Respiro

marzo 31, 2011

Mood: sereneggiante
Listening to: il ronzio del frigorifero e lo sfrecciare di qualche macchina nel silenzio notturno
Playing: il gioco della felicità
Eating: patate duchesse
Drinking: acqua



Dentro custodisco respiri.

Bolle d’ossigeno, acciuffate col retino, strada consumando, e liberate tra i muscoli e le ossa. Immuni al mondo là fuori, immuni al tempo, le mie bolle d’ossigeno serbano solo il sereno e l’armonia di un momento di completa empatia, riecheggiano la bellezza e lambiscono l’immenso.
Ché io sono una creatura piccina, ma la mia anima ha uno spazio sconfinato e per fortuna! perché incessantemente percepisce il mondo, e si percepisce nel mondo, con il mondo ed archivia ed estetizza.

Così, nel mezzo di una disfunzione, mi guardo dentro e so dove andare a rifugiarmi, dove andare a respirare.




«Che posto è?»
«La mia terra, il mio mare.»

Ho scoperto questo lembo di terra pugliese quand’ero ancora bambina. La gente lo chiama Porto Ghiacciolo, per via delle correnti gelide che battono i fondali. A quel tempo, la spiaggia non era ancora stata colonizzata da un’orda di culotetteaddominali al rimorchio, ammassati in pochi centrimetri di sabbia, ma era frequentata dai soli pochi che ardivano attraversare i campi di pomidoro e scavalcare muretti a secco diroccati per distendersi al sole, e non c’era il bar e non c’era la musica e non c’erano le brandine, solo l’orizzonte sfumato tra il mare e il cielo e da un lato il castello con le palme in cima e dall’altro la casa segnata dalla salsedine di due anziane sorelle con le oche, i riflessi cangianti nel ritmo dei flutti e le pozze con i gamberetti, persino una vasca con le cozze, lo sciabordio del mare contro gli scogli e i fianchi delle barchette ormeggiate più al largo ed il vento tra gli spruzzi, il risucchio e il rigetto dell’acqua nella cavità sotto il castello e lo starnazzare delle oche che scendono a mare per la traversata quotidiana fino al castello.

Nel corso del tempo, in questo lembo di terra ho seminato ricordi ed emozioni forti tra i sassi e le conchiglie sul bagnasciuga e li ho intrecciati con la spuma delle onde.
Ho trascorso lunghe ore con il mio mare, a lasciarmi cullare la solitudine, a raccontargli di me e ad ascoltare di lui. Ho imparato a restare in silenzio, a respirare e ad osservare, ché il mare decisamente non lo conosci in fretta. Ho imparato a vivere la simbiosi tra la cadenza del mio respiro e la continua metamorfosi del suo, fino ad avvertirla rimbombarmi nella cassa toracica, ondata di rantoli cavernicoli, ora quieti, ora violenti. Ho imparato a lasciarmi andare e a scendere dalla superficie ai fondali, fino ad alienare la mia anima e il mio momento nel palpito incalzante del mare, sfogando le emozioni e consolando gli affanni.

Così, questo lembo di terra si è rivestito ai miei occhi di un’aura rituale. Oggi ci torno solo quando so che l’orda di culotetteaddominali al rimorchio è distante, ma venero questo lembo di terra, lo venero come liquido amniotico, lo venero quand’è silenzioso, quand’è mio, quando posso riprendere a dialogarci indisturbata e nutrire l’anima, quando mi ci immergo e torno a respirare e mi sento libera di andare ed immensa.


Domani, che poi è già oggi, torno a Sud per qualche giorno, devo risolvere alcuni problemi di salute e rilassarmi tra mia mamma e mia sorella.
Tornerò anche al mio mare, da giorni ormai ne sento il richiamo ancestrale.


Tra due ore suona la sveglia per andare in aereoporto. Magari non vado a letto e vedo l’alba. Adesso la sto aspettando con impazienza.

The Way back Home

gennaio 25, 2011

Mood: confusa
Reading: Jens Hauser (a cura di), Art Biotech
Listening to: Radiohead – No Surprises (mandata da Laura al contrario e giù di disquisizioni su quanto comunque la canzone non perda la sua musicalità)
Sid Vicious – My Way






Un mese a prendere e partire, fermarmi, poco, mai troppo, per ripartire, un mese intero così, a macinare chilometri e prendere e dare ed intossicarmi di vita, l’Olanda nel grembo della famiglia, mia sorella ed io a letto tra a mamma e papà, Dai, facciamo notte in bianco! Passiamo le ultime ore insieme! Sveglia grassone!, e l’Olanda on the road, uno zaino in spalla, Pauline al collo, piedi nella neve ed occhi ebbri, Come on, come on!… Ein blau tram kard, alstublieft… Excuse me, just an information, e inglese e italiano e olandese, persino francese nella testa *; immediatamente dopo, la mia amata Siena dall’atmosfera quieta, per abbracciare un’Amica che non vedevo da troppi mesi, lasciarmi avvolgere dal suo calore, respirare la sua vita ed i suoi pensieri ed immergermici, Perché devi andare via?, Siena per riabbracciare inaspettatamente un Amico, trovarlo cambiato, ma essere ancora un Noi, come ai tempi della fotografia appesa al muro di fronte, Lui, Lei, io, il caffettino, mancava solo la sigaretta, sia Lui che io abbiamo smesso di fumare, Guardate, quanti mesi erano passati?, due? Eravamo già noi, due anni e più sono passati ormai; poi un treno direzione Vicenza, destinazione Bassano del Grappa, da Zulio, per concludere la stesura della sceneggiatura di Cut off **, il nostro primo cortometraggio da girare in aprile, fare un primo sopralluogo, conoscere le nostre due attrici, stanchi morti alla fine di questo tour de force, ma tanto, tanto soddisfatti di stringere tra le mani una buona porzione di fase di pre-produzione.
Insomma. Un mese, alla fine del quale, risulta difficile disfare una valigia che si è affollata sempre più ad ogni sosta di biglietti usati di aereo-pullman-treno-tram, mappe su tovaglioli di carta e bustine di zucchero ed appunti visivi, odori tanti e diversi per ogni sosta, emozioni nuove, ritrovate, perse,

parole poche e tutte



sul fondo.


Da una settimana sono di nuovo stabilmente a Milano. Ho ripreso a frequentare l’Accademia quotidianamente, a prepararmi per gli esami di febbraio (e a diventare folle dietro la fatica), a lavoricchiare ai progetti futuri, a restare per ore con gli occhi fissi sullo schermo del computer.
Com’è andato il rientro a Milano?, mi domandano, Faccio fatica, rispondo. Effettivamente, solo ieri ho disfatto la valigia, riposto tutto negli armadi e nei cassetti, ma non mi sono arrampicata sulla scala per costringerla sul soppalco in bagno, l’ho lasciata di fianco al letto, Questa stabilità mi destabilizza, no, non sono stanca di viaggiare, perchè ne ho bisogno come l’aria, osservare, ascoltare, confrontarmi, vecchio e nuovo, ricevere stimoli, essere stimolo, ancora una volta luogo da scoprire, non solo,

ci ho pensato. L’ultima sera a Siena, me ne stavo stesa in Piazza del Campo, si usa così a Siena, con l’Amica mia, l’Ex-Coinquilina mia ed un amico suo, più la sambuca. Raccontavo dei miei ultimi spostamenti, di quelli che ho in progetto per il futuro. Accidenti, Soroty (mi chiama così l’Ex-Coinquilina mia), sempre pronta a partire!, Massì, mi piace, sogno una vita a farlo, rispondo io, Eppure prima o poi dovrai fermarti, salta su l’amico dell’Ex-Coinquilina mia. Mi sono sentita inspiegabilmente in imbarazzo, non ho risposto, mi si è piantato un chiodo fisso nella testa.

Per questo motivo ci ho pensato. Sono fatta così io, ho le radici mobili, nulla di troppo visceralmente legato a spazi, luoghi ed oggetti, sicché faccio presto ad affondarle in un qualsiasi nuovo terreno e a trovare nutrimento ed abbellimento, far fiorire gli affetti e sentirmi a Casa, ‘ché io ho una teoria, una tra tante, da quando ero ancora bambina, Casa non è un luogo confinato da pareti, ma un’atmosfera di appartenenza, una serenità diffusa, il rullo di cuore che ti batte al fianco, uno o due o tre, un intermezzo di condivisione emotiva, lo spazio di un abbraccio, poi poco importa in quale angolo del mondo ci si ritrovi. Agli affetti, a quelli sì, mi lego visceralmente, talvolta accuso anche la nostalgia di qualche lontananza, ma solo talvolta perché ogni persona che ho amato, che amo fluisce in me, e serenamente attendo i ritorni, i giri di vita, gli incroci tra strade parallele, mentre continuo a vivere e costruire.

Ho guardato al fondo di questo mese da nomade, straniera, sempre, ad ogni sosta, eppure completamente a mio agio di fronte alle novità, sempre, come fossi autoctona, mentre ad ogni sosta elevavo la mia piccola Casa. Ho capito quanto questa condizione sia necessaria al mio star bene.
A ben pensarci, il mio ultimo mese non è che un mese a rincorrere Casa. A ben pensarci, il mio nomadismo non è che una via verso Casa. A ben pensarci, non escludo la possibilità di fermarmi. Presto o tardi, a ben pensarci.





* prima o poi, ci conto, avrò tempo per selezionare, elaborare e mostrarvi le foto del reportage olandese
** post dedicato, a breve su questi schermi