Il video, ecc
aprile 1, 2013
Mood: esaltato
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: Woodkid, The Golgen Age
Watching: Django Unchained di Quentin Tarantino
Eating: taralli
Drinking: te
Mettiamola così, in completa onestà [‘ché un po’ ne ho bisogno]:
se non fossero coinvolte tutte le persone meravigliose che, invece, sono coinvolte
se non fosse diventato come, invece, è diventato il videoclip ufficiale di un brano incantevole di un’autrice che stimo parecchio, Dreamer di Miriam Neg,
se non fosse che di tutto questo sono orgogliosa,
probabilmente il progetto video col quale mi sono laureata non sarebbe mai stato reso pubblico.
Questa è quasi certamente la peggior cosa che potrei mai dire, ma tant’è.
Il fatto è che, in ogni secondo di questo video, io mi rivedo, cause che l’hanno concepito come sintesi del mio trascorso umano più recente e poi causa esso stesso della nuova crisi professional-identitaria del mio presente, capro espiatorio in verità di processi e dinamiche più ampie che non starò qui a enumerare,
ormai cancrenizzate,
ormai individuate,
ormai da affrontare.
«Hai imparato tanto da questa esperienza, no?» mi chiedeva spesso il mio relatore durante i nostri incontri. Lui parlava della mia capacità di scrivere un’immagine con la luce, dei miei progressi come direttrice di fotografia che erano l’intento primigenio della mia tesi [per lui], quello che poi, per certi versi, è scivolato sul fondo.
Neanche può immaginare quanto e cosa, avrei voluto dirgli, ma meglio di no, mi limitavo a sgranare gli occhi e alzare le sopracciglia, annuendo, come faccio sempre quando voglio dire «Aivoglia!»
Un pomeriggio, verso la fine, mi è sfuggito «Mi ha devastata.»
E allora è stato lui a annuire.
Ho [in]seguito questo progetto e le sue evoluzioni per quattro mesi dacché l’ho scritto. In tutto quello che è riuscito, in tutto quello che è andato storto, mi sono aggrappata all’idea di farcela e spesso, invece, avrei voluto mollare. L’ho amato, l’ho odiato e lungo i suoi quattro minuti si potrebbe ben riconoscere dove l’ho amato e dove l’ho odiato. Si è preso tutta la mia esaltazione e la mia fatica emozionale, spingendomi sempre al limitare senza darmi fiato,
quando rovistava nei paesaggi della mia immaginazione,
quando mi portava nelle baracche di periferia di Milano a cercare oggetti improbabili e nelle case e nelle vite di persone fuori dall’ordinario,
e infine quando la mattina mi svegliava di soprassalto, senza grazia e io avrei voluto soltanto debellarlo.
“Ogni autore ha un rapporto diverso con il proprio lavoro. Per me è essenziale avvertire il cambiamento evolutivo e la metamorfosi dei processi di illuminazione in atto nella mia intimità, allenare lo sguardo che osserva l’esterno dall’interno e l’interno dalla sua esteriorizzazione. Dopotutto io racconto perché ho urgenza di condividere qualcosa” ho scritto nell’Introduzione della mia tesi, «Qualcosa intorno alla luce». Oscillazioni costitutive di uno sguardo.
Stavolta, però, avrei voluto tenere il mio lavoro per me. Egoisticamente, alla fine, è un po’ normale,
intimo com’è a modo suo
che volessi tenerlo per me, un po’ mi vergogno, abbiate pazienza, voi ci stareste nudi in una piazza di vestiti senza pensarci su un paio di volte?
Ecco, mi è servito un po’ di tempo,
fin quando almeno non ho realizzato quanto questo lavoro fosse diventato per me un’ossessione.
Anche dopo averlo concluso,
anche dopo la prima e le successive proiezione e i primi e i successivi entusiasmi,
questo lavoro ha continuato a ossessionarmi.
E allora, vai,
vattene!
Vai, a farti un giro, un bagno di folla in mezzo alle mille altre cose che circolano nell’etere!
Vai che magari inizio a prenderti meno sul serio, a sorriderti di più – lo meriti anche –,
se diventi un po’ più di tutti e un po’ meno mio.
Ecc[…]
***
A questo punto, animata dai furori eroici del caso, prima che fosse un paio di giorni fa, avevo scritto “Eccovelo!”,
‘ché il mio ultimo video stava per esserci davvero.
Quand’ecco, invece, 17 frames di problemi tecnici da risolvere, sorrisino isterico.
Cancello allora quello che avevo scritto e, con il supplemento di un sentore di condanna per determinismo universale, rimando di qualche giorno.
Ma adesso sono serena, sai?, non mi spaventi più e ti sorrido. Quando la prossima volta scriverò “Eccovelo”, lo farò senza più scagliarti lontano. Lo avverti, vero, che sono tornata a ricomporti senz’ansia?
«Qualcosa intorno alla luce», prima del Capodanno
gennaio 1, 2013
Mood: euforico
Listening to: il silenzio insolito di Milano nei giorni di festa
Eating: castagne
Drinking: te arancia e cannella
Tre anni, trentanove esami – anche se a libretto ne risultano ventidue – e tre abilitazioni dopo,
la tesi.
Che poi, nel mio caso specifico, tesi è il nome che si dà a un’occasione e a un pretesto, quello per lavorare a un nuovo progetto al fondo di un semi-lungo periodo di pausa, nel quale ho vissuto una profonda crisi esistenziale causata dalle famigerate abnegazioni da videomaking, mi sono sentita persa, sola e senza nulla da dire, sono andata e tornata dall’oltre oceano e da un altro paio di luoghi, ho cercato e trovato stimoli e storie da raccontare, fatto e disfatto migliaia di progetti e possibilità, dato gli ultimi dieci esami, cercato di fuggire per ritrovarmi all’improvviso più serena e con qualcosa di molto vicino e a me congenito da esprimere.
Questo qualcosa ha a che vedere con un paio di scarpe al contrario e un vecchio comodino pieno di polvere, ma anche con un uovo di struzzo e un veliero di stuzzicadenti raccolto una domenica in un mercatino dell’usato, con un disegno di Apollo radioso e una Singer del 1940 e tante altre cose stupefacenti,
racconta di «Qualcosa intorno alla luce».
Ora abbiate pazienza. Più o meno tutti vi siete laureati e più o meno tutti avete letto in occasioni passate cosa diventa la mia vita quando mi immergo in un nuovo progetto che dilaga in ogni angolo della mia persona. Mi vengono le crisi d’odio e quelle d’amore a una velocità di alternanza fotonica. Ho bisogno di tempo e non c’è mai tempo, è sempre e comunque tardi, con questi ritmi è difficile essere presente. Senza contare che questo progetto in particolare è per me un’occasione parecchio preziosa e complessa, speciale, e che perciò sono impegnata a vivermelo. Non è ancora arrivato il momento di tirare le somme.
Ho il sospetto che il giorno in cui lo farò, sarà anche per me [una sorta di] Capodanno, fine di un ciclo e inizio di uno nuovo.
A voi però, Buon 2013.
τίϑημι // Un (mi sembra) Autoritratto Provvisorio VII – Ottobre 2012
ottobre 19, 2012
Mood: alla ricerca della sublimazione
Listening to and watching: A sua immagine, passivamente
Eating: cannoli siciliani
Drinking: caffè
Tesi [di laurea], dal greco ϑέσις, “azione di porre” che a sua volta deriva da τίϑημι, “porre”, “collocare”; propriamente “posizione”, “cosa che viene posta”, quindi proposizione che richiede una dimostrazione.
Qui, allo stato attuale dei fatti, l’unica cosa che può definirsi posta sono le mie spalle contro un muro e il mio cervello sottovuoto.
*
Torna dopo mesi – inaspettatamente persino per me medesima – l’Autoritratto Provvisorio, abbandonato per la tanto-citata-su-questo-blog penuria di tempo.
“Inaspettatamente persino per me medesima” perché in realtà stavo solo cercando un momento di svago dalla gravità dei pensieri, giocando con la luce.
Torna anche – sempre inaspettatamente persino per me medesima – un pizzico di voglia di prendermi poco sul serio. Suvvia, eh!