Den Haag in Transitie
Maggio 23, 2014
Mood: felice
Reading: le mail e i messaggi arretrati a cui neanche stanotte riuscirò a rispondere
Watching: Slavery, un reportage di Jodi Cobb per National Geographic
Listening to: il sonno che arretra e mi lascia stecchita a occhi aperti sui pensieri
Eating: purea di fave
Drinking: acqua
Nell’ottobre 2013 ho incontrato per la prima volta quelli di Den Haag in Transitie, che allora non aveva sede fissa, ma si appoggiava dove trovava ospitalità, per l’occasione uno squat alla semi periferia di Den Haag. Quella sera nello specifico, un gruppo di ragazzi aveva iniziato a riunirsi per sperimentare attorno a tecniche e metodologie del teatro sociale partecipativo. Ricordo l’atmosfera distesa e davvero ispirante, oltre che la sinergia immediata del tipo che si sviluppa tra persone che si colgono al volo, condividendo magari intenti e propositi.
Da allora frequento regolarmente Den Haag in Transitie, sia attraverso il gruppo di teatro, sia proponendomi parte attiva nelle attività più ampie della comunità, che nel frattempo ha acquisito una sede momentanea, ma molto bella, in Witte de Withstraat, 119.
Den Haag in Transitie è un’iniziativa che si inserisce nel movimento delle Transition Town maturato in Irlanda tra il 2005 e il 2006 sulle basi del lavoro di Rob Hopkins con alcuni studenti del Kinsale Further Education College. In risposta all’idea che il nostro mondo, così com’è, non può più andare avanti e che bisogna prepararsi alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso, il progetto delle Città in Transizione immagina e incoraggia all’interno dalle comunità esistenti nuovi modelli di sviluppo a impatto zero, sperimentando pratiche differenti e approcci creativi e partecipativi da applicare dal basso.
Wu Ming 1 scrive che “[…] non possiamo continuare a vivere com’eravamo abituati, spingendo il pattume (materiale e spirituale) sotto il tappeto finché il tappeto non si innalza a perdita d’occhio. […] Non siamo immortali, e nemmeno il pianeta lo è. […] Se ce ne rendessimo conto, se accettassimo la cosa, vivremmo la vita con meno tracotanza. […] E i danni? Gli ecosistemi che abbiamo rovinato? Le specie che abbiamo annientato? Sono problemi nostri, non del pianeta. Verso la fine del Permiano, duecentocinquanta milioni di anni fa, si estinse il 95% delle specie viventi. Ci volle un po’, ma la vita ripartì più forte e complessa di prima. La Terra se la caverà, e finirà solo quando lo deciderà il sole. Noi siamo in pericolo. Noi siamo dispensabili.» Al di là dello scenario post-apocalittico, credo che ci siano ottime possibilità di recupero, credo anzi che si possa persino prospettare un mondo migliore, uno spazio più vitale fuori dall’epoca del petrolio e del consumo alienante, ma per questo è necessario educare la comunità e farlo superando la suddivisione rigida ed arbitraria della conoscenza in ambiti disciplinari così da proporre una lettura rinnovata della realtà, più organica e problematica. Dopotutto l’intralcio è sempre lo stesso: la disinformazione, mentre, per quella che è la situazione attuale e perché ci riguarda tutti in prima persona, dovremmo essere in grado di comprendere a fondo la portata e le conseguenze delle nostre azioni sugli equilibri naturali.
A Den Haag in Transitie, DHiT, i concetti principali sono “comunità locale”, “eco-compatibilità” e “sviluppo sostenibile”, mega contenitori tematici all’interno dei quali “ecologia” e “biodiversità”, “verde urbano” e “demografia”, “produzione e consumo alimentare”, “riscaldamento globale”, “impatto energetico”, “modelli economici”, “uso”, “esaurimento”, “spreco” e “scambio di servizi” sono soltanto alcune tra le molteplici declinazioni in una rete di punti incredibilmente problematici e interconnessi.
A maggior ragione in vista del WEO-2040 – quando, attraverso i nostri politici e i nostri industriali, saremo chiamati a testimoniare degli sforzi fatti per ampliare l’offerta di energia in modo sicuro e sostenibile sotto il profilo economico e ambientale –, DHiT si propone, attraverso i suoi gruppi di lavoro, come piattaforma in grado di catalizzare idee e realtà progettuali differenti per informare e educare, diffondere consapevolezza e facilitare intensi dibattiti e pratiche collettive attraverso i quali indagare il senso della resilienza e gli scenari della sostenibilità. Si parte dal vicinato, dai piccoli quartieri con i loro abitanti, dal negozio all’angolo, dalle scuole e dalle strade e di qui ci si collega e ci si espande alle piccole attività commerciali, alla municipalità e alle organizzazioni internazionali. È in questo questo brodo amniotico che si genera e si muove il processo di transizione verso modelli (ri)creativi eco-compatibili: a DHiT, l’idea – da non sottovalutare – è che le piccole autosufficienze locali siano il dispositivo principale di coincidenza tra pensiero e azione, nonché le linee guida che articolano e mantengono un sistema più ampiamente ecosostenibile.
Le immagini provengono da quelle che ho scattato durante il King’s Day, quando a DHiT abbiamo festeggiato costruendo giardini verticali e aiuole dove c’era soltanto un marciapiedi, ricavato strutture mobili dai materiale di scarto, animato attività teatrali per bambini, giocato come bambini. Il tutto annaffiato dai frullati 100% organici di Passie Voor Pure e coronato da una grande cena di quartiere in collaborazione con Eco Revolt,
senza possibilmente dimenticare di andare sempre a ritmo di musica e a passo di danza!
Maggio 23, 2014 at 11:04 AM
“per l’occasione uno squat alla semi periferia di Den Haag. Quella sera nello specifico, un gruppo di ragazzi aveva iniziato a riunirsi per sperimentare attorno a tecniche e metodologie del teatro sociale partecipativo. ”
Tutto questo pezzo lo prendo in prestito per fare una supercazzola degna di nota.
PUREA DI FAVE????
Maggio 23, 2014 at 11:11 AM
Sono terrona, Tilla! La cosiddetta (dalle mie parti) impanata mi scorre nel sangue. Per essere onesti, dalle mie parti si accompagna non solo con il pane secco, ma anche con le cicorielle (qui storco il naso) o con i peperoni arrostiti (qui non digerisco per una settimana). A parte questo, è buona! 😀
Supercazzola? Oh yeah! Mi piacciono le supercazzole, ma non riesco mai a portarne a termine una con dignità. Dove inizia a suonare come una supercazzola che prendo appunti per la prossima volta? 😀
Maggio 23, 2014 at 11:13 AM
Lo “squat” alla “semiperiferia di Den Haag” è fantastico.
Maggio 23, 2014 at 11:15 AM
Effettivamente, “casa occupata” fa meno figo! Per non parlare di “periferia”! 😀 (Senza contare che qui “periferia” è un concetto un po’ vago.)
Maggio 23, 2014 at 11:18 AM
Ma anche il “teatro sociale partecipativo” è fichissimo eh.
Maggio 23, 2014 at 11:20 AM
Quello però non ha un altro nome vero e proprio, mi spiace! Ci ho pure pensato a lungo, scrivendo.
Maggio 23, 2014 at 11:23 AM
No no, lo so. Però fa fico dirlo, soprattutto tutto d’un fiato dopo lo squat nella semiperiferia. Vedo dinanzi a me facce da platessa ascoltare con finto interesse, lo devo fare!
Maggio 23, 2014 at 11:31 AM
Ti prego, Tilla, rendimi onore e filma tutto! E se puoi, fallo indossando il fiocco fucsia strobo da tre euro! Anche “fiocco fucsia strobo” ha il suo perchè.
Maggio 23, 2014 at 11:35 AM
Sembra un qualcosa di irraggiungibile, quasi un sogno ma conosco diverse comunità similari, alcune stanno crescendo anche in Italia.
Maggio 23, 2014 at 11:39 AM
Infatti sì! E questo è un appunto degno di nota e molto significativo: l’ecocompatibilità non è solo teoria intellettualoide. È pratica e, praticandola, la si puà concretamente raggiungere. Grazie per averlo sottolineato.
Maggio 23, 2014 at 11:43 AM
Forse lo era dieci anni fa, sembrava una cosa da pazzi. Io sono stato per anni attivista di Greenpeace e, tra le tante cose che ho imparato, anche in questo contesto mi si è aperto un mondo. Anche a livello individuale si sta facendo strada. Ci vorrà tempo ma è il futuro.
Maggio 26, 2014 at 11:39 AM
Effettivamente sì. Basta pensare anche soltanto a quanto i concetti di “giardino verticale” e “coltivazione urbana” si stiano sviluppando nella vita quotidiana.
Del resto, come per ogni più piccolo cambiamento, si tratta di essere curiosi e di mettere i primi passi: poi, è vero, i nuovi mondi ti si dischiudono sotto lo sguardo, è proprio la sensazione che sto vivendo negli ultimi giorni. Ha il fascino del pionierismo!
Maggio 26, 2014 at 11:40 AM
Spero ne scriverai ancora.
Maggio 26, 2014 at 4:14 PM
Considerando gli ultimi giorni, direi anche “molto presto”. 🙂
Grazie!
Maggio 23, 2014 at 5:23 PM
Argomento complesso e interessante. Peccato che il sito (molto bello) sia solo in tedesco (?), una lingua di cui non so nemmeno una parola.
Mi riprometto di risponderti in maniera più estesa.
Ciao
Maggio 26, 2014 at 4:13 PM
Il sito è in olandese e sì è un peccato non ne abbiano fatto una versione inglese – cosa che voglio proporre al prossimo incontro.
Aspetto con piacere la tua risposta più estesa poiché si tratta sempre di un ottimo spunto di riflessione.
Ciao!
Maggio 28, 2014 at 12:12 AM
mi piace sia la storia che il modo di esporla. La adopero per il mio lavoro e la passerò a quelli del parco Fenice. Sulla conservazione dell’energia e sul suo uso in agricoltura sta iniziando un dibattito notevole tra chi semplicemente usa il compatibile per gli incentivi e quelli che invece lo portano in una dimensiona nuova del produrre. E’ un nodo non da poco, perché produrre diversamente implica una coscienza che mette assieme prodotto e consumatore, ambiente e risorsa economica.
giugno 21, 2014 at 11:09 PM
Grazie per avermi implicitamente segnalato il Parco Fenice che non conoscevo! E grazie anche per il nodo importantissimo che sollevi: la coscienza, come unico strumento per la transizione verso i nuovi metodi di produzione che, sottolineiamo, sono importanti non solo per tutti i motivi di cui sopra, ma anche perché la popolazione mondiale cresce sempre più rapidamente rispetto allo sfruttamento indiscriminato delle risorse. Si prevede che nel 2045 le persone sulla Terra toccheranno quota nove miliardi. Nove miliardi di teste che hanno bisogno di essere davvero educate a dovere e guidate in questa transizione. Io insisto davvero tanto sul fattore educazione.
Maggio 29, 2014 at 10:59 AM
Sono d’accordo con Topper, sembra un altro mondo…
giugno 21, 2014 at 11:01 PM
Eppure è dietro l’angolo! 🙂 Il che lo rende più bello ancora!
giugno 18, 2014 at 4:33 PM
altro post che mi ero perso. non ho capito come mai wp non mi mandi le notifiche di alcuni blog. boh, tant’è: mi sono riiscritto, ora vediamo.
arrivo in ritardo, e un po’ mi spiace, perché in realtà quello delle città di transizione, dei modelli come quello di den haag, e poi quel “teatraccio” dal nome impronunciabile di cui parli rappresentano la mia quotidianità. solo che gli olandesi, mannaggiallamiseria, ci arrivano sempre vent’anni prima.
giugno 24, 2014 at 1:30 PM
Di contro, io mi perdo i messaggi. Mi sembra ci sia un buon equilibrio tra me e te.
Di cosa ti occupi tu nella tua quotidianità? Adesso sono super curiosa!
E comunque, è vero che qui in Olanda il dibattito è molto più esteso che in Italia. I processi di cambiamento sono di fatto legati alla società che li produce. E questo influisce senza dubbio sulle tempistiche. Ma la cosa più importante è che anche se con vent’anni di ritardo, qualcuno inizi a lavorarci e a mettere in atto un modo di pensare differente. Il fatto che questo stia succedendo, è estremamente prezioso.
giugno 24, 2014 at 2:46 PM
nella mia quotidianità da dr jekill faccio il ricercatore. in quella da mr hyde, ti indico soprattutto due link, penso siano abbastanza riassuntivi. uno è questo http://www.bilancidigiustizia.it/, l’altro questo http://www.theatreoftheoppressed.org/en/index.php?useFlash=1
(negli ultimi tempi aggiungerei anche un discreto impegno negli orti sociali urbani, sempre sul tema)
luglio 7, 2014 at 5:47 PM
Mi entusiasmo! 😀
Vivi a Milano, ho capito bene?
luglio 7, 2014 at 6:15 PM
ci lavoro. vivo nei paraggi (neanche troppo paraggi…) e ci arrivo ogni giorno in treno.
luglio 7, 2014 at 6:22 PM
L’ho capito qualche minuto fa, quando ho letto il post su Vita da Pendolare. Vado un po’ a rilento. 😉
luglio 7, 2014 at 6:28 PM
non preoccuparti: trenord di più 😛
giugno 23, 2014 at 10:16 PM
[…] di ecosostenibilità e sviluppo locale: Den Haag in Transitie (per saperne di più in italiano, in questo blog è spiegato molto bene di cosa si tratta) Tra i vari progetti è possibile acquistare dei box di […]
luglio 16, 2014 at 11:52 AM
[…] post è una risposta a quello di Dorotea. L’articolo è una rielaborazione di un pezzo introduttivo che avevo scritto in occasione di […]
agosto 17, 2014 at 11:43 AM
[…] di ecosostenibilità e sviluppo locale: Den Haag in Transitie (per saperne di più in italiano, in questo blog è spiegato molto bene di cosa si tratta) Tra i vari progetti è possibile acquistare dei box di […]
ottobre 7, 2014 at 2:49 AM
[…] Haag ha aderito all’iniziativa con un festival organizzato da DHiT – Den Haag in Transitie, in collaborazione con Stichting Duurzaam Moerwijk, nel quartiere di Moerwijk, uno di quelli con i […]