Cut Off c’è
novembre 24, 2011
Mood: tendenzialmente ansioso e dolorante
Listening to: la lezione del giovedì pomeriggio con un orecchio solo
Watching: Melancholia, di Lars von Trier
Eating: bisogna che lo faccia ancora effettivamente
Drinking: caffè
Urca! Ho mantenuto la promessa. Cut Off è online prima della fine della settimana. Piovono coriandoli.
Siccome ne ho già parlato fin troppo, semplicemente, eccoci.
Grazie.
Mi sorprende sempre un po’ la paura che nutrono gli uomini nei confronti del silenzio, la loro tendenza a saturarlo di musica e parole, come se da sè non facesse già rumore più di qualsiasi altra cosa.
Che poi io ho peccato di tendenze opposte e a ventidue anni mi ritrovo a dover fare amicizia con le parole per sfuggire a certe ambiguità asfissianti. Ma queste sono altre storie.
Insomma, Cut Off non è per caso. Ne ho sentito discutere e ne ho discusso tanto, lungo questi mesi, e per me è stato utile e piacevole. Perché, che sia più o meno riuscito o più o meno comprensibile, io Cut Off me lo sono strappato dalle budella. E come me, Zulio.
A tal punto, rimando anche all’illustre backstage quanti se lo fossero persi!
Ri-tratto II /// Dove sono i miei capelli?
agosto 25, 2011
Mood: indecifrabile
Reading: Eugenio Montale, La bufera ed altro
Listening to: borbottii di mia madre
Watching: me medesima
Playing: a tenere alto l’umore
Eating: parmigiana
Drinking: acqua
Scrivevo giustappunto stamattina di quanto desiderassi che la mia immagine fosse sempre nello specchio come in quella foto in cui sorrido.
Ebbene, nel pomeriggio sono andata dalla parrucchiera, nonché mia madrina di battesimo, per la solita spuntatina di rito e mi sono vivamente raccomandata di andarci piano con la forbice ché volevo farmeli crescere ancora parecchio i capelli, che anzi mi stava venendo il puntiglio di non spuntarli neanche più. E la parrucchiera ci è andata piano per davvero questa volta e non era mai capitato. Poi lei aveva appena poggiato la forbice sul banco, quando mi è capitato di incrociarmi per un attimo nello specchio e di sentire stringersi chiaro e violento un nodo alla gola da impazzirci, non è possibile che dopo tutta la strada che ho fatto ricaschi ancora al punto di partenza, non è possibile un’altra notte insonne e per i soliti vecchi motivi, non è possibile che devo essere sempre uguale a me stessa, questi capelli mi stanno pesanti, ostruiscono le porte di aerazione, ho detto solo
‹‹Quanto ci metti ora a farmeli corti, ma corti corti?››
Ci ha messo una mezz’ora. Alla fine, trenta centimetri di capelli sono caduti per terra, un centimetro appena mi è rimasto in testa sul lato sinistro, qualcuno in più sul lato destro e tanti piccoli residui pungenti in bocca e negli occhi e nelle orecchie.
Un po’ è come essere nuda. Per una come me che ha il vizio di avere sempre una mano tra i capelli per sfogare qualsiasi emozione e che per ventidue anni ha avuto tanti capelli – in realtà ventidue meno sei perché fino a sei anni ne ho avuto davvero pochi di capelli – insomma, per una come me il cambiamento è davvero drastico, ma sta bene così, mi fa anche ridere parecchio, soprattutto pensare alle bestemmie che già domani lancerò a spron battuto perché non saprò come asciugare questi quattro peli e farli stare in testa.
A chi mi domanda dove sono finiti i miei capelli rispondo semplicemente che sono impazzita, che non penso più. Quando stamattina scrivevo di quanto desiderassi che la mia immagine fosse sempre nello specchio come in quella foto in cui sorrido facevo riferimento al sorriso, non ai miei capelli.
Del cosa/come/quando/perchè del cortometraggio mio e di Zulio
Maggio 19, 2011
Mood: indefinito/indefinibile
Reading: il piano di produzione del cortometraggio mio e di Zulio
Listening to: il respiro di un corpo addormentato
Watching: l’alluce del mio piede sinistro
Playing: ad essere forte, fortissima
Eating: timballo di cereali e radicchio
Drinking: acqua
Si diceva in un’occasione e più del cortometraggio mio e di Zulio, ma del cosa/come/quando/perché di questo cortometraggio mio e di Zulio non s’è ancora mai scritto degnamente.
Indi.
Il cortometraggio mio e di Zulio nasce lo scorso ottobre come un’urgenza universitaria, in qualità di esame di regia, a partire da un’idea embrionale di Zulio successivamente elaborata e definita all’unisono.
Racconta della bambina Sofia che in casa della sua vecchia zia un po’ pazzerella scova un registratore portatile per audiocassette e lo manda in play. Racconta del suono e del silenzio, di come si confondono e si distanziano, alterando le prospettive fino a sfiorare l’incomunicabilità. Non a caso l’abbiamo intitolato Cut Off, che è la soglia tra un massimo ed un minimo e l’azione della loro scissione, ma anche un filtro di lavorazione dell’audio che taglia via certe frequenze prederminate.
Nel corso di cinque lughimabrevi mesi di lavoro, il cortometraggio mio e di Zulio è cresciuto nel tepore dei nostri cuoricini ed è diventato il chiodo fisso di giorni e giorni, un pensiero che al solo sfiorarlo si accende e prude sotto la pelle perché, quel ch’è giusto, a noi sta venendo alla testa una certa passione, una certa voglia di giocarcela al di là di un semplice esame e poi chissà, ma intanto si lavora e si lavora duro.
Chè a fare un film non ci vuole poco e prima di arrivare sul set e chiamare “Silenzio, Motore, Azione!” e mettersi a riprendere bisogna pensare e scrivere e organizzare, pensare e scrivere e organizzare, pensare e scrivere e organizzare tutto, il soggetto, la sceneggiatura, la regia, la fotografia, l’audio, l’attrezzatura, quella da chiedere alla scuola e quella da acquistare, gli attori, le locations, i sopralluoghi, i costumi, quelli da ricercare e quelli da far realizzare, le prove, la crew di lavoro, il trasporto e lo spostamento, i tempi, il piano di lavoro giorno per giorno, i costi, il perché e il valore di ogni più piccola scelta e via così.
Certo, il nostro è solo un cortometraggio, mica Ben-Hur, ma insomma, sarà la suddetta passione o la nostra natura o forse tutt’e due, ma qui facciamo i videomaker in erba seri e pure decisamente spostati verso la megalomania, che poi tutto sta nel ricercare la massima concretizzazione delle nostre idee, anche a costo di qualche sacrificio in più.
Zulio ed io, a lavoro su un set per le prove luci, in versione “Basta crederci”
Nel corso di cinque lunghimabrevi mesi di lavoro, tutto quello che c’era da fare, Zulio ed io lo abbiamo fatto insieme, abbiamo messo in gioco le nostre sensibilità artistiche ed umane, ci siamo scazzati perché due teste e due cuori diversi per natura non concordano a priori su tutto, anzi spesso seguono percorsi totalmente diversi e Zulio ed io siamo capaci di discutere per ore e ore, accorgendoci solo alla fine che stavamo dicendo la stessa cosa, ma con parole diverse, motivo per cui abbiamo spesso dovuto cercare il compromesso. Ma quel che più conta, Zulio ed io ci siamo affiatati e ci siamo conosciuti un po’ più nel profondo, dove prima ci negavamo.
A pensarci, il cortometraggio mio e di Zulio è saturo di piccoli dettagli umani. C’è la location che è la casa dei nonni materni di Zulio, sotto casa di Zulio, a Bassano del Grappa, ma i nonni di Zulio non ci sono più ed osservarla e scorticarla per conoscerla, scoprirne gli angoli e gli oggetti, sconvolgerla per le nostre esigenze narrative, è un po’ come aggirarsi nella vita di qualcuno che non conosci, ma che, giorno, dopo giorno riscopri un po’ più intimo, riconoscendolo tra i libri e le pile di dischi, le fotografie e i vestiti, la polvere e le impronte sui rami, sulle bottiglie e sui feticci di viaggio e i giorni di quieto trambusto, rimasti incuneati tra le pareti, iniziano a pulsare nelle orecchie. Ci sono i nostri viaggi notturni a musica alta e poi bassa, man, mano che l’abitacolo si impregna di parole sussurrate e la strada si fonde in un fiume luminoso e ci sono gli aperitivi sul ponte di Bassano a fantasticare in grande e ridere del futuro e poi la stanchezza fisica e mentale, ma ancora la voglia di arrivare in fondo e farlo ridendo. C’è la nostra piccola attrice che ha scritto una storia per noi, “i registi”, e ci sono tutte le persone incontrate con la loro età e i loro racconti, qualcuno persino in dialetto veneto, e la consapevolezza che quando consenti alla vita di entrarti nel sangue e fare il suo giro, certamente ti stupirai di quanta ce ne sia per le strade del mondo e di quanto tempo si possa sprecare a smarrirsi tra futili cavilli da burocrazia esistenziale, ché spesso tutto è più semplice di come ce lo macchiniamo nella testa. C’è tanto altro e ci sarà tanto altro ancora. Domani partiamo, io e Zulio e Laura e Nicolò che ci aiutano in quest’impresa, facciamo una buona squadra. Partiamo per Bassano del Grappa con la macchina stracolma di tutto il necessario per fare un cortometraggio e la nostra ansia ed euforia in parti uguali. Poi venerdì mattina iniziamo le riprese, quelle serie, e le concludiamo lunedì e la sola idea è strana, dopo cinque mesi di lavoro di preparazione, mi si rimescola dentro lo stesso intruglio che agita una donna prima di salire all’altare, così dicono succeda.
E allora, let’s go!, si prospetta un bel trancio di lavoro e lavoro e vita e vita e vita e vita e riuscirà bene, ce lo sentiamo. «Stai serena. Sarà un successo!» mi ha appena scritto Zulio. Le carte sono tutte in regola, sì, sono davvero in regola.
Vivo per sempre insieme ai miei capelli
agosto 25, 2010
Mood: aggressivo, dicono
Listening to: Manu Chao – Bongo Bong
Drinking: caffè, dovrei diminuirne il consumo, dicono, mi rende più aggressiva, dicono
Sebbene non siano spuntati subito (piuttosto con parecchio ritardo), in fase d’assemblaggio, sono stata dotata, oltre che di una quarantina di centimetri di fronte su cui è possibile affrescare il ciclo della vita di S. Francesco e di un viso pallido, ben tornito e liscio come il culo di bebè, anche di una massa non indifferente di lunghi riccioli boccoleggianti, tutto il necessario, dicono, per assurgere all’immagine gentile (con accezione provenzale) di dama d’altri tempi o di bambolina di porcellana, osservazione quest’ultima che odio dal profondo, per ovvie implicazioni di carattere emotivo, cui ho l’incapacità di resistere, applausi, prego, per questo periodo manzoniano!
Ieri ho detto alla parrucchiera di dare un taglio netto ai capelli e di non pensarci, di scalarli sempre di più. Per una volta poteva non preoccuparsi di lasciarmi pelata, che i parrucchieri, si sa, non hanno il senso della misura quando hanno una forbice in mano.
Li ho guardati ancora una volta, morbidi attorno ai muscoli del collo e giù per l’incavo delle spalle, poi hanno iniziato a cadermi addosso. Tempo dieci minuti e ho potuto dire ciao ad una piccola chioma rigonfia, irsuta ed evidentemente non domabile con quei ricci più corti che sfuggono in cima, vagamente aggressiva come un neonato che scalcia per farsi posto nel peso del mondo circostante e che piange a squarciagola per prendere aria.
“Ti sei alleggerita la testa, eh!” mi ha detto la parrucchiera.
Le ho detto che sì, me l’ero alleggerita.
Di tutti i granelli di polvere e le gocce di sudore dopo corse affannate verso il traguardo per poi restare ugualmente nel dubbio e nell’attesa, di ogni sguardo e carezza tra risate o lacrime, di tutto il peso dell’amore e della rabbia, di ogni cosa che nei riccioli è facile resti incagliata.
Non so perché, mancano i dati scientifici, ma l’atto di tagliare i capelli porta con sé la convinzione leggera di aver chiuso i conti col passato, di poter ricominciare a camminare a testa alta.
Forse perché, i pesi del cuore sembrano concentrarsi fisicamente all’altezza della testa e la comprimono, la costringono sottovuoto.
Forse perché, vivendo sempre insieme ai propri capelli, come cantava qualcuno, la separazione è un atto che richiede un pizzico di coraggio.
Forse perché, dopo averlo fatto, cambiano i lineamenti del viso, i miei si induriscono, è una dichiarazione di guerra.
Forse perché è archetipo umano, mitologia pura, chissà se Eva si è tagliata i capelli dopo la cacciata dal Paradiso.