Mood: ridarellante
Listening to: il traffico, sempre il traffico, della strada e dei pensieri
Playing: a trattenere la pipì
Eating: caffè latte con abbracci a mollo
Drinking: vedere la voce superiore



Si stava una mattina della settimana scorsa Zulio ed io a fare le lagne, sbattuti per terra come stracci, prima dell’inizio di una lezione, la prima dell’anno accademico, ad essere onesti, e già si desiderava la libertà da qualsiasi corso, ‹‹Sai cosa?››, ‹‹Perfettamente, baby, perfettamente!››, un viaggio ci vorrebbe per riprenderci, un viaggio spirituale, di quelli che si spegne il telefono, si abbandona internet ed addio mondo, un ritiro spirituale e pure creativo, di quelli che l’attività principe è la caccia delle idee, chessò, su, in montagna sarebbe perfetto e… occazzo!, bisogna, proprio bisogna! e reputando Laura la nostra proposta interessante – ché Zulio, Laura ed io si ha nelle teste un super maxi progetto da fare assieme, ma questa è una storia parallela ed il momento non è il più opportuno per raccontarla – s’è stabilito “il ritiro spirituale e creativo” per questo week-end, sicché tra pochissimo ci si infila in macchina, sovraccarichi di vivande, e si imbocca l’autostrada, in direzione paesino sconosciuto di montagna, frazione di un paese sconosciuto in Piemonte, dove i nonni di Laura hanno una casa di proprietà inutilizzata da tempo indefinito.
Ci sono cose che capitano sempre a fagiuolo, la casa dei nonni di Laura è stata per i nostri sogni un grandissimo fagiulio, non fosse per quel piccolo problema, a dir il vero simpatico, dell’assenza del rimpianto* di riscaldamento, acuito dal fatto che la casa sia ormai inabitata da un po’ e che su in montagna si prospetti gelo e tempesta, sicché Zulio, Laura ed io, animi pavidi, s’è deciso, per aggirare l’ostacolo, di partire trasportandoci dietro un armadio di maglioni di lana ed un piumone cadauno più qualche quintale di teh, oltre che una cassa di birra ed un limoncello, ché, è risaputo, l’alcool riscalda, ammazza se riscalda!, sembra d’essersi preparati ad un viaggio selvaggio in Alaska!, che poi sto viaggio è praticamente tutt’altro che into the wild, considerato il tir traslochi che richiederebbe il quantitativo di roba che abbiamo con noi!
Come che sia, per sfumare con un brivido in più la nostra avventura, abbiamo comunicato ad un paio di amici il nome del paesino sconosciuto di montagna in cui stiamo andando a rifugiarci e li abbiamo ammoniti categoricamente di preoccuparsi qualora domenica sera, data prefissata per il ritorno alla civiltà, non dovessero ancora ricevere nostre notizie e provando a chiamarci insistentemente i nostri telefoni cellulari dovessero risultare ancora spenti, caso quest’ultimo nel quale sarebbe opportuno cominciare a preoccuparsi e venire a cercarci, ché il rischio, esteticamente notevole però, è di ritrovarci statue di ghiaccio tra le sterpaglie di qualche bosco, alle bacche velenose, invece, stiano tranquilli, sopravviveremo. Nulla da dichiarare in aggiunta, a parte la postilla a piè pagina che Zulio, Laura ed io non siamo ancora partiti, anzi, nel migliore dei casi dobbiamo ancora buttare l’armadio in valigia, ma il nostro viaggetto è già poema epico.

Ebbene dunque, au revoir con un sorriso!


* o forse sarebbe più opportuno al caso il termine “impianto”. Ho riscoperto l’errore alla rilettura del testo, ma ho deciso di non correggerlo, anzi di sottolinearlo, perché mi risuona nell’orecchio come un lapsus froidiano interessante, essendo io nella condizione di fare più pensieri alla volta e tutti insieme, così come di parlare di un isolamento in montagna e contemporaneamente di pensare ai rimpianti, brutto, brutto termine per altro, a mio parere, ho sempre cercato di non adottarlo nel vocabolario del mio vivere, ma in un qualche modo ha finito per rientrare tra i motivi originari di questo isolamento.