Mood: concitato
Reading: Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni
Listening to: Tove Lo ft. Hippie Sabotage – Stay High (Habits Remix)
Eating: pizza
Drinking: caffè



Videomaking e fotografia, gioca con e sulla luce come “fenomeno complesso”, un linguaggio in grado di produrre emozioni diverse anche all’interno di una medesima situazione, grazie alle sue innumerevoli variazioni. I suoi lavori sono personali, intimi, specchio del suo passato e in qualche modo del suo presente, alla ricerca di un’espressività e di una verità dell’essere estreme. Le sue opere sono legate alla visione che ciascuno ha di se stesso, una percezione spesso caotica e mascherata, a volte in conseguenza di quello che gli altri riflettono su di noi. I video sono incentrati sull’identità, sul concetto di decadenza e di smarrimento che pervade gli esseri umani, mettendo in scena i fatti umani a cui ogni giorno assistiamo nel silenzio e nell’indifferenza di una vita troppo piena di eventi. Fatti umani che ci coinvolgono in prima persona e che ci vedono spesso bloccati dal prendere decisioni azzardate e complesse eppure così naturali e innovative. Siamo in grado di vedere e ascoltare? Siamo esseri viventi e attivi o lasciamo che gli eventi ci piombino addosso accogliendoli in maniera passiva? Siamo in grado di oltrepassare la sottile linea che separa il sogno dalla realtà? Tutto ciò è Dreamer. I suoi video ci accolgono in atmosfere sospese, silenziose, riflessive… Probabilmente l’invito da cogliere è quello di “distaccarsi da se stessi” per guardare da una prospettiva altra e alta e collegarsi così al senso intimo delle cose.

Daniela Confetti,
per ThULab – Spazio per le Arti Visive.




Dreamer è un video scritto e prodotto da me e realizzato in collaborazione con gli Acqua Sintetica e promuove il lavoro musicale di Miriam Neg.

Dreamer. News da Edimburgo

Maggio 13, 2014

Mood: energico
Reading: Clément Chéroux, L’errore fotografico
Listening to: UnpezzoalgiornoVideo musicale in cui cammino
Watching: The Amazing Spider-Man 2 di Marc Webb
Eating: patate e mayonese
Drinking: litri di tea in compagnia




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ESFF Official Selection 2014 LAUREL WREATH

Dreamer, una postilla

ottobre 18, 2013

Mood: sotto-pressione
Listening to: Kavinsky & Lovefoxxx – Nightcall (Drive Soundtrack)
Watching: Sofia che saltella come una molla sulle gambe di suo padre (grazie Skype!)
Eating: involtini di zucchine
Drinking: acqua



Ieri, scrivendo la sinossi compiuta – che non ho mai scritto – per presentare Dreamer a ThuLab, un’iniziativa pugliese impegnata nella creazione di una rete per l’arte contemporanea sul territorio, a un certo punto ero così entusiasta e coinvolta da cadere fuori dal tempo e dallo spazio, così pura da pensare diamine!, non vedo l’ora che arrivi il primo giorno di set!

Poi ho realizzato che Dreamer esiste già e in quello stesso istante mi si è svuotata la pancia come tutte le volte che, guardando indietro a quei giorni di lavoro, rivivo la sensazione di molteplici fauci oscure spalancate a ogni angolo, pronte a scolarsi ogni slancio e passione.

Ed è arrivato il disagio per quanto poco ho sorriso e quanto male l’ho raccontato, Dreamer – eppure ce ne sarebbe da dire!

Il fatto è che certi processi richiedono più tempo del previsto.

***

Un palazzo a sette piani, dove innumerevoli personaggi si sono barricati al punto da esserne fagocitati, diventa il marchingegno immaginoso per indagare attorno ai fatti umani dell’immobilità e del cambiamento, al significato del distaccarsi da se stessi e cambiare punti di vista e prospettive.
Ciascuno degli appartamenti dello stabile cela turbe così violente da essere diventate irreali e spazi esistenziali sospesi e inerti, anossici. Sembra che più nulla possa riaversi. Eppure, in cima al palazzo, una donna decide di separarsi dalla porta di casa.
Dreamer è il racconto della sua catabasi [o anabasi?], piano dopo piano, ogni piano un dramma [suo o di altri inquilini?, corpo eroe o Caronte?] – per uscire dal palazzo, andare altrove, dove è troppo presto per saperlo.
Un archivio di dieci variazioni luminose,
un percorso dello sguardo complesso e itinerante,
un intimo processo metamorfico di illuminazioni.

Per chi non l’avesse visto, si tratta di questo.

(a me non fa così male riproporlo)




Dreamer è un video scritto e prodotto da me e realizzato in collaborazione con gli Acqua Sintetica e promuove il lavoro musicale di Miriam Neg.

Il video, ecc

aprile 1, 2013

Mood: esaltato
Reading: George Perec, La vita, istruzioni per l’uso
Listening to: Woodkid, The Golgen Age
Watching: Django Unchained di Quentin Tarantino
Eating: taralli
Drinking: te



Mettiamola così, in completa onestà [‘ché un po’ ne ho bisogno]:
se non fossero coinvolte tutte le persone meravigliose che, invece, sono coinvolte
se non fosse diventato come, invece, è diventato il videoclip ufficiale di un brano incantevole di un’autrice che stimo parecchio, Dreamer di Miriam Neg,
se non fosse che di tutto questo sono orgogliosa,
probabilmente il progetto video col quale mi sono laureata non sarebbe mai stato reso pubblico.

Questa è quasi certamente la peggior cosa che potrei mai dire, ma tant’è.
Il fatto è che, in ogni secondo di questo video, io mi rivedo, cause che l’hanno concepito come sintesi del mio trascorso umano più recente e poi causa esso stesso della nuova crisi professional-identitaria del mio presente, capro espiatorio in verità di processi e dinamiche più ampie che non starò qui a enumerare,
ormai cancrenizzate,
ormai individuate,
ormai da affrontare.

«Hai imparato tanto da questa esperienza, no?» mi chiedeva spesso il mio relatore durante i nostri incontri. Lui parlava della mia capacità di scrivere un’immagine con la luce, dei miei progressi come direttrice di fotografia che erano l’intento primigenio della mia tesi [per lui], quello che poi, per certi versi, è scivolato sul fondo.
Neanche può immaginare quanto e cosa, avrei voluto dirgli, ma meglio di no, mi limitavo a sgranare gli occhi e alzare le sopracciglia, annuendo, come faccio sempre quando voglio dire «Aivoglia!»
Un pomeriggio, verso la fine, mi è sfuggito «Mi ha devastata.»
E allora è stato lui a annuire.

Ho [in]seguito questo progetto e le sue evoluzioni per quattro mesi dacché l’ho scritto. In tutto quello che è riuscito, in tutto quello che è andato storto, mi sono aggrappata all’idea di farcela e spesso, invece, avrei voluto mollare. L’ho amato, l’ho odiato e lungo i suoi quattro minuti si potrebbe ben riconoscere dove l’ho amato e dove l’ho odiato. Si è preso tutta la mia esaltazione e la mia fatica emozionale, spingendomi sempre al limitare senza darmi fiato,
quando rovistava nei paesaggi della mia immaginazione,
quando mi portava nelle baracche di periferia di Milano a cercare oggetti improbabili e nelle case e nelle vite di persone fuori dall’ordinario,
e infine quando la mattina mi svegliava di soprassalto, senza grazia e io avrei voluto soltanto debellarlo.

“Ogni autore ha un rapporto diverso con il proprio lavoro. Per me è essenziale avvertire il cambiamento evolutivo e la metamorfosi dei processi di illuminazione in atto nella mia intimità, allenare lo sguardo che osserva l’esterno dall’interno e l’interno dalla sua esteriorizzazione. Dopotutto io racconto perché ho urgenza di condividere qualcosa” ho scritto nell’Introduzione della mia tesi, «Qualcosa intorno alla luce». Oscillazioni costitutive di uno sguardo.

Stavolta, però, avrei voluto tenere il mio lavoro per me. Egoisticamente, alla fine, è un po’ normale,
intimo com’è a modo suo
che volessi tenerlo per me, un po’ mi vergogno, abbiate pazienza, voi ci stareste nudi in una piazza di vestiti senza pensarci su un paio di volte?

Ecco, mi è servito un po’ di tempo,
fin quando almeno non ho realizzato quanto questo lavoro fosse diventato per me un’ossessione.
Anche dopo averlo concluso,
anche dopo la prima e le successive proiezione e i primi e i successivi entusiasmi,
questo lavoro ha continuato a ossessionarmi.

E allora, vai,
vattene!
Vai, a farti un giro, un bagno di folla in mezzo alle mille altre cose che circolano nell’etere!
Vai che magari inizio a prenderti meno sul serio, a sorriderti di più – lo meriti anche –,

se diventi un po’ più di tutti e un po’ meno mio.

Ecc[…]

***

A questo punto, animata dai furori eroici del caso, prima che fosse un paio di giorni fa, avevo scritto “Eccovelo!”,
‘ché il mio ultimo video stava per esserci davvero.
Quand’ecco, invece, 17 frames di problemi tecnici da risolvere, sorrisino isterico.

Cancello allora quello che avevo scritto e, con il supplemento di un sentore di condanna per determinismo universale, rimando di qualche giorno.

Ma adesso sono serena, sai?, non mi spaventi più e ti sorrido. Quando la prossima volta scriverò “Eccovelo”, lo farò senza più scagliarti lontano. Lo avverti, vero, che sono tornata a ricomporti senz’ansia?