Migratoria

giugno 24, 2014

Mood: disordinato
Reading: Bruce Chatwin, Invasioni nomadi, in Che ci faccio qui?
Listening to: Woodkid – The Great Escape
Watching: Sia – Chandelier (Official Video)
Eating: fragole
Drinking: caffè



Ci sono 2444 km tra me, la mattina specifica del 13 giugno, e me, la particolare sera del 17 giugno. Sono migrata in una notte da Rijswijk, a Rotterdam, a Gent, a Anversa, a Lille, a Londra – stop di due ore –, attraversando la Manica su un traghetto che ha costeggiando le Bianche Scogliere di Dover all’alba successiva, poi da Londra a Sheffield, a Wakefield, a Newcastle, a Edimburgo nelle prime ore della sera e indietro, tre giorni dopo, da Edimburgo a Newcastle, a Wakefield, a Sheffield, a Londra tutta una filata nel buio e da Londra a Lille, incapsulata in un autobus in un treno in un budello sotto le acque de La Manica, e poi a Anversa, a Gent, a Rotterdam, a Rijswijk, al calare del sole.

Ho portato sulle spalle il mio cosmo per 2444 km, la terra e il cielo, l’orizzonte e le sue stelle, ogni ciclo di vita, morte e rinascita. 2444 km non sono pochi. E in 2444 km sono uscita dalla vita e ci sono rientrata tante volte quante l’autobus che mi conduceva da una stazione all’altra, insieme a un carico scialbo di passeggeri più un essere umano a me caro, si è fermato ed è ripartito, di volta in volta ricompattando il mosaico di paesaggi e linee di fuga nello spazio sterile di un parcheggio già deputato a una successiva e immediata disintegrazione in nuovi paesaggi e linee di fuga, così per 2444 km.

È difficile in questa sede andare fino in fondo ai pensieri e alle emozioni del mio cosmo in quei giorni, sono complessi e riguardano troppi aspetti differenti della mia vita, ma si dà il caso che spostamenti simili a quello di cui sopra soddisfino per allegoria la mia necessità enterica di nuovi inizi: “la migrazione è di per sé un fatto rituale”, mi ricorda Chatwin, “una catarsi ʿreligiosaʾ, rivoluzionaria nel senso più stretto della parola in quanto l’atto di piantare e togliere il campo rappresenta ogni volta un nuovo inizio. Ciò spiega la violenza con cui un nomade reagisce quando qualcuno blocca le sue migrazioni. Per di più, se accettiamo la premessa che la religione sia una risposta all’inquietudine, allora il nomadismo deve soddisfare certe fondamentali aspirazioni umane che la stabilità non soddisfa.”
Il mio definiamolo nomadismo è nato, qualche anno fa, da un territorio troppo sterile perché potessi ipotizzare cosa fosse un sereno appagamento, il riguardo nei confronti di me stessa che è una cosa meno fine a se stessa di quanto possa sembrare. Per quel che mi riguarda, il movimento è metabolismo. Inizia di solito con un certo imbarazzo, se non proprio con la fame o con un’indigestione violenta. Di conseguenza, non posso far altro che spostarmi, pena la morte per astinenza subita o auto inflitta nel tentativo angoscioso di ritrovare la leggerezza. Mi lascio dietro qualcosa a ogni fermata e nuova partenza, è un dato di fatto che il movimento innesca le reazioni chimiche e fisiche di degradazione e trasformazione della materia e che allo stesso tempo, se non per concausa, sintetizza e libera nuove energie, alimentando lo spirito a nuove prospettive. Tutti i miei stati migliori li partorisco alla fine viaggiando, quando creo spazio espandendomi. C’è in questa formula qualcosa che tanto mi consola quanto mi eccita ed è nel cuneo tra queste due impressioni che respira la mia serenità.

Avrei potuto prendere un aereo: Amsterdam-Edimburgo, avendo fondamentalmente bisogno di essere a Edimburgo il 15 giugno in occasione della proiezione di Dreamer all’Edinburgh Short Film Festival. Ma avvertivo di più l’esigenza particolare di un passaggio intorno alla geografia delle mie emozioni e così ho rivendicato come miei 2444 km totali dentro un autobus. Credo volessi stremarmi, scivolarmi fino al limite delle mie sensazioni, abbandonata come sarei stata di fatto a un movimento organizzato e immutabile nell’alcova fastidiosa di una poltroncina strizzata tra cento altre.
Si aggiunga che allo stesso tempo io abbia avuto l’opportunità di segnare un percorso predisposto, di intaccarlo con decisione e questo perché i 2444 km che ho appena compiuto non sono stati per me un percorso a caso, piuttosto un sentiero che ha collegato alcuni dei luoghi e degli esseri umani che, in momenti molto diversi, sono stati tra i più fecondi e sui quali riverso un particolare attaccamento affettivo. Mi piacciono gli spazi del ritorno perché fanno luce sul presente e a loro volta si fanno illuminare da esso: in questo modo diventano la prova visibile dell’intreccio delle migliaia di vie del sentire e la vita si arricchisce all’istante col senso del cambiamento che è quando realizziamo di essere, esseri umani – materia emotiva – all’interno di un intrinseco processo evolutivo senza fine, processo evolutivo noi stessi, atto nobile di libertà spirituale.
Riconosco in questa visione dei fatti il mio impulso tenace a travalicare, forse anche a travalicarmi. Come se un giorno potessi salirmi in cima e da lì sopra stare a guardarmi,

mi sto guardando.


_DSC0422

Scotland, Edinburgh, Arthur’s seat, 16 June 2014,
tre mesi esatti dopo la prima scalata.

13 Responses to “Migratoria”


  1. per me le bianche scogliere di dover hanno rappresentato il viaggio dell’adolescenza (o forse, appena “post”), per due anni di fila. interrail, da milano a parigi a calais a dover a londra ad holyhead a dublino e ritorno il primo anno, e invece a edimburgo e poi glasgow belfast dublino e poi bretagna e normandia il secondo, quando per andare da milano a dublino basta due ore scarse di aereo.
    poi ci rifletto bene e in realtà penso che viaggio quasi sempre così ancora adesso.

    • dorotea Says:

      In questo momento, la mia fantasia fa di te uno di quei tanti ragazzi che ho incontrato a Dover, zainone in spalla. Uno che potenzialmente potrei conoscere per strada. Bello che tu continui a viaggiare così.


  2. Really touching. This reminds me of a brazilian philosopher who talks about being a “tourist” or a “pilgrim”, and says the difference between both is that a tourist travel to find specific places in a need for entertainment, while a pilgrim travel indefinitely to find himself somehow, somewhere, as much as to actually live the trajectory as metaphor for changing. It’s just like some sort of geography of the self.


    • Sure a passionating Geography. 🙂

      • dorotea Says:

        Julio, could you read everything? This is freaking cool! 😀 And I’m actually really happy I’m sharing also with you what I write.

        Now, “Geography of the Self” is precisely what I mean. I wouldn’t use other words. There are plenty of great people talking about it. Aside from the classic travel literature, stepping into the art’s, there are two other points that make contents, I think: “Psychogeography” and “Serendipity”. Plus what Perec – which is a good Frenchman I think you’d like – calls “Infraordinary”: “infraordinary” is the everyday that is neither ordinary nor extraordinary, but in any case something that speaks us and tells stories, at least something that discloses the way we look at the world, our point od view on it.

        Who is this Brazilian philospher you’re talking about?

  3. Moralia in lob Says:

    Ci sono pochi blog in cui mi sento a mio agio. Il tuo è uno di questi. Attento i tuoi post che assomigliano al caffè della mattina. Pausa e risveglio insieme.

    Buone cose.

  4. rO Says:

    Il post è bello, scritto bene, come tutti i testi che scrivi, e il contentuo è interessante, stimola la riflessione, ma la foto è proprio uno spettacolo. La foto mi incanta. Vorrei essere lì anche io.

    • dorotea Says:

      Te la appoggio completamente. C’è in questa foto qualcosa che mi fa sentire molto bene ogni volta che mi soffermo a guardarla.
      Si tratta di una delle pochissime foto che ho scattato a Edimburgo e sono conenta che così sia perché quando viene a mancare la frenesia da scatto, ci si avvale del diritto di valutare e scegliere i momenti veramente preziosi. E con un po’ di rapidità, si riesce persino a portarli a casa. 🙂

  5. willyco Says:

    scriverò in più volte perché dici molto
    pensiero 1 : la migrazione, oltre l’idea romantica di Chatwin, era un andare necessario al corpo, al suo sopravvivere. Adesso che non è la fame o la paura a spingere si è isolato il termine positivo dell’andare, ovvero il trovare altro. Un commestibile che fa bene allo spirito prima che al corpo, rovesciando i termini dell’andare. Ma questo accade dove l’andare è scelta, in altri posti, l’andare è fuga e necessità, il positivo è la salvezza. Ognuno di questi termini può essere indifferentemente applicato alle situazioni personali, se si rifiuta l’aereo e si sceglie il pullman oppure il treno, o l’andare a piedi ci si conforma a sé. Mi pare che la tua sia una necessità coerente. anche lo stremarsi è coerente.

    • dorotea Says:

      Ciao willyco,
      grazie innanzitutto per la tua osservazione!

      In “Invasioni nomadi”, il brano di Chatwin sopra linkato, la migrazione nomade viene, infatti, analizzata in un suo aspetto fondamentale, ovvero nel suo essere condizione necessaria alla sopravvivenza: i nomadi che – come anche l’etimologia suggerisce – sono pastori erranti, si spostano di volta in volta verso i pascoli. E questo perché hanno bisogno di tenere in vita i loro animali domestici sui quali fondano non solo la loro etica esistenziale, ma anche la propria sussistenza. Chatwin nota anche, a tal proposito, che gli spostamenti nomadi, come quelli degli animali selvativi, non sono mai casuali, ma si organizzano attorno a un percorso prestabilito di pascoli, secondo il ciclo delle stagioni.
      Ma è proprio su questo carattere di necessità che si viene a creare la ritualità estetica e contenutistica del movimento. Senza contare che a questi pascoli, ci si arriva facendo affidamento su un’energia che è tutta fisica e primitiva.

      Quello a cui faccio riferimento io è naturalmente un tipo di “andare” molto specifico e in quanto tale ben diverso dal “fuggire”, per esempio, i cui connotati e le cui condizioni di partenza sono di gran lunga differenti.

      Aspetto con piacere le successive osservazioni!

  6. Claudiappì Says:

    Vengo a trovarti e ti trovo bene ❤


Lascia un commento