Mood: euforico
Listening to: il silenzio insolito di Milano nei giorni di festa
Eating: castagne
Drinking: te arancia e cannella



Tre anni, trentanove esami – anche se a libretto ne risultano ventidue – e tre abilitazioni dopo,
la tesi.

Che poi, nel mio caso specifico, tesi è il nome che si dà a un’occasione e a un pretesto, quello per lavorare a un nuovo progetto al fondo di un semi-lungo periodo di pausa, nel quale ho vissuto una profonda crisi esistenziale causata dalle famigerate abnegazioni da videomaking, mi sono sentita persa, sola e senza nulla da dire, sono andata e tornata dall’oltre oceano e da un altro paio di luoghi, ho cercato e trovato stimoli e storie da raccontare, fatto e disfatto migliaia di progetti e possibilità, dato gli ultimi dieci esami, cercato di fuggire per ritrovarmi all’improvviso più serena e con qualcosa di molto vicino e a me congenito da esprimere.

Questo qualcosa ha a che vedere con un paio di scarpe al contrario e un vecchio comodino pieno di polvere, ma anche con un uovo di struzzo e un veliero di stuzzicadenti raccolto una domenica in un mercatino dell’usato, con un disegno di Apollo radioso e una Singer del 1940 e tante altre cose stupefacenti,
racconta di «Qualcosa intorno alla luce».

Ora abbiate pazienza. Più o meno tutti vi siete laureati e più o meno tutti avete letto in occasioni passate cosa diventa la mia vita quando mi immergo in un nuovo progetto che dilaga in ogni angolo della mia persona. Mi vengono le crisi d’odio e quelle d’amore a una velocità di alternanza fotonica. Ho bisogno di tempo e non c’è mai tempo, è sempre e comunque tardi, con questi ritmi è difficile essere presente. Senza contare che questo progetto in particolare è per me un’occasione parecchio preziosa e complessa, speciale, e che perciò sono impegnata a vivermelo. Non è ancora arrivato il momento di tirare le somme.

Ho il sospetto che il giorno in cui lo farò, sarà anche per me [una sorta di] Capodanno, fine di un ciclo e inizio di uno nuovo.

A voi però, Buon 2013.

Ottobre 2012, «E dopo?»

ottobre 27, 2012

Mood: sereneggiante
Reading: Paola Bressan, Il colore della luna
Listening to: Bonobo – Noctuary
Watching: Nuovomondo di Emanuele Crialese
Eating: latte e biscotti
Drinking: caffè



Questo ottobre 2012 è un mese inequivocabilmente degno di nota nella mia vita. Per la prima volta in ventitré anni, l’inizio di un nuovo anno accademico non mi ha trascinata di fronte a una qualche cattedra con congruo professorone in tale eccelsissima scienza – senza sottigliare sul fatto che quando ero al liceo dovevo rientrare in aula il primo lunedì di settembre, quando, a Sud dove sono cresciuta, tutto il resto dell’umanità se ne sta ancora abbarbicato sugli scogli per sfuggire alla bollitura a secco e mai nessun istituto si sognerebbe di aprire le porte di quella che sarà certamente una fornace, nessuno tranne il mio che era speciale e aveva anche le reti di sicurezza alle finestre.
Ritornando indietro di qualche riga, fino a prima dell’inciso, e riprendendo le fila del discorso, si tratta di una cosa che letteralmente deforma il tempo di ogni giorno per come ero abituata a viverlo e questo un po’ mi confonde, ma per lo più mi sconfinfera perché adesso, senza darmi alla nullafacenza, né sollazzarmi oltre misura, finalmente posso starmene con i muscoli di qualche centimetro più distesi e persino concedermi un diletto di tanto, in tanto.
Facendo i conti in rapidità, a oggi mi trovo a un esame, una tesi e una dissertazione di distanza dal mio brillante foglio di carta da incorniciare nello studio che mai avrò. A febbraio avrò azzerato anche questi numeri,

«E dopo?»
«Dopo arriverà», rispondo generalmente.

Ebbene, la mia potrebbe definirsi una crisi communis da laureando in merito alla quale non c’è bisogno di aggiungere alcunché. Effettivamente ci sono giorni che mai come adesso mi sono sentita tanto uguale a tutti gli altri.
In realtà io, se mi metto la testa alla rovescia, chiunque potrebbe vedere che non è vuota, ma che è frullata ininterrottamente da un gran numero di idee tutte di prima classe, desiderabili e persino attuabili, ma tutte intrugliate con un numero superiore di eventualità, cause e effetti precisabili da me, dagli altri, dalle situazioni, dal caso, cioè da tante cose che – chiunque converrà con me – variano di giorno, in giorno, e sulle quali non si può fare affidamento quando si tratta di prevederne gli esiti. Un matematico definirebbe questa condizione “sistema complesso”, se fosse più pignolo “sistema caotico”.
Del resto io, se mi metto a pensare al dopo, mi distraggo subito perché non voglio fare come chi se ne va lontano dal presente a causa di un’attrazione superiore per il futuro che, invece, io dico, si riempirà delle cose che saranno passate sicché adesso mi limito – se di limitazione si può parlare, senza farmi torto – a vivere al meglio che posso tutto quello che mi circonda, “sistema complesso” incluso.


Accordo però che, tra gli elementi che mi rimescolano il cervello, il più frequentemente a galla è esodo

1 // da me che, determinata come sono nell’inseguire quello che voglio e abituata a superare ogni momento di crisi, non ho voluto riconoscere di essermi ridotta con i nervi a pezzi nell’ultimo anno, errore mai tanto grande perché adesso l’unica cosa che mi va a fagiolo è stare appesa a testa in giù dal ramo di un albero mentre il mondo fa avanti e dietro e io lo interiorizzo per alimentare il mio genio ammutolito.

2 // da uno Stato che, miseria di offerta di lavoro a parte – a maggior ragione per eretiche come me che osano pensare di poter svolgere una professione di appannaggio maschile –, ma non del tutto, si arricchisce di “puttanieri, faccendieri e tragattini”, demolisce continuamente i diritti fondamentali dell’essere umano in virtù di una legge tutt’altro che laica, millanta un ideale di democrazia che non bacia la realtà tanto più perché è vuoto fin dalle origini dei concetti di cittadino e di popolo sicché tutti l’importante è il mio piatto di pasta due volte al dì, per quello si può scendere in piazza, fottere e ammazzare, ma del bene comune, dello Stato sociale – quei famosi – chissenefrega, e quali virtù, quali beni può trasmettere tutto questo al piccolo figlio – che forse mai avrò – quando dovrà insegnargli a stare al mondo, quale serenità a me che non mi ci riconosco e che me ne vergogno? Dicono che ho il dovere di essere arrabbiata e giuro, lo sono. Fino a qualche anno fa, sarei anche stata nelle schiere di chi resta a dare capocciate contro i muri, guadagnando infine [con tempi da olocene] piccole crepe interstiziali – tanta stima a riguardo –. Ma onestamente io, non che abbia mai affinato un forte sentimento di italianità e questo scombussola un po’ i fatti: oggi andrei via perché vedo mancare le condizioni per restare o forse semplicemente perché oggi sono geneticamente italiana più di qualche anno fa e voglio interessarmi di me soltanto e non dell’Italia.

Fra l’altro, prima o poi, dovrà arrivare il momento in cui fare per davvero i conti con la mia irrequietezza che tanto mi spinge a vagabondare, tanto mi tormenta – talvolta morbosamente – con la ricerca delle radici.

Mood: allegro
Listening to: Raf – Infinito da cantare a squarciagola con Gaga, Yanna e Poppi in macchina, tornando da mare e al testo non avevo mai prestato tanta attenzione
Watching: foto dimenticate
Playing: a ridere forte
Eating: patate al forno
Drinking: acqua, mi sto rammollendo



Scaricando la scheda di memoria della propria macchina fotografica sul computer, un giorno molto tempo dopo l’ultima importazione, può capitare di riesumare alcune cosette che si erano dimenticate.
Per questa strada, stasera mi sono imbattuta in due chicche riguardanti la sessione d’esami appena trascorsa, i due must in verità.

Rispettivamente


il mio pc nel congelatore, ebbene sì, testimonianza dell’ultima tendenza lanciata dalla sottoscritta ed accolta a catena da Laura e Zulio e persino Yanna, tendenza secondo la quale “quando il computer si surriscalda a causa del troppo lavoro e dell’afa, l’unica soluzione per ovviare al problema è infilarlo nel frigo o nel congelatore, a discrezione ed in relazione alla gravità del problema”, motivo per cui, durante la sessione di esami di giugno, aprire il frigorifero di casa (Ap)PaRecchia al Tre alias casa mia e di Yanna, deturnata per l’occasione in bunker e dormitorio, comportava la certezza puntuale di imbattersi in un qualche computer messo in fresco, a contrastare (d’altra parte e violentemente) la miseria estrema di viveri di qualsiasi genere, quasi il tentativo di creare un effimero senso di riempimento;


un’alba milanese, una di quelle che Zulio, Laura ed io abbiamo avuto il privilegio di ammirare dalla finestra di casa (Ap)PaRecchia al Tre a coronamento di lunghe, ma percettivamente brevi nottate di studio e lavoro, affrontate con tenacia e fiducia incrollabile l’uno nell’altro per tagliare il traguardo e con tutto rispetto, quand’anche la situazione si rivelasse troppo disperata, la nostra testa schizzasse eccessivamente fuori bolla, la risata si facesse isterica e la nostra “puzza da maschio” diventasse insostenibile! Ci siamo accorti Zulio, Laura ed io, che Milano all’alba sa essere magica e questo ci ha fatto sorridere parecchio.


Sì, nel degenero complessivo, ci siamo anche ribattezzati, il terzo must è questo.

Certe Psyco-Notti

giugno 24, 2011

Mood: fluttuante incerto
Watching: l’alba
Eating: un cornetto, direi, a breve
Drinking: caffè



Con: Lorenza Fumagalli
Regia: Dorotea Pace
Direzione della Fotografia: Dorotea Pace
Operatore: Giulio Volpe (Zulio mio)
Sound Design: Giulio Volpe (Zulio mio)

Questo è un piccolo video realizzato per l’esame di Direzione della Fotografia in Naba. Lungo una una nottata e insieme ad altri video di altri compagni di corso, c’è bisogno di specificarlo?

No, perché durante le sessioni di esame, certe Psyco-Notti a cercare idee che non sempre arrivano, buttare giù caffè e sentire il tempo correre veloce… sono l’ordine del giorno.


“Puoi pure spegnere la luce, Dò, c’è il sole!”

Così anche oggi abbiamo visto l’alba Zulio, Laura ed io, lavorando e ridendo*, chè non siamo ancora andati a dormire e di fatto non abbiamo più sonno, ma andremo a dormire noi ora, ci andremo, ci stiamo andando, a due ore dalla sveglia!


Buonanotte.





* lavorando e ridendo perché questa notte noi eravamo impegnati nell’ennesima trashata casereccia, in vista di un esame di regia per il quale ci è stato chiesto di pensare ad una programmazione youtube, chè «oggi», ci tengono a ricordarcelo ogni girono, «tutti i media devono essere ripensati nell’ottica della diffusione in rete». Lasciati liberi di fare, noi chiaramente abbiamo dato libero sfogo al nostro inconscio tamarro ultra-represso che, miscelato con un briciolo di spirito critico e di ironia, ha dato vita a Vanilio Aurador con il suo canale Ultim’ora, programma di informazione comedirealternativa e mai in ritardo sui tempi proprio come un’ultim’ora che si rispetti, ché il bello di Ultim’ora non sta tanto nel fatto che usa e rimescola audio ed immagini provenienti dai notiziari per creare cosenuove ché i ready made e i mash-up hanno ormai un secolo di storia alle spalle. Il bello di Ultim’ora sta nel fatto che va in onda su Youtube solo poche ore dopo l’uscita del TG ufficiale comedirepresodimira in TV!
Insomma, all’alba del 24-06-2011, l’Ultim’ora del 23-06-2011 è online. La prossima Ultim’ora è prevista per la serata! Si prospetta una ritmica più caraibica.

Il fatto che a manipolare un’informazione, oggi ci vuole davvero pochissimo, a livello di tempi e soprattutto di mezzi. Il che la dice lunga, mooooolto lunga.
Ovviamente, Vanilio Aurador, c’ha pure il profilo Feiscbùk, sempre al passo coi tempi

The Way back Home

gennaio 25, 2011

Mood: confusa
Reading: Jens Hauser (a cura di), Art Biotech
Listening to: Radiohead – No Surprises (mandata da Laura al contrario e giù di disquisizioni su quanto comunque la canzone non perda la sua musicalità)
Sid Vicious – My Way






Un mese a prendere e partire, fermarmi, poco, mai troppo, per ripartire, un mese intero così, a macinare chilometri e prendere e dare ed intossicarmi di vita, l’Olanda nel grembo della famiglia, mia sorella ed io a letto tra a mamma e papà, Dai, facciamo notte in bianco! Passiamo le ultime ore insieme! Sveglia grassone!, e l’Olanda on the road, uno zaino in spalla, Pauline al collo, piedi nella neve ed occhi ebbri, Come on, come on!… Ein blau tram kard, alstublieft… Excuse me, just an information, e inglese e italiano e olandese, persino francese nella testa *; immediatamente dopo, la mia amata Siena dall’atmosfera quieta, per abbracciare un’Amica che non vedevo da troppi mesi, lasciarmi avvolgere dal suo calore, respirare la sua vita ed i suoi pensieri ed immergermici, Perché devi andare via?, Siena per riabbracciare inaspettatamente un Amico, trovarlo cambiato, ma essere ancora un Noi, come ai tempi della fotografia appesa al muro di fronte, Lui, Lei, io, il caffettino, mancava solo la sigaretta, sia Lui che io abbiamo smesso di fumare, Guardate, quanti mesi erano passati?, due? Eravamo già noi, due anni e più sono passati ormai; poi un treno direzione Vicenza, destinazione Bassano del Grappa, da Zulio, per concludere la stesura della sceneggiatura di Cut off **, il nostro primo cortometraggio da girare in aprile, fare un primo sopralluogo, conoscere le nostre due attrici, stanchi morti alla fine di questo tour de force, ma tanto, tanto soddisfatti di stringere tra le mani una buona porzione di fase di pre-produzione.
Insomma. Un mese, alla fine del quale, risulta difficile disfare una valigia che si è affollata sempre più ad ogni sosta di biglietti usati di aereo-pullman-treno-tram, mappe su tovaglioli di carta e bustine di zucchero ed appunti visivi, odori tanti e diversi per ogni sosta, emozioni nuove, ritrovate, perse,

parole poche e tutte



sul fondo.


Da una settimana sono di nuovo stabilmente a Milano. Ho ripreso a frequentare l’Accademia quotidianamente, a prepararmi per gli esami di febbraio (e a diventare folle dietro la fatica), a lavoricchiare ai progetti futuri, a restare per ore con gli occhi fissi sullo schermo del computer.
Com’è andato il rientro a Milano?, mi domandano, Faccio fatica, rispondo. Effettivamente, solo ieri ho disfatto la valigia, riposto tutto negli armadi e nei cassetti, ma non mi sono arrampicata sulla scala per costringerla sul soppalco in bagno, l’ho lasciata di fianco al letto, Questa stabilità mi destabilizza, no, non sono stanca di viaggiare, perchè ne ho bisogno come l’aria, osservare, ascoltare, confrontarmi, vecchio e nuovo, ricevere stimoli, essere stimolo, ancora una volta luogo da scoprire, non solo,

ci ho pensato. L’ultima sera a Siena, me ne stavo stesa in Piazza del Campo, si usa così a Siena, con l’Amica mia, l’Ex-Coinquilina mia ed un amico suo, più la sambuca. Raccontavo dei miei ultimi spostamenti, di quelli che ho in progetto per il futuro. Accidenti, Soroty (mi chiama così l’Ex-Coinquilina mia), sempre pronta a partire!, Massì, mi piace, sogno una vita a farlo, rispondo io, Eppure prima o poi dovrai fermarti, salta su l’amico dell’Ex-Coinquilina mia. Mi sono sentita inspiegabilmente in imbarazzo, non ho risposto, mi si è piantato un chiodo fisso nella testa.

Per questo motivo ci ho pensato. Sono fatta così io, ho le radici mobili, nulla di troppo visceralmente legato a spazi, luoghi ed oggetti, sicché faccio presto ad affondarle in un qualsiasi nuovo terreno e a trovare nutrimento ed abbellimento, far fiorire gli affetti e sentirmi a Casa, ‘ché io ho una teoria, una tra tante, da quando ero ancora bambina, Casa non è un luogo confinato da pareti, ma un’atmosfera di appartenenza, una serenità diffusa, il rullo di cuore che ti batte al fianco, uno o due o tre, un intermezzo di condivisione emotiva, lo spazio di un abbraccio, poi poco importa in quale angolo del mondo ci si ritrovi. Agli affetti, a quelli sì, mi lego visceralmente, talvolta accuso anche la nostalgia di qualche lontananza, ma solo talvolta perché ogni persona che ho amato, che amo fluisce in me, e serenamente attendo i ritorni, i giri di vita, gli incroci tra strade parallele, mentre continuo a vivere e costruire.

Ho guardato al fondo di questo mese da nomade, straniera, sempre, ad ogni sosta, eppure completamente a mio agio di fronte alle novità, sempre, come fossi autoctona, mentre ad ogni sosta elevavo la mia piccola Casa. Ho capito quanto questa condizione sia necessaria al mio star bene.
A ben pensarci, il mio ultimo mese non è che un mese a rincorrere Casa. A ben pensarci, il mio nomadismo non è che una via verso Casa. A ben pensarci, non escludo la possibilità di fermarmi. Presto o tardi, a ben pensarci.





* prima o poi, ci conto, avrò tempo per selezionare, elaborare e mostrarvi le foto del reportage olandese
** post dedicato, a breve su questi schermi

Io mi giustifico!

novembre 13, 2010

Mood: allegro non troppo, come il film
Reading: Jonathan Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino
Listening to: respiro
Eating: pizza
Drinking: acqua




Nel caso in cui la mia scarsa presenza presenza sul blog non l’avesse già suggerito, ci tengo a precisare, a mia discolpa, che da una settimana sono ripresi i corsi annuali in NABA(carcere), la mia accademia, con disastrose conseguenze per il mio equilibrio psico-fisico.

Se ne deduca che

Frequento i corsi per 8 ore al giorno in media dal lunedì al venerdì, il martedì dalle 9 a.m. alle 8 p.m., parliamone.
Il tempo libero dai corsi, pausa pranzo inclusa, ci pensa il lavoro a renderlo impegnato. Questo è l’anno deputato al battesimo, quello in cui, per farla breve, iniziamo ad usare videocamere, luci, etceteraetcetera.
Perciò senza perder tempo, ho iniziato a lavorare contemporaneamente allo sviluppo di un paio di soggetti con Zulio, – ma è troppo presto per parlarne, ristagnano ancora in fase brainstorming – e ad un booktrailer* con Laura, amicollega, per un’esercitazione del corso di regia – qui è ancora troppo più presto per parlarne poiché ancora stiamo discutendo in merito al libro prescelto –, prima di girarne uno professionale per conto della Marsilio Editori, nel corso della seconda metà dell’anno.
Il week-end sono sul set per il cortometraggio di Laura, la aiuto come segretaria di produzione, mi occupo cioè delle questioni organizzative, logistiche e di spostamento e porto il conto dei ciak, dividendoli in sì/no/ni, ovvero buoni/scarto/considerabili. Primo giorno di riprese sabato scorso al Parco Agricolo Sud, prossimo giorno domenica: solo questo meriterebbe un capitolo a parte – a breve, dai.
Specifico: siamo solo alla prima settimana e l’anno sembra già tutto bell’e programmato, fitto-fitto, ma effettivamente c’è tempo perché si aggiungano tanti e tanti altri progetti.
Intanto porto avanti una casa, magari uno squarcio di vita sociale e mangio e dormo a tempo perso, cioè mai.
Il tempo si dilegua, non l’afferro mica, e voci di popolo mi dicono pallida e smagrita, mentre ho ripreso a mangiucchiarmi le dita sovrappensiero, bene, un vizio da espungere nuovamente.


A volte ho effettivamente l’impressione di non riuscire a dedicarmi a me stessa in tutto questo marasma, ma sbaglio: è proprio a me stessa che sto badando adesso, a quello che mi appassiona ed alla mia soddisfazione. E sto bene, sono carica, ho voglia di fare, studiare, cercare idee, progettare, sperimentare, sbagliare, crescere, riuscire. Mi tuffo a polmoni spalancati in quest’anno appena iniziato molto impegnativo, ma altrettanto costruttivo per me che ho tutto da imparare. E poi ci sono i corsi di teatro sensoriale e quelli di fotografia quest’anno ed il prof di fotografia, Mariano Dallago, le sue camere di cartone, il suo odore forte di tabacco e caffè e il suo immenso-essere-uomo tra rughe profonde, c’è la colazione latte e pan di stelle a prima mattina anche se sono in ritardo e ci sono i piccioni che intralciano la strada ai Milano-corridori**, poi c’è tutto e molto di più.

“E ho buttato via i pensieri via la noia e il magone
li ho buttati tutti quanti stamani tutti dentro a un bidone
e fuoco col kerosene.”

cantano i Negrita a prima mattina nelle mie orecchie.


Insomma, puntare l’obiettivo e fare fuoco!
Basta questo semplice-nontroppo pensiero per recuperare forze e sorriso anche in quei giorni in cui sembro “pesantemente bastonata”.




Piccola nota a piè di pagina, per i Milano-corridori che si trovino a passare per questo luogo.
Gli amici miei Fajele e Davidellis, organizzano quest’anno a furor di popolo il cineforum in NABA, ogni lunedì alle 19, nell’aula 5 dell’edificio Smeraldo, a partire da lunedì 15 Novembre.
Chiunque si senta libero di partecipare. L’ingresso è libero.
Il programma verrà aggiornato di volta in volta sul blog del cineforum, indi, tenerlo d’occhio per esserne informati!





* dicasi “booktrailer” il trailer di un libro, per l’appunto.
** dicasi “Milano-corridori”, gli abitanti di Milano, il cui impegno primario è correre, correre ed anche correre.
Mood: lunatica
Reading: blogs a caso
Listening: la musica che sfugge dagli auricolari di qualcun’altro



La mia non è una casa di studenti fuori sede, ma un ristorante.
E noi non siamo studenti fuori sede, ma porcelli all’ingrosso.

Ora. La regola dello studente fuori sede medio prevede cibi in scatola, surgelati e pasta al sugo, pizza quando c’è pecunia.
A casa mia invece si affoga nei vapori e negli odori da cucina.

Sorvoliamo sulla mia passata (ed accantonata) convinzione di essere negata per i fornelli e di non aver alcuna voglia di impegnarmi per superare questa mia condizione di deficienza, aspetto che, al dire d’ogni nonna, compromette ogni possibilità di trovar marito.

*
Io “allegra casalinga” mode on:
guardami, nonna, posso sposarmi (se mi trovi l’homo)!

Sorvoliamo sulla nutella e sui sandwich con la frittata del muratore, che anche noi, di tanto in tanto, si sente la necessità di affogare nei fiumi della perdizione, ma anche sulla pastina col formaggino per le sere in cui si ha bisogno delle coccole.

Sorvoliamo sull’onnipresenza sul tagliere delle zucchine che qualsiasi genitrice deplora per assenza di proprietà nutrienti, ma che io difendo a spada tratta come gustose, versatili e pluri-abbinabili.

Sorvoliamo sul fatto che se apriamo un barattolo di pelati mangiamo pelati per due giorni, così come se lasciamo per metà una zucchina, unamelanzana, unascatolaladifunghi, unaconfezionedigorgonzolaoqualsiasialtracosa e che il frigo puzza sempre di cipolla per una da finire.

 

Da quando, nelle ultime due settimane, in libreria sono comparsi i libri di cucina, tra i siti recentemente visitati quelli gastronomici ed in dispensa le spezie e gli aromi, sulla tavola hanno sfilato timballi ed involtini vari di melanzana, pasta al forno, risotti seri sedano-carote&zafferano / funghi&zafferano / funghi&nocelle, pennoni zucca-carote&zucchine, brodi vegetali rigorosamente artigianali, spaghetti con funghi-zucchine-piselli&PINOLI (i pinoli, voglio dire, quattro euro pochi grammi, m’è preso un infarto!), ciambella di yogurt con frappè annesso.

E si prospettano ancora mille e mille sperimentazioni, tanto per citarne qualcuna lasagne, panbrioches salato, torta salata ai formaggi, muffin cocco&cioccolato, cheesecake double chocolate, biscotti di zucca.

Il giorno in cui abbiamo preso casa, un mese fa, il problema più impellente era trovarle un nome. Gli elementi salienti erano i cognomi di Yanna e mio, rispettivamente Recchia e Pace e il numero civico che si ripeteva anche nel numero del citofono, il 3, per altro numero base dello stare insieme in quest’anno milanese. In assemblea, si votò all’unità per (Ap)PaRecchia al Tre!, che ci sembrava anche una soluzione carina per un sms con cui invitare gente a cena.

Non l’avessimo mai fatto! Quando dici che un nome può segnare il corso di una vita!

… Finiremo grassi e sul lastrico!
(ma con Amore)

*
Yanna ed io, poeticamente ritratte in uno dei
non rari momenti di concentrazione in una qualche pentola

Lullaby

settembre 19, 2010

Mood: a pressione
Reading and Watching: National Geographic, I Grandi Fotografi, Annie Griffith
Listening to: mormorii
Eating: spaghetti, focaccia, pizza di patate e torta al limone (si vede che a Milano è arrivata mamma!)
Drinking: vino rosso buono (si vede che a Milano è arrivato papà!)




Due giorni consecutivi a tentare invano un upload dietro l’altro su Vimeo mi sembrano un buon record da stress.
Roba capace di sbriciolarmi i nervi.
Ma quel che conta è che alla fine ho avuto la meglio su Internet e sulla sorte.
Ed allora, ecco qui l’ultima animazione dell’anno.
Fedele ad ogni sana intenzione di non ridurmi all’ultimo momento, l’ho conclusa appena la sera prima dell’esame. Il penultimo momento. L’ultimo è stato la lasagna di Zulio, irrorata di vino bianco e buona compagnia.
Sicuramente per inquadrature è molto diversa rispetto a come me l’ero immaginata, errore mio nel progettare gli spazi del disegno. Sicuramente all’animazione preferisco proprio il disegno. Ma credo di aver ottenuto il sentimento di sospensione che desideravo. E’ già qualcosa.


Venerdì Diciassette

settembre 18, 2010

Mood: teso
Reading: volantino delle offerte del Simply
Watching and Listening to: Perturbazione – Agosto
Eating: macine
Drinking: caffè-latte




Venerdì diciassette.
Per il folklore popolare, una sfiga che a trovarne una uguale non ci si riesce neanche pagandola a peso d’oro.
Per me, la liberazione.


La sessione d’esami autunnale si è chiusa. Posso farla finita con l’ansia dello studio, quando proprio non voglio, non ci riesco, dannato cervello pensante, ma devo. Ora posso anche svegliarmi con la malinconia che mi pende sulla testa, come avrà fatto Damocle a sopravvivere alla tensione della spada, ora si stacca, ora mi attraversa la testa?, ma scendere in strada, ed andare per il mondo a cercare un sorriso, invece di costringermi ad oltranza su una sedia per poi non combinare comunque nulla.
Nonostante tutte le difficoltà, ne sono uscita a testa alta, lode al blabblio* e alla forma mentis**, alla testardaggine e all’orgoglio, laddove ne è rimasto, alla passione e alla volontà di riuscire, ri-uscire.
Porto a casa anche una dose di dolcezza stupita perché a fronteggiare l’ansia e lo scoraggiamento del momento, la stanchezza e l’assenza di entusiasmo, ho incontrato la stima altrui.

“Noi siamo molto contenti di te.”

Ringrazio a testa bassa. Sorrido imbarazzata. Insegnate a me ad esserlo di me.
Se c’è una cosa che proprio non va bene in me, questa è la scarsa fiducia che ripongo in me stessa. Nel lavoro quanto nella vita privata. Superba e priva di autostima. Mi definisco all’interno di questi due poli. Paradossale. Come sempre. Non so che farci.


Ora si prospettano due o tre settimane libere. Le occhieggiavo con entusiasmo da un po’ e mi ci sono tuffata a braccia spalancate fin da ieri pomeriggio.
Ho una lista in fieri dei buoni progetti, cose frivole perché sono stufa di rinnegarle per fini intellettuali che non è scritto da nessuna parte che “frivolezza” è sinonimo di “deficienza”, potrebbe esserlo anche di “semplicità”, all’occasione, e cose più spesse e profonde. Comunque cose lasciate indietro da tempo e che mi reclamano con urgenza.
Ho bisogno di tempo da dedicarmi. Negli ultimi anni, la vita ha fatto un giro un po’ strano, vuoi l’amore, vuoi gli studi, vuoi il lavoro, vuoi la famiglia, vuoi le seghe mentali, e io mi sono dimenticata, abbandonata a qualche curva di questo fluire travolgente. Non sono passata a prendermi. Ora lo farò, mi tenderò una mano e la prenderò.
Aiutati, che Dio t’aiuta”, dice nonna. C’è saggezza nel folklore popolare, venerdì diciassette e gatti neri a parte. O perchè no?, venerdì diciassette e gatti neri inclusi.

Comprare l’aspirapolvere ***
Liberare aggressivamente casa dalla polvere
Andare ad Ikea
Arredare casa e colorare
Pastrocchiare in cucina
Invitare gente a cena o festini
Barboneggiare in Colonne, una birra in mano, le chiacchiere con gli amici e i tamburi di sottofondo con la testa a ritmo
Scoprire la fiera di Senigallia
Buttarmi in una pista da ballo
Saltare sotto il palco di un concerto
Shoppingare
Conoscere Milano
Non perdermi la mostra di Dalì e qualsiasi altro evento interessante
Tornare a teatro
Andare a cinema ****
Curiosare almeno un giorno al Milano FilmFestival
Andare al Museo del Cinema di Torino
Curiosare nel Libraccio nuovapertura *****
Sfoltire la pila dei libri “da leggere”, leggendoli
Ricominciare a scrivere
Realizzare uno stop motion
Studiare fotografia
Comprare la macchina fotografica nuova
Fotografare, fotografare, fotografare
Vagabondare senza sosta
Salire un un treno, perché no?, anche due o tre


Ritrovarmi. Questo è un imperativo.



* dicasi blablio la capacità di intortare per mezzo della dialettica colta e bombardante il proprio ascoltatore così che quest’ultimo abbia l’impressione di essere al cospetto di una persona che ne sa più del diavolo e che ne sia anche molto convinto
** dicasi forma mentis la forma della mente, per l’appunto, ramificata definirei la mia, tanto troppo che mi ci perdo a volte, ma, come dice De Carlo, siamo noi che manchiamo d’orientamento, mentre le strade da sé sanno dove vanno e per quanto si attorciglino, s’incastrino, si spezzino, si inabissino o s’innalzino, non mancano di un punto di convergenza, di risoluzione.
*** Ieri sera, a Mediaworld, Yanna ed io abbiamo conosciuto Robberta (per Yanna, “Robbi”, per me “Berta”, a tutti gli altri libera scelta, le possibilità non mancano), scopa elettrica arancione, senza sacchetto. S’è creato subito feeling e ce la siamo portata a casa. A breve vado a battezzarla.
**** Ieri sera ho visto Mangia, Prega, Ama.

La gente in sala è uscita perplessa. Io l’ho vissuto in prima persona con l’anima. Si sa, il livello dell’emotività è una questione tutta personale.
***** Sugli scaffali ho incrociato il mio prossimo acquisto, Trattato di funambolismo di Philippe Petit, funambolista francese. Nel 1974, ha camminato su un filo teso tra le Twin Towers, lui, le ha attraversate.




“Uomo dell’aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni.”

Libere associazioni

settembre 15, 2010

Mood: stremato (sessione autunnale del piffero!)
Reading: tesine e tesine
Listening to: Elisa (ft. Giuliano) – Ti vorrei sollevare
Watching: il monitor e se continuo gli occhi appassiranno
Playing: a distrarmi
Eating: gelato choco-muffin 🙂
Drinking: acqua



“Il filo rosso che unisce gli artisti selezionati è quello delle live performance, in cui l’indagine artistica si ibrida con la tecnologia per rispondere ad istanze di natura filosofica, antropologica e scientifica, oltre che sociale. I termini di modulazione di quest’analisi… ”


Gli esami sono troppi.
E troppa poca è la voglia di stargli dietro. Il culo rifiuta la sedia. E la testa si perde in voli pindarici, è spostata, c’è un errore di parallasse.
Proprio non ce la faccio.
Voglio dire, l’abbronzatura sta abbandonando la pelle, l’ho notato ieri in doccia. Cioccolato e latte tornano ad uniformarsi e presto sarò nuovamente candida, meglio dire pallida. Sto bene a cianciare! Pallida lo sono già, emotivamente.


Dalla più immediata indagine sul rapporto uomo-macchina con Epizoo di Marcel-lì Antunez Roca, nella cui performance il corpo viene messo a disposizione del computer interattivo e diventa oggetto di un gioco di massacro…”


Corpo. Un giorno gli chiederò scusa, non sono una buona compagna. Non lo sono complessivamente.


“… si passa all’ambito di una corporalità vissuta nella sfera dell’emotività e della percezione con Laser Sound Project di Edwin Van Der Heide.


Famiglia. Famiglia? Solitudine. Psicoanaliticamente. Vi amo.
Milano, Casa. Quest’anno ci provo. Mi ci metto d’impegno. Se apparecchio per qualcuno in più oltre me sento già il cuore riscaldarsi.


All’incrocio tra reale e virtuale, il concetto di corporalità incontra i temi della presenza e dell’assenza, della prossimità e della distanza e quello del controllo, con Can You See Me Now dei Blast Theory


Tu. Io. Noi? Voi. Loro. Non so. Chissà. Domani. Sarà. (Un giorno migliore?) Ho conosciuto uno. Grazioso. Non ci penso nemmeno. Vorrei davvero correre tra le tue braccia. Ma se te lo dico mi lasci? Shhh. Ond’evitare.


… e diventa termine di passaggio per una serie di considerazioni sulla concezione contemporanea di identità con COME.TO.HEAVEN di Gazira Babely.


Chi sono? Dove sono? Cosa faccio? Cosa voglio? Come fare?
Olanda. Dovrei, ma non voglio.
Non tengo dinero. Tocca sgobbare.
E i sogni, in quale cassetto? Ne ho tanti, alcuni neanche li conosco ancora. Non so se ci stanno. Forse son meglio due cassetti.


“Sposta questo keyframe di un secondo. Più in qua, più in là, ma vaffanculo s’è sballato tutto.”


Nina dice che ci sono giorni in cui non succede niente. Poi ci sono quelli in cui succede tutto. Bello e brutto. Ecco. Appunto.
Oggi ho pensato che dovrei cambiare suoneria al cellulare.
Dicono sia depressiva.
Voglio essere propositiva. Ho imparato a piangere. Sto diventando forte, dico, sarà poi vero?
Ho le pile scariche, questo è certo.
Dai gas, dai gas! La vita è così. Più cerchi di definirla, più ti sfugge. Lei corre più veloce. Io ho il difetto di non arrendermi.


“Non posso ancora lanciare il render.”

Avrei bisogno di un viaggio. Bello lungo. In qualche posto lontano. Magari mediterraneo.
E’ troppo tempo che non mi nutro di bellezza, non provo meraviglia, non riposo.
Sono stanca.
Stanotte non dormirò. E’ per la zanzara. Continua a ronzarmi nell’orecchio. Mi dà fastidio. E poi faccio reazione allergica alle punture di zanzare.
Bubboni. Me ne spuntano fin nel cervello.
L’ho stordita. Al prossimo colpo l’ammazzo. Sono animalista e pure vegetariana, non farei male ad una mosca. A questa zanzara sì.
Metto su il caffè. Ne assumo in endovena.
Devo studiare. Dovrei. Poco male.
Ho un rigurgito di ansia.
Gli occhi s’intrippano, mi costringo a resistere. Sembro una fattona.
Notte bohemien.
Non intendo struccarmi. Al mio incontro con l’inferno voglio andarci ben conciata.
Corro a vomitare. Sarà che ho bevuto. Aria. E’ l’inquinamento. Air pollution.
Ne approfitto per fare pipì.


La televisione è una tecnologia di trasmissione delle informazioni, una modalità di organizzazione, declinazione e distribuzione della comunicazione. La televisione ha cambiato il nostro modo di vivere a livello percettivo e neurofisiologico in quanto ha un forte impatto sul nostro processo di condivisione della realtà.”

Non sono disattenta. Non so come propormi.
Non devo propormi. Non è con me che intendi parlare. Più appropriato un estraneo per svuotare le palle.
Non siamo legati, non siamo legati, non siamo legati.
E’ un po’ come con le fate, Peter Pan la sapeva lunga! Basta crederci.
Ora siamo estranei.
Mi parli? Mi dici?
Ho bisogno.
Però. Qualcuno può domandarlo anche a me?
E’ passata una vita dall’ultima volta che un umano ha voluto sapere sestobenesestomale, che giro hanno preso cuore e testa.
Sono alla ricerca di un pozzo vuoto.
Devo svuotarmi le palle.
Due settimane al ciclo.


Secondo la teorizzazione della scuola di Toronto, la tecnologia è un’estensione della sensorialità umana”

Rettifico.


Voglio dire, l’abbronzatura sta abbandonando la pelle, l’ho notato ieri in doccia. Cioccolato e latte tornano ad uniformarsi e presto sarò nuovamente candida, meglio dire pallida. Auspicabile. Sono fin troppo colorata, emotivamente.





*
Con la gentile concessione E dei miei appunti E di detti propri della mia quotidianità da studentessa.
Sono distante un po’. Causa studio, davvero!
Manca poco alla libertà!

“Ma gli uomini cattivi…”

settembre 7, 2010

Mood: quello di quando il giorno dopo hai un esame
Reading: gli appunti
Listening to: Notwist – Consequence
Watching: gli appunti che urlano “studiaci!”
Eating: viennetta creme brulee
Drinking: thè




Negli ultimi giorni, il progetto di animazione a cui avevo fatto accenno qui ha smesso di vegetare nello stato magmatico di idea ancora un po’ cieca e ha iniziato a solidificarsi in una sua forma ben precisa. Quel che ne sarà è un cortissimo-metraggio, un minuto al più, conclusivo di un anno intero nella classe di animazione.
L’idea di base mi è venuta a partire da un articolo pubblicato sul National Geographic di agosto, in cui ho letto che un numero sempre crescente di tribù di indiani americani, tra Arizona e New Mexico, si sta impegnando nel recupero della terra che fu sottratta ai loro avi, una terra sacra ed una terra ferita.

‹‹Secondo una leggenda, il creatore fece il mondo e mise tutto in ordine, ma “gli uomini cattivi non si accontentarono e lo distrussero, squarciarono le rive del mare, strapparono gli alberi e distrussero le montagne.››

Natura, uomo. Madre, figlio.
Il figlio che colpisce la madre.
L’uomo che colpisce la natura.
Chiaro, no?


Ne ho parlato con Zulio, compagno di corso, ma soprattutto grande amico, lui ha approvato e abbiamo deciso di sfruttare la possibilità di lavorare in team per questo progetto.

Nel corso dell’anno accademico, noi due insieme, abbiamo sviluppato più di un progetto scolastico. Poi, nei mesi maggio-luglio, è arrivato il progetto grosso, quello per noi importante, perchè extra-scolastico: lui ed io + Raffajele (anche lui compagno, grande amico, “amante per arte ed intelletto” al di là di ogni sua perversione), sotto la supervisione della nostra prof. di montaggio, abbiamo lavorato per Officina Italia 2010, festival di letteratura, tenutosi in maggio a Milano, a cura di Alessandro Bertante ed Antonio Scurati (qui il sito). Noi tre ci siamo occupati dei montaggi di ogni singolo reading ed ho così ascoltato storie, tante. Poi anche di quello del video complessivo di documentazione dell’evento, che pubblico qui sotto.




*
Ogni singolo reading è stato uploadato su Vimeo, nel caso dovesse interessare a qualcuno, lì li troverà.


Tutta questa pizza per dire che noi siamo una squadra collaudata, al punto da riuscire a compensare vicendevolmente le nostre differenti metodologie di lavoro. Io pignola e critica all’eccesso, lui più libero.


Tornando all’animazione, nel week-end ho disegnato in Illustrator la tavola base da animare in After Effects (sì, di nuovo!).
Ringrazio me, la mia pazienza e la mia voglia di superare gli ostacoli. Posso farcela.
Ringrazio Nicolò, che mi ha guidata tutte le volte in cui mi sono persa in una curva, che ha discusso con me l’impostazione grafica e che ha espresso il suo parere ogni volta che gli ho chiesto di farlo, per amor di precisione ogni due secondi. Ho da imparare da te.


Ecco quindi al pubblico parere il mio risultato. Personalmente ne sono fiera. Per una volta posso dirlo. Ed è importante per me.





Ieri Zulio, mi ha raggiunta a Milano e, tra un caffè ed una sigaretta, abbiamo stabilito la regia dell’animazione ed avviato il movimento in After Effects. In una giornata, siamo riusciti ad animare soltanto la pianta. Abbiamo così realizzato che il lavoro richiederà più tempo del previsto. S’intende, non più di una settimana perché la data dell’esame di animazione è ormai arrivata. Ma ho scoperto che di questo progetto sono innamorata e non voglio bruciarlo in fretta. Intendo curarne ogni aspetto al meglio e prendermi il tempo necessario, pur nella ristrettezza.


Ho scoperto anche che mi piace disegnare

le teste pesanti

su corpi androgini,

le ossa sporgenti, nel volto, nelle spalle, nei fianchi,

i colli lunghi,

i polsi stretti,

le mani grandi.


Ho scoperto per ultimo, che pur non ritenendo l’animazione un luogo importante della mia vita, è di animazione che parlo tanto.
S t r a n o .


Intanto domani mattina ho l’esame di web. Motivo per cui farei meglio ad andare a studiare.
Ma la buona volontà dove è andata a nascondersi? La concentrazione?
Non ho neanche più la scusa delle belle giornate. Non a Milano almeno.

Dalla Genesi a King Kong

settembre 3, 2010

Mood: distratto
Listening to: il traffico giù in strada
Drinking: caffè
Eating: yogurt alla fragola
Sniffing (in via eccezionale): l’odore del soffritto che si intrufola dalla finestra. Non è possibile che ovunque vada ci sia il vicino dal soffritto aggressivo!



“E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.”

[Genesi, 27]


Ore tredicipuntoquarantotto, oggi, casa.

Per la decima volta da che mi sono messa al lavoro, mi alzo dal pc, dove sto disegnando, sempre in Illustrator, una donna in posizione fetale, e vado allo specchio, quello del corridoio, bronzo antico corroso.
Dalla cucina Yanna, all’anagrafe Arianna, amica di cuore fin dalle rispettive condizioni fetali, sgusciata al mondo dieci giorni prima della qui presente autrice, compagna di giochi e pizze nella prima infanzia, in congedo nel corso della seconda infanzia, poi di nuovo compagna d’avventura in adolescenza ed età attualmente neo-adulta, personal reggifrontone ufficiale nel decorso delle sbronze a vomito, mille e mille altre cose che non basta un libro per elencarle perché di vita insieme ne abbiamo ballata davvero tanta, ed ora anche coinquilina nel milanese, capace, lei tra tutti, di uscire dal cesso, esclamando con aria sognante, neanche avesse visto il principe azzurro, che profuma di nuovo e buono, je t’ador!, “non me lo posso perdereeeeee”, dicevo, Yanna mi guarda, sopracciglio alto, mentre mi posiziono di profilo, alzo il braccio destro sopra la testa, ascella in direzione naso tanto da sembrare che me la stia annusando, e piego la testa ora di qui ora di lì.
“Do’, ma che fai?”
Animazione. Devo capire l’inclinazione del corpo per poterlo disegnare.

Una mattina, qualche mese fa, scuola.

Sul grande-pannello bianco, il proiettore rimanda le immagini di alcuni loschi soggetti che fanno smorfie da gorilla davanti agli specchi, saltano da una parte all’altra della stanza come gorilla, urlano come gorilla e s’azzuffano…. come gorilla, sì, arguto chi ha indovinato e no, nessun premio in palio per tanta sottiletta sottigliezza intellettuale, talvolta la vita è amara!
Costoro sono gli animatori di King Kong, nel making of del film, impegnati a dar vita al terribile mostro peloso e ciccione, studiandone i movimenti plausibili ed ogni più piccola variazione nei muscoli, nei dettali del corpo, del volto.
Non nego che a primo impatto, l’alzata di sopracciglia è doverosa, ma, messa da parte la ridarella superficiale per i quattro uomo-scimmia e le riserve in merito allo stesso King Kong, quel che subentra è la fascinazione.

Tutto per dire che

Nella vita non ho molte certezze. Una di queste è che non farò mai l’animatrice per una serie di ovvie ragioni (chi non le conoscesse è rimandato qui) e perché sento che la mia avventura è un’altra, mi porta per il mondo, con al collo un obbiettivo per penetrarlo, direbbe lui, esprimendo tutta la tensione dell’esperienza.
Un’altra convinzione è che se un dio creatore è mai esistito, ogni cosa l’ha forgiata e l’ha dotata d’anima così, come gli animatori di King Kong, come faccio anch’io, seppur in proporzione micro-infinitesimale.
S’è specchiato, questo dio, s’è studiato, un po’ narcisisticamente, un po’ con odio. Ha imparato a conoscere il suo corpo, i suoi muscoli, le sue ossa, come si articolano sotto la pelle e a capirne la bellezza assoluta nell’imperfezione. Che strano marchingegno è il corpo, un’orologeria delicata: “Fragile, fare attenzione”. Sarà perché custodisce l’anima, non deve lasciarla scappare.
Ha anche osservato ogni più impercettibile variazione nel movimento, questo dio, perché nulla è statico, anche quando sembra esserlo. E allora il movimento è conditio sine qua no della vita, quel che non si muove è morto, lo riconosce anche un bambino. “Panta rei”, diceva Eraclito, che se avesse saputo quanto la gente moderna avrebbe abusato di questa idea in tutte le salse, come il prezzemolo, certamente si sarebbe garantito i diritti d’autore per tutta la discendenza. Forse a volte bisogna solo abbandonarsi al flusso e sentirsi andare, serenamente, e mettere in saccoccia quello che capita per le mani, senza affannarsi in cieche ricerche.
Probabilmente, questo dio, ha pastrocchiato con fango e polvere di ossa, non certo ha “smanettato” sul computer, che all’epoca mi sembra non esistesse, ma fango e polvere di ossa o computer, disegno sequenziale o modellazione, stop motion o rotoscope e chi più ne ha più ne metta, quel che resta è il concetto, quest’idea tanto romantica quanto forte.








No. Al momento nessuna anticipazione sul progetto a cui sto lavorando.
E’ ancora in fase embrionale. Lo sto cullando, al caldo.

Mood: confusione mode on
Listening to: il vento, il cane in strada, il silenzio
Watching: la luna
Playing: con gli scherzi di un cervello annebbiato
Drinking: litri e litri d’acqua



Dopo un numero infinito di tentativi di esportazione video falliti uno dietro l’altro per i motivi più assurdi, stasera ho finalmente concluso Deus ex Machina! (si rimanda qui per delucidazioni)



Una delle mie prime lezioni di politica l’ho appresa da mia madre che ero parecchio piccola, recitavo ancora il Brutto Anatroccolo a memoria.

“Il Signor S.B ha un sorriso viscido”.

Fosse solo per il sorriso viscido!


Forse è vero, sai?,
che confondo
rabbia personale
e rabbia sociale.
Mood: whaaaaaaaaaat?
Watching and Listening to: The Strokes – Heart in a cage
E visto che ci siamo, qui, il remake girato e montato da mia sorella. VEDERE!
Watching: qualsiasi cosa mi possa dare ispirazione.
The Strokes – You only live once (con particolare attenzione al batterista)
Madonna – The Beast Within (senza redenzione)
Playing: con i “sì o no?”
Eating: yogurt con cereali
Drinking: caffè



In questi giorni sto lavorando ad un progetto di animazione per l’esame di settembre in Naba.
Non c’è niente di meglio che svegliarsi a prima mattina, fare una sana colazione e mettersi a disegnare in Illustrator per poi scoprire dopo ore che non hai combinato un bel niente rispetto al quantitativo di lavoro che devi sbrigare. Insomma. Nell’ordinario.

Questo è il primo di un numero spropositato di frames. Si tratta di un rotoscope,

*
Sì, avevo smontato la stanza.
Sì, l’inquadratura fa schifo, ma chissenefrega, mi serviva da base.

la cui modella è me medesima. Fa un po’ strano disegnarmi. A volte mi astraggo da me stessa, quella nel disegno diventa una persona altra, cui non posso riservare che estraneità. Altre volte, invece, mi sembra di scoprire nei frames video dettagli di me stessa che mai prima avevo notato. Allora mi dedico attenzione e delicatezza.

Una cara amica mi ha fatto notare che per la scelta dei colori, questa animazione ricorda molto Persepolis, film di animazione con uno sguardo leggero, ma non per questo superficiale, sulla condizione dell’Iran (si fustighi chi non l’abbia visto!).

Mi sembra una scalata agli onori eccessiva la mia. Semplicemente amo questo film, lo venero e riconosco che pensavo proprio a Persepolis quando ho deciso la gamma tonale.

Alla base della mia piccola animazione c’è un tema che definiscono mio, come dire?, il compare al braccetto! Quello di muro, declinato come incomunicabilità.
Incomunicabilità con se stessi in questo caso. Con la propria immagine speculare.
Effettivamente l’idea è frutto di una reinterpretazione di un mio vecchio concept fotografico.

A breve l’animazione conclusa (CI CONTO!).

E a proposito di fotografia…
Oggi pomeriggio devo andare a trovare la mia bimba di ottiche al centro assistenza.
Lei, la mia prima compagna di viaggio, sudata spicciolo su spicciolo. E di strada insieme ne abbiamo percorsa davvero tanta. Al punto che le mie mani ne hanno assunto la forma di impugnatura. Mi ha insegnato a porre sulla stessa linea stomaco, cuore e mente, occhio e mani, mi ha fornito una chiave di lettura del mondo, il mio. Insieme, di storie ne abbiamo raccontate.
Qualche settimana fa mi è caduta di mano. Mi ucciderei se penso che l’ho sacrificata per salvare la paglietta che mia sorella mi stava cacciando giù dalla testa. Lei si è schiantata sulle chianche con l’obbiettivo aperto. Io ho fisicamente sentito il cuore sprofondare nell’intestino basso.
Al telefono il tecnico, con soave cadenza barese, ha tenuto a specificare che la ritroverò aperta, dal momento che il “danno è superiore alla spesa preventivata” ed ha bisogno di sapere se voglio ugualmente sistemarla o meno. La sola idea mi fa attorcigliare le budella.

*
Nel lontanto duemilasette.
Ci conoscevamo da pochissimo. Quasi non sapevamo che farne l’una dell’altra. Poi… poi è tutt’un’altra storia.