Fili rossi 2.0
Maggio 27, 2013
Mood: quieto
Listening: Awkward I – Rock is the Road (Amsterdam Acoustic)
Watching: mamma che si stende sulla panza di papà
Eating: risotto ai funghi
Drinking: acqua
Il teorema dei fili rossi è al centro di me stessa una di quelle molle da dove tutta la mia vita trova slancio,
voglio dire, la sensazione che un reticolo fitto e infinito di vie alluse color rosso, passando attraverso un orifizio posto all’altezza dello stomaco, connetta e annodi un essere umano a miliardi di altri più o meno conosciuti e sconosciuti e questi ultimi a miliardi di altri ancora e così via, tutti, per meglio dire, prolungati l’uno dentro l’altro nella positura un giorno – supponiamo – voluta dagli eventi perfetta per sentirsi e comprendersi d’istinto affini e a fondo con una scarica uniforme di meraviglia,
ecco, pensare ai fili rossi mi fa sentire ben-disposta e entusiasta verso ogni cosa dell’universo e sentirmi così ben-disposta e entusiasta verso ogni cosa dell’universo mi frutta sempre pezzi di splendore.
***
Chi ha prodotto il web aveva, io credo, ben presente il teorema dei fili rossi, al punto da averne fatto il presupposto. È evidente, no?, i link sono i fili rossi 2.0 che è proprio ciò che mi piace del web, in altri termini la sua attitudine a intensificare l’accensione e l’oscillazione delle linee di [inter]scambio e di amicizia tra punti trasversali.
Così succede che Eta – Utrecht, Olanda, Europa – collabori al progetto musicale di Heidi Harris – Astoria, New York, USA, America -, firmando prima la copertina del suo album Cut the Line (disponibile su Inner Ocean Records sia in versione digitale, sia in edizione limitata su vinile), poi contribuendo alla realizzazione della traccia Nine Feathers e infine producendo il videoclip di Animal Insect – al quale ho anche potuto partecipare in fase di scrittura, trovandovi uno scambio molto fecondo. Non che Eta e Heidi si fossero mai incontrate fisicamente, vivendo la prima a Utrecht, la seconda a New York, ma umanamente sì e molto profondamente [qui tendo un altro filo rosso dalle mie parole a quelle di Eta che, giorno dopo giorno, mette a nudo sul suo blog il processo dietro questo “empathy experiment” tra lei e Heidi.]
Così succede anche che Traslocare #2 entri tra i contenuti che danno vita al secondo numero di Quinta, periodico digitale – qui in versione base e qui a contenuti ampliati – di Casa Liquida, un neonato cantiere creativo palermitano, “residenza e laboratorio, studio di design e galleria d’arte, sede di wozlab e redazione di bdc, the letterario e teatro culinario, biblioteca e videoteca, astronave e velodromo, luogo di sosta e stazione di posta, porto di mare e approdo silenzioso, casa liquida” che per sua natura mi mette proprio di buon umore, spero di passarci fisicamente un giorno o l’altro.
Casa Liquida posa la sua pratica intera sulla poetica del fil rouge, come dichiara Link, la sua prima esposizione. Allo stesso modo, con Quinta, Casa Liquida tende di volta in volta un filo rosso – il viaggio in occasione del secondo numero – e gli annoda parole e immagini raccolte o offerte dal web, arricchendole con una nuova misura che è quella data dalla relazione tra contributi. Mi fa sorridere, per esempio, che [ri]pubblicando Traslocare #2 su Quinta|02 qualcuno abbia pensato di associargli una canzone, Traslocando di Loredana Bertè, e di impaginargli di fianco Trasporti del Signor L., grazie – e a maggior ragione per aver accostato il mio nome all’aggettivo “viscerale”.
[Così succedono e succederanno tante altre cose.]
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Digital does it better
luglio 2, 2012
Mood: sfiancato
Reading: disperatamente dispense per l’esame che ho tra due giorni
Listening to: Milano che fa silenzio quando scende la pioggia
Watching: la faccia di madre in Skype
Eating: una montagna di spaghetti tostati
Drinking: caffè
Nel caso in cui vi siate domandati se Lou e io – dopo averlo tanto minacciato – non fossimo scappate per davvero in Papuasia alla ricerca di una cura portentosa al nostro “videomaking patologico” venuto in superficie con qualche punta di dramma nel corso dei progetti Fiftyfive fights for the future, con questo primo piano del nostro caro Franco Falco – ormai non è più la prima volta che compare nei nostri lavori – in cuffie gialle dentro un Ipad avete la certezza che no, Lou e io non siamo scappate in Papuasia, al contrario perché aivoglia le lagne!, noi nella nostra patologia ci sguazziamo.
Sicché, esami accademici (messi d)a parte, Lou e io abbiamo trascorso maggio e giugno a stacanovare – citando Franco – su Digital does it better, un video nato da un’idea di Stefano Quitarelli e Marco De Rossi e prodotto da Oilproject, Scuola online gratis in video streaming per promuovere l’utilizzo di Internet in Italia nei settori della professionalità. Proposito in merito al quale lascio la parola a Marco sulle pagine di Che Futuro!
Che a partire da ciò si possa aprire un dibattito articolato e particolarmente critico è evidente. Ben venga!
Lou e io, ve lo dico così per dire nel caso a qualcuno interessi sapere del nostro rapporto con Internèt e il Uorl Uaid Ueb in qualità di autrici del video – se qui ci fosse un intervistatore, questa sarebbe la seconda al più tardi la terza domanda che ci rivolgerebbe, ma l’intervistatore non c’è allora faccio da me –, apparteniamo a quella fascia di popolazione che ‹‹Passami il file in Dropbox!›› e ‹‹Per le suggestioni apriamo un Google Doc.›› quando a separarci non ci sono più di venti centimetri, ma che ‹‹Lo smartphone sta benissimo nelle vetrinette di Mediaworld ‘ché se le mail mi devono raggiungere anche mentre sono in libera uscita non mi resta che la morte.››, ecco, sappiatelo.
Dopo di che caccio fuori dalla saccoccia Digital does it Better.
Voi lanciatelo a tutto schermo.
Ci tengo a rendere noto che il termine “stacanovare” richiama l’immaginario adeguato al caso, dal momento che, per una seria di sfortuite coincidenze astrali chissà quali, con la produzione e il set di Digital does it better andava sempre a finire che mancasse qualcosa a poche ore dalle riprese e che sul set non convergesse mai nulla di tutto quello che avrebbe dovuto, sicché toccava rattoppare un po’ ovunque come possibile. E non che fossimo uno squadrone sul set di Digital does it better, piuttosto un gruppetto sparuto di gente – attori inclusi – che oltre a ricoprire i ruoli di competenza si è dovuta inventare un modo per indossare quelli vacanti e lo ha fatto in modo splendido.
[Nicolò Pertoldi, costumista ma soprattutto jolly – Laura Bianco, regista ma soprattutto jolly – Me medesima, direttrice della fotografia ma soprattutto jolly – Arianna Arcelli, truccatrice ma soprattutto jolly – assente Arianna Recchia, grafica ma soprattutto aiuto trasporti OVVERO I panni sporchi si lavano in famiglia]
Credo che set come questi siano certamente poco agevoli – parrucche incluse, ben inteso –, ma, se animati dalle persone giuste, diventano fin dal primo istante densi come pochi altri di elettricità entusiasmo e voglia di riuscire capaci di innescare strepitosi meccanismi di collaborazione che giorno dopo giorno iniziano ad essere oliati da stima e affetto da voglia di vedersi per un caffè e quattro chiacchiere al di là di un singolo momento di lavoro e questa è una delle cose più belle che potesse capitarmi quella che mi fa andare lontano.
Adesso, dato che Arianna Arcelli è anche riuscita a scattare un po’ di foto di backstage tra un momento trucco e un altro di natura più eterogenea,
mi sembra giusto pubblicarne qualcuna che spicca tra le altre per rappresentanza e qualcun’altra in cui Lou e io non siamo impegnate a dare il culo all’obiettivo, situazione tra le più frequenti in questo backstage.
In tema di backstage, mi sento in obbligo di concludere con una chicca. Il primo piano questa volta è di Alessandra Gianotti – vale anche per lei “ormai non è più la prima volta che compare nei nostri lavori” – in preda allo sprint da ‹‹Tuo marito è rimasto in ufficio per lavorare e non può più uscire a cena con te››, tutta improvvisazione nient’altro che improvvisazione.
Ho il sospetto che in virtù del “viver sani e belli” questo monologo potrebbe risultare persino più convincente – rispetto al video intero impacchettato e infiocchettato – per il target di sesso maschile.
Comunque sia, per certo resterà ai posteri.
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Mood: increspato
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Linea 77 feat. Subsonica – 66 (Diabolus in musica) e sembra di tornare adolescente
Watching: attorno a me
Eating: crostatina di cioccolato
Drinking: caffè
Ma se dico YOUR FILM FESTIVAL vi si riempie per caso il vaso cranico?
Sì, no, non so, premete il pulsantone di fronte a voi.
Io intanto passo la parola a Ridley Scott.
Quando il primo febbraio YouTube e Ridley Scott hanno annunciato il Your Film Festival, è stato come un terremoto nel mio habitat naturale. Insomma, le cause scatenanti sono evidenti come un treno gigantesco che impatta sul muso.
Allora io ho questi due amici, Gianvito Cofano e Alberto Mocellin che chiunque li conosca sa che con la testa viaggiano oltre i limiti di velocità. Io ho questi due amici, Gianvito Cofano e Alberto Mocellin che al Your Film Festival hanno detto sì, e già sembra la pubblicità della Valsoia, me ne sono accorta dopo averlo scritto.
Ne è venuto fuori
This movie is not a movie.
A me le premesse stanno sullo stomaco. In questo caso però, il gioco ha una regola, “guardare a volume alto e bene” – già, do per scontato che lo guarderete! –
e poi potreste cliccare mi piace su Youtube, non credete?
Immaginate Gianvito Cofano e Alberto Mocellin con budget e tempo a disposizione, immaginate il Ben Hur che potrebbero mettere in scena! (per dirla tutta a me non basta immaginarlo)
[photos by Leonard Regazzo]
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“Donne da merito”
dicembre 11, 2011
Mood: stacanovista
Listening to: Yanna che spettegola al telefono con Francesco in vivavoce e io insieme a loro
Eating: pasta pomodoriezucchine
Drinking: caffè
Dopo la manifestazione dello scorso 13 febbraio, oggi, a Roma, è tornato in piazza il movimento autonomo Se non ora quando?, nato con l’obiettivo di reagire al modello degradante della femminilità proposto dalle istituzioni e dai mass media (vedere alle voci “Signor Esse Bì”, “festini ad Arcore” e “Forza Gnocca”) e di riportare le donne al centro del dibattito politico italiano in tema di lavoro, maternità, servizi, rappresentanza e comunicazione. ‹‹Abbiamo detto e continuiamo a dire con tutta la nostra voce che l’Italia non è un paese per donne. Noi vogliamo che lo sia.›› Questo è il punto di partenza del comitato.
In risposta alle più recenti manovre economiche, l’iniziativa di oggi si chiama Se non le donne chi? ‹‹Senza una presenza forte e autonoma delle donne, il cambiamento non ci sarà›› dichiara il comitato in una nota sul web. ‹‹Vogliamo segnare questa stagione politica con la nostra forza, contare sulla scena pubblica. Vogliamo far capire che l’uscita dalla crisi passa attraverso il lavoro e il Welfare per le donne, e che per questo serve una democrazia paritaria e una nuova rappresentazione della donna nei media.››
Per presentare l’appuntamento, Se non ora quando, ha realizzato un video con donne della cultura e dello spettacolo, diretto da Carlotta Cerquetti e Sara De Simone.
Il caso ha voluto che Lou e io iniziassimo a collaborare come videomakers con Womenmag – una neonata testata giornalistica (in edicola dal 20 settembre scorso) dedicata al femminile, diretta da Cristina Sivieri Tagliabue – e che Womenmag contribuisse alla realizzazione del video di promozione dell’evento. Per cui anche noi siamo balzate sulla barca.
Nello specifico di questo video, siamo state dietro la camera quando davanti c’era Giorgia, Giorgia-Giorgia dico, la cantante. E io che a lei sono legata attraverso parole e ricordi molto personali, io che non avevo capito un piffero di quello che stavo per fare tanto tutto è stato veloce, quando me la sono ritrovata a pochi centimetri in carne, ossa e voce, mi sono emozionata tanto da perdere la concentrazione, come una pischella al primo amore – che poi banalmente tutto con questo ha a che fare. Ma questa è una storia a parte.
In occasione della nuova mobilitazione di Se non ora quando, Womenmag inaugura la sua versione online, interrogandosi su cosa significhi parlare di uguaglianza oggi. La versione online del magazine, oltre a dare l’opportunità di sfogliare il numero cartaceo del mese appena passato, integra i contenuti con documentari e videointerviste, oltre che un blog collettivo che mira a coinvolgere sempre più donne – e uomini – per ricostruire l’immaginario complesso della femminilità oggi.
In una società in cui il ruolo della donna è riconosciuto ed emancipato solo nella misura in cui mette in mostra culo e tette in un qualche talk show – un articolo interessante in merito l’ha scritto la Tagliabue, Wikiwomen per snoq –, Womenmag si pone come una rivista culturale al femminile che vuole prendere le distanze dalle testate al femminile già in circolazione. In un altro suo articolo, Merito o marito? – non chiederci la parola, la Tagliabue scrive ‹‹Ragazze da merito, e non da marito, potrebbe anche essere il nostro slogan. […] La nostra realizzazione viene prima di tutto, sia personale sia professionale.
In questo senso Women è un progetto che parla al nostro egoismo oltre che alla nostra intelligenza. Perché abbiamo scelto – la chiamano “linea editoriale” – di raccontare le eccellenze del mondo delle professioni. Per forza di cose, donne che hanno deciso di puntare su se stesse e i propri sogni. Oppure che, nonostante l’inevitabile e insito altruismo, provano a dedicarsi con energia al proprio destino.››
Buona lettura quindi, donne, ma anche uomini!
Filed in Cine-grafie, Ecopolitica mentale
Tag:cambiamento, carlotta cerquetti, crisi, cristina sivieri tagliabue, cultura, degradazione, dibattito, differenze di genere, donne, dorotea pace, economia, emancipazione, femminilità, festini ad arcore, forza gnocca, giorgia, italia, manifestazione 11 dicembre 2011, mass media, milano, ripensamento, rivista al femminile, roma, sara de simone, se non le donne chi?, se non ora quando?, silvio berlusconi, società, uguaglianza, videomaking, web, womenmag
#Notes
ottobre 28, 2010
Mood: banana SPRINT!
Reading: Perec, Specie di spazi
Listening to: alza il volume, Hei Negrita!
Eating: cookie al cioccolato bianco
Drinking: caffè ginseg
Ultimamente mi affligge un torpore vacanziero dal web.
Ovvero
Nel calderone ho molta acqua a bollire, mentre le giornate sembrano sempre troppo brevi e mi avvilisce la sensazione diffusa di non concludere mai abbastanza, nonostante io apra gli occhi che il cielo è ancora bianco-Milano ante solem e non li chiuda prima che sia il giorno dopo o direttamente mi esima dal chiuderli, like the last night.
E a volte la vita scorre troppo velocemente per riuscire a fermarla. O semplicemente non si bada a fermarla perché si è troppo impegnati a viverla, ballando su un tram in corsa.
#1
Zulio e Nicolò
La vostra amicizia che, tra birra, musica e lunghe chiacchierate a libere associazioni, cresce bella da sorridere.
Grazie. Ve lo dico troppo poco.
#2
20.10.2010. Milano, quartiere Isola
Reapeting events, proiezioni in loop, dislocate nello spazio pubblico. E’ comune la necessità di riappropriarsene e rivitalizzarlo, pena la decadenza.
A sera, Massimo Zamboni, chiuso dietro la vetrina di un negozio di musica.
Fuori, conoscenti, estranei, cani, seduti stretti sul marciapiedi.
Di mezzo, la sua voce roca, la sua chitarra vibrante e i panorami della Groenlandia proiettati su uno schermo dietro di lui – il suo, un omaggio ad Artic Spleen, di Piegiorgio Casotti.
Evocazione, lacrime, brividi, freddo, tensione.
C’è chi si può permettere qualche stecca e il fuori sincro, perché sa trasformare tutto in poesia.
Un appunto sulle bozze del mio cellulare:
“[siamo] 2 anime perse in una boccia per pesci. d e f o r m a z i o n e”
#3
21.10.2010. Torino dalle forti contraddizioni.
Palazzi borghesi, grandi spazi aperti, aria, tanta, a percorrerli, silenzio, poche anime in giro. E sotto la superficie il sentimento di qualcosa che ribolle. Peso.
Zulio ne Il fantasma di Torino
Zulio e Raffa ne La Mole Antonelliana con Massimo sullo sfondo
Poi le Officine Bohemien, un piccolo locale colorato a caldo, per la prima serata di un Poetry Slam, otto voci diverse, una sfida a suon di versi sul palco. Tra queste, quella dell’amico mio Raffa , pura-ironia-dissacrante, in fin di fine terzo, peccato che in finale ci vadano solo i primi due e lui meritava, oh sì, e non è una questione d’amicizia.
Risate, fischi, ovazioni, un tiramisù in due ed un calice di vino bianco.
E’ incredibile come, sulle onde delle voci dei poeti, amplificate dai microfoni, l’atmosfera di condivisione si faccia facilmente pregnante, come estranei diventino complici, membri di una sola grande famiglia.
Adieu alle coordinate spazio-temporali!
E dalle sponde di un non-luogo e di un non-tempo, il solo pensiero del rientro a Milano è detestabile.
#4
23.10.2010. Milano, vagabondando
Dopotutto si sa che sul grigio si colora facilmente!
#5
24.10.2010. Milano, Magazzini Generali
Gli Hurts a spaccacuore. La musica tocca lasciarla entrare. Permetterle di fare il suo giro in vena, di risuonare anche negli anfratti più bui. E poi quel che ne viene, ne viene. Siano anche lacrime a profusione come le mie.
#6
22.10.2010. Milano
Una notte in quattro, senza chiudere occhio per un solo secondo, Ludovica, Laura, Candelaria ed io. Succede così quando per il giorno dopo sul calendario è segnalata in rosso la consegna di un qualche progetto e la tua barca è ancora bell’e ancorata in alto mare.
Una notte in cui abbiamo fortemente creduto di potercela fare e così abbiamo tirato su un progetto pienamente soddisfacente in tempi da record, ché la pressione si sa produce sempre frutti tanto succosi.
Ma soprattutto, quanto si può guadagnare umanamente, perdendo sonno?
Non vi conoscevo. E’ successo una notte tra i tazzoni di caffè-ginseg e le fotografie, le chiacchierate e le risate isteriche sul lavoro, i collassi improvvisi e le occhiaie in estensione progressiva fino alle labbra. Poi al mattino, sfinite ma super felici con il nostro lavoro stretto tra le braccia, ci siamo ritrovate ad elemosine posti a sedere in metro per non svenire, ad inghiottire cappuccino e cornetto senza capire bene cosa fossero, né che sapore avessero, a correre a perdifiato sulle foglie bagnate verso l’aula, con due ore di ritardo sulla consegna e meno male il collo non ce lo siamo rotto, ed ancora a sostenerci nelle ansie e nelle lacrime pur lecite dopo tanto sforzo fisico e psicologico.
Ho capito di essere cresciuta. Sì, a volte basta una notte. Una notte in quattro, senza chiudere occhio per un solo secondo, Ludovica, Laura, Candelaria ed io. Ed è stato tanto bello.
La mattina dopo.
#7
More & more.
Work in progress.
Go on.
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