ogni colore.
Poi, una notte, all’incrocio di un volo dei nostri cuori, lontano dall’immondo, verso gli sconfinati spazi vergini degli amori innocenti, ho conosciuto l’Agathe di Baudelaire, e nei suoi occhi ho scovato la stessa malinconia burrascosa che c’è nei miei, le stesse domande e le stesse preghiere e mi sono sentita meno sola.
Portami via, vascello, involami, vagone!
Via, lontano da qui, dove il fango è di pianto!
È vero che a volte, Agata, gridi nell’afflizione:
dal rimorso, dal crimine, dall’affannoso schianto
portami via, vascello, involami, vagone?
Le ho detto, Succede, non va sempre come si vorrebbe, piangi pure, Agathe, ma credimi, c’è spazio anche per noi, non disperare, non affannarti, forse il Paradiso è solo più lontano, per noi, forse dovremo cercarlo più a lungo, ma c’è spazio anche per noi. Lo sai che nella foresta tropicale, è l’assenza di luce che stimola la crescita? Lo sai che a un certo punto, la testa rimescola tutto e trova la luce nel buio e il sacro nel profano? La ricchezza, Agathe, è nella complessità e tu non sei un fondo di bottiglia vuota, non lo sei, Agathe, smettila di raccontarti stronzate. Ma li vedi i segni sul tuo volto?, li vedi, Agathe? Non è bruttezza, è la vita che ti si è aggrappata alla pelle, la vita, Agathe! Alza la testa, il mondo, le facce, i gesti, al rosso di un semaforo, emozionati, Agathe!, consolati, cattura il sole che ti illumina il colore degli occhi, stai in mezzo ai colori!
Che poi l’abbia detto per cullare anche me, si capisce.
Dopotutto, Oggi, è l’ultimo giorno!, canta Samuel nelle mie orecchie.