Mappa di uno smarrimento
giugno 10, 2015
Mood: euforico
Reading: Patti Smith, Just kids
Listening to: Pashmak – Let the Water Flow
Watching: il via vai in aereoporto a Maastricht [destinazione: Bari]
Drinking: acqua
Potrà sembrare ai più che io mi stia disperdendo [genio, potenzialità e capacità] praticando da mesi, piuttosto che la mia vocazione al cinematografo, i più svariati e ordinari sbarcalunari, cose come l’impiegata d’ufficio, nonché la cameriera, la lavapiatti, la pastaia, la babysitter e niente poco di meno che le pulizie, io! alla maniera di quelli senza vedute sul futuro e porco mondo!, se uno va fino in Olanda dovrebbe quanto meno inseguire un’ambizione professionale, non ti pare?
Succede senz’altro a taluni di venire alla svelta al dunque della propria affermazione. Io no. Primo sottinteso: l’obbligo a sostenermi, ovverosia a pagare i conti. Che succede se non mangio? Perché l’affitto di un mese costa tre quarti dei miei guadagni? Pago il fisioterapista o il cibo e l’affitto? Ma, querelle pratiche a parte, nel corso di questi due anni ho dedicato un’attenzione particolare alla scoperta delle mie passioni e agli elementi e alle circostanze della mia soddisfazione. Dopotutto il post Milano è l’incarnazione di un’ustione. La dedizione rigida che credevo necessaria a una buona riuscita professionale è diventata un buco gigantesco dove sono caduti l’incanto e l’entusiasmo. E semplicemente, un giorno dopo tanti altri, ogni cosa è diventata triste e insostenibile, il lavoro non retribuito, la raccolta indifferenziata dei progetti, i tempi disperati, la vita che passa e non torna indietro, i sentimenti miei e quelli della gente. ‘Ché, lasciatevelo dire: far film è per gli empatici, è un mestiere che riguarda le emozioni. Allora ho preso le distanze, tanto quanto bastasse a espormi a nuove opportunità e a guardare meglio dentro i nuclei deficitari della mia passione, deve per forza trattarsi di un’aberrazione.
Da due anni a questa parte focalizzo meglio molte delle cose che mi appesantiscono e molte di quelle che mi appagano e di conseguenza compio delle scelte che di volta in volta modificano notevolmente la mia vita. Il che senz’altro non ha portato a un’affermazione incisiva, non ancora e – da un certo punto di vista – tutt’altro: per esempio qualche volta al risveglio avverto chiaramente il mattino morirmi addosso, ricadermi sulla pancia con il suo peso da già giorno esanime e allora mi sento affogare nella paura di diventare vecchia nella routine sbiadita a cui mi sono proporzionata, nonché in quella che noi tutti ci spacciamo come la situazione migliore al momento tra le possibili al mondo: un lavoro umile e rispettoso e un salario nero e onesto a fine mese per qualche tempo. Arriverà il momento di fare altro, ma quando? Ma come? Ma cosa? C’è la crisi, vivo in un Paese dove mi mancano gli stimoli e le opportunità – ‘ché certamente l’Olanda non risplende per attenzione e per professionalità nel settore della cultura visuale – e per stanchezza e frustrazione non so più cosa fare per riuscire a fare le cose che amo, né quali sono le cose che amo, né come fare a essere felice, non c’è speranza. Di tanto in tanto trovo persino la mia vita davvero impossibile. Ecco, nel senso di impasse che ne deriva, certi giorni sembra anche a me di starmi disperdendo e in questo stato di desolazione mi siedo per qualche giorno. Poi torno rinsavita a ballare con tutta me stessa e con ogni cosa che ha senso per me. M’incuriosisce soltanto vedere cosa succederà in futuro. I vettori della mia vita sono in espansione, il teatro mentale della mia ispirazione è affamato e sicuramente arriverà il momento di fare altro. In un certo senso il momento di fare altro arriva tutti i giorni, per esempio
lunedì scorso è uscito in anteprima su rockit.it il videoclip ufficiale di Castles dei Pashmak – پشمک, band indipendente di base a Milano, ma dal tessuto estremamente multiculturale: le storie sulle origini dei Pashmak arrivano, infatti, dall’Iran, dalla Germania, dall’America, dalla Sicilia e dalla Lucania. Castles è il primo singolo tratto da Let the Water Flow, il loro album di esordio prodotto e stampato grazie a una meravigliosa campagna di crowfunding su musicraiser.com che ha raggiunto il suo obiettivo in soli dieci giorni. Dopo un tour promozionale a Berlino e un’anteprima su rockit.it, Let the Water Flow è stato ufficialmente rilasciato su Spotify e su iTunes. Quindi niente scuse: ascoltatelo!
Per quel che riguarda Castles, il videoclip è firmato così: Laura Bianco & Dorotea Pace. Dorotea Pace sono io. Laura Bianco è Lou, la mia compagna di vecchia data. E Castles è il nostro ultimo videoclip, il mio primo dopo due anni di inattività. Ed è prezioso. Se dovessi aggiungere una sola cosa a proposito, sarebbe questa: Castles è uno di quei momenti in cui ci ho visto molto chiaro. Io non mi sto disperdendo, amici.
Official music video for Castles performed by Pashmak
A video by Laura Bianco & Dorotea Pace
with KARUN GRASSO, NEVA MURADOR, MATTEO MUSELLA
direction / editing LAURA BIANCO
cinematography / editing DOROTEA PACE
set design ELENA BECCARO, DENISE CARNINI
costumes CAMILLA CHIERICI
make-up artist CHIARA ADORNO
production assistant MARILU’ PACE
cinematography assistants JOHANNES EBERENZ, ELENA MELLONCELLI
direction / editing LAURA BIANCO
cinematography / editing DOROTEA PACE
set design ELENA BECCARO, DENISE CARNINI
costumes CAMILLA CHIERICI
make-up artist CHIARA ADORNO
production assistant MARILU’ PACE
cinematography assistants JOHANNES EBERENZ, ELENA MELLONCELLI
thanks to Fabio Bianco, Nicola Botti, Aurelia Bracciforti, Gaia de Luca, Pino Distefano, Enrico Maisto, Edoardo Mozzanega, Andrea Musella, Giulio Volpe.
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Il video, eccovelo
aprile 12, 2013
Mood: stancherrimo
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: James Blake – Retrograde
Watching: Les Ninfeas di Monet all’Orangerie
Eating: orecchiette al sugo dopo una settimana a baguettes e croissants
Drinking: te
Dopo una presentazione [in]formale al Patio Cafè di Monopoli, il mio ultimo video col quale di recente vi ho [e mi sono] abbondantemente ammorbato/a è comparso ufficialmente su YouTube, una settimana fa.
Tra queste pagine arriva, infine, una settimana dopo perché Parigi val bene una passeggiata – tanto più se con una sorella con la quale non si condivide un po’ di vita da anni – e la mia è iniziata, guarda caso, il giorno stesso della presentazione del mio video e si è protratta fin’ora, facendo ben attenzione a tenersi lontana da Internet e da ogni comunicazione precostituita, ma adesso senza impastare ulteriormente parole
Il video, eccovelo.
Amatelo, sputatelo, fatene un po’ quel che volete, ma ecco, fatene. Qualcosa.
Dreamer è un video scritto e prodotto da me e realizzato in collaborazione con gli Acqua Sintetica e promuove il lavoro musicale di Miriam Neg.
Per eventuali ulteriori curiosità in merito, voilà!
Il video dov’è? Il video cos’è? Il video quand’esce?
marzo 22, 2013
Mood: euforico
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: Autre Ne Veut – Counting
Watching: Robert Doisneau. Paris en liberté
Playing: a costruire castelli esistenziali con cartoni e bustoni che contengono tre anni di vita a Milano
Eating: tortelli ai formaggi + valeriana
Drinking: caffè
Dacché mi sono laureata, ormai pressappoco un mese fa, è capitato tante volte che mi si chiedesse il video, il video dov’è? il video cos’è? il video quand’esce?, il video, con una curiosità collettiva che passando di bocca in bocca dal giorno della prima proiezione con il proiettore penoso dell’ex Aula Magna Spazio Elastico della mia Accademia, mi gonfia la casella mail di Facebook puntella ogni conversazione incrementa a angolo retto le visite al mio canale Vimeo, e io ne resto meravigliata, non mi era capitata una cosa del genere con nessun altro video prima d’ora [e dopotutto ma puntini puntini puntini].
Ebbene, «Qualcosa intorno alla luce». Oscillazioni costitutive di una sguardo, che è il titolo della mia tesi di Diploma Accademico, potrebbe essere definita dagli addetti al settore una tesi molto tecnica di direzione della fotografia, un esercizio di stile con la luce. Questo è ciò che avrebbe dovuto essere in principio. Di fatto, come esito della riflessione che ho inseguito per mesi, il discorso si è fatto molto più personale, si è messo a masticare pezzi su pezzi della mia personalità del mio sguardo della mia immaginazione, inevitabilmente essendo io incapace e poco propensa a tenere fuori le viscere da ogni dannata cosa che faccio.
Ecco, il video che ho scritto mi piace definirlo come un archivio di dieci variazioni luminose [messe in luce per tecnica e concetto] tenute assieme da un sottile fil rouge che s’attorciglia attorno ai fatti umani dell’immobilità e del cambiamento di visione in visione, di spazio esistenziale in spazio esistenziale, guarda caso, temi estremamente miei dove ho fatto coincidere la sperimentazione con la luce e l’autoritratto emozionale.
Probabilmente avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, ma Gianvito e Alberto, che non solo hanno lavorato con me per questo video, ma mi hanno fiancheggiata assai, un giorno quando ancora eravamo alla ricerca della colonna sonora adatta per questo tipo di lavoro e ascoltavamo musica su musica di artisti più o meno sconosciuti da ogni parte del mondo, un giorno dicevo mi hanno fatto conoscere Miriam Neg, un’autrice pugliese che ho pensato subito parecchio talentuosa. Miriam ci ha fatto ascoltare Dreamer, un suo brano già registrato per un suo personale progetto musicale e noi abbiamo trovato Dreamer parecchio incantevole e dacché la sceneggiatura del mio video abbracciava alla perfezione i fianchi delle parole e le curve delle note di Miriam e le parole e le note di Miriam rispondevano all’abbraccio con altrettanta delicatezza primordiale, coincidenza dalla quale subito sono derivati flussi di entusiasmo reciproco, si è reputato opportuno stabilire tra noi una collaborazione.
Il mio archivio di dieci variazioni luminose è diventato così il videoclip ufficiale di Dreamer di Miriam Neg, cose belle che succedono solo lavorando.
Attualmente il video è in cammino verso il web. Tra qualche giorno dovrebbe essere online, “dovrebbe” perché poco prima ho scritto “tra qualche giorno” e in casi di simile prossimità è buona norma non usare certezza.
Nel frattempo, qualche prima immagine dal set per fomentare la curiosità.