Zalig Kerstfeast

dicembre 25, 2011

Mood: silenzioso
Listening to: detonazioni nel silenzio
Playing: a conquistare regali lanciando un dado, ché in Olanda pare i regali ce li si scambi così. Degno di nota è il mio nuovo Big Willie, the Hip Hop Dancing Rock Dick, eggià.
Eating: senza pretese
Drinking: caffè



Sto riflettendo sul fatto che la tavolata incerta sotto il peso delle pescagioni sfilettate e lo scatolame imbellettato in carta color flusso mestruale sono i presupposti rivelatori del Natale. Dubito mi stia sfuggendo qualcos’altro. Forse il Nessun dorma in tivvù?

La prima fortuna è che sono vegetariana e balzo a pié pari la minaccia delle palate di grasso fritto sul culo, confidando in una cenina alternativa di funghi e pane tostato, più torta glassata come unica nota dolente in chiusura.
La seconda fortuna è che nel mio scatolame imbellettato color flusso mestruale, mia sorella ha nascosto una take away cup coffee in porcellana a pois colorati per avere sempre con me il caffè caldo. Credo volesse conquistare il podio nel mio Olimpo.

Per tutto il resto c’è sempre il silenzio pudico di un’ordinaria notte in bianco alla fine della sbafata.
A dire il vero, aspettavo con impazienza il Natale per cibarmi di calore familiare. Poi ho scoperto di aver bisogno soltanto di restare chiusa a riccio.

Se stanotte nevicasse nel vento, sarebbe tanto bello.
Vorrei ritrovarmi nel bianco con la paura fottuta e la voglia bastarda di lordarlo e tinteggiarlo.


Comunque, in olandese, Buon Natale si dice Zalig Kerstfeast.
Io lo auguro, ché a dispetto del simil-cinismo, il venticinque di dicembre non ce l’ho sul groppone.

Frittata di Sangue

agosto 21, 2011

Mood: rilassato
Eating: muffin
Drinking: indovina, indovinello?, caffè



Sto camminando a miglia da noi, ma la consapevolezza denudata che te ed io siamo una frittata di sangue mi paralizza, poi m’incalza, poi ancora mi paralizza, ho nel cuore i bagordi di una zuffa e riscoprirli poi uguali, identici nel tuo cuore mi fiacca e voglio soltanto non esagerare nel tirare i legacci mentali per lasciarci ancora liberi di essere, familiarizzare con le nuove circostanze, senza necessariamente morirci dentro, cosa dobbiamo fare?

Per esempio.

Potremmo starci nudi negli occhi a sciogliere i bagordi della zuffa in una sera di pioggia e dirci chi siamo, imparare a chiamarci, amanti, amici, tutto, niente e nessuno, abbracciarci e dominare l’alchimia per non marcarci mai più, starci vicini o essere altrove, comunque sia amare tutti i giorni che sono venuti e quelli che ancora verranno, perché siamo stati noi come sapevamo esserlo ed ancora saremo noi come sapremo esserlo, diversi, non per forza migliori o peggiori, per non bruciare più svenati nel solito ciclo infinito di parole e domande che non ricostruiscono mai l’anello mancante.

Se ancora siamo qui…



{Ritornavo da giorni su queste parole per scolpirle e rimodellarle. Mi sono accorta solo alla fine della loro bontà terapeutica, del fatto che prima ero confusa, che ora lo sono ancora effettivamente, ma un po’ meno, anche perché di fatto sto bene, ho un sorriso ebete sulla faccia e come ogni volta che mi riscopro davvero felice all’improvviso sono maldestra, parlo a voce alta e mi muovo troppo ed inutilmente.
Il fatto è che da un po’ di tempo sto lavorando ad un progetto fotografico per un esame di settembre che mi sprofonda nelle mie scatole a compartimento stagno degli ultimi anni e soprattutto degli ultimi mesi per poi rivomitarle come fossero fiabe tra le mani di chiunque le voglia sfogliare. Al mio prof., che ringrazio pubblicamente per la disponibilità anche quando non faccio altro che sciorinare un dubbio dietro l’altro, ho scritto ‹‹Voglio raccontare questo mio essere in moto e quello che significa e comporta, i luoghi, i volti, i gesti, le storie, il cambiamento come unica costante ed il mio modo di osservare la realtà e scomporla e ricostruirla deformata, estetizzata e caricata sempre di senso in eccedenza per astrazione, nel momento stesso in cui la attraverso e ne sono attraversata. Ho pensato che il titolo del mio progetto potrebbe essere “Intrografie”.›› Chiaramente un simile progetto è una mia necessità umana prima ancora che un voto a libretto ed ancora più chiaramente un simile lavorio su me medesima un po’ mi consuma. Ma sono certa che anche questo avrà la sua bontà terapeutica. Anzi, è indubbio che qualche frutto io lo stia già raccogliendo.}

L’Intronauta

luglio 7, 2011

Mood: quieto
Listening to: la ninna nanna di questa notte
Watching: le poche finestre ancora accese nei palazzi circostanti
Playing: con i riccioli
Eating: frugalmente
Drinking: caffè, uno per ogni persona che sto rincontrando





Negli ultimi giorni, scrivo tanto, ascolto canzoni, leggo libri, scandaglio in profondità i testi e le parole, le mie e quelle degli altri, compulsivamente direi, con compulsiva-mente, ho fame di parole, le pronuncio a voce alta per avvertirne la consistenza tra il palato e la lingua, per sentirne il fiato che rende tremuli gli organi interni e le ossa anche quand’è già sfuggito alle labbra e all’insidia delle sue screpolature, cerco significati, sinonimi e contrari, scompongo e ricompongo, provo ad abbozzare definizioni ed ora confesso che le definizioni a me non piacciono neanche un po’ perché sono i limiti concreti al vivere e al sentire più profondo e contraddittorio, ma che di tanto, in tanto devo farci ricorso per capire qualcosa di me e companatico, mettere un puntinoeacapo e, a proposito di puntini, rendo manifesta la mia consapevolezza che, negli ultimi giorni, non solo scrivo tanto, ma scrivo anche manzonianamente, che a cercare il punto nelle miei frasi e nei miei raggiri non è sufficiente un binocolo.

Ma si dà il caso, e a quest’altezza del discorso chiunque potrebbe supporlo ben da sé, dicevo, si dà il caso che questo puntinoeacapo a me non riesce proprio di scovarlo e piazzarlo nel tormentoso rimescolio della mia esistenza, prim’ancora che nei miei scritti. Ora, che l’esistenza sia per gran parte tormentoso rimescolio non è certo la dichiarazione più geniale che potessi fare: letterati e pensatori, artisti e scarpari illustrerrimi che mi hanno preceduta tanto per le tempistiche, quanto per l’intelletto, hanno ampiamente disquisito e problematizzato la faccenda. Per quel che mi riguarda, me ne son fatta una ragione senza particolari isterismi e del tormentoso rimescolio sbrodoloso sbrodolino mi sono persino innamorata, fortuna che è così la vita, altrimenti sai la noia!, il che non vuol dire che il tormentoso rimescolio ed io non siamo contemporaneamente acerrimi nemici, ma quel che conta è che grossomodo mi barcameno e di questo farmi spazio a scossoni ho fatto uno stile di vita.
Il vero guazzabuglio è che nell’ultimo periodo, di cose ne sono successe e, repentinamente, ne sono cambiate e ne stanno cambiando ed io, che pure convulsamente cerco di seguire una direzione, non sto capendo nulla di tutto quello che al momento penso, provo, voglio, ché io al momento penso, provo, voglio non una sola cosa per volta, ma infinite cose e contrastanti e neanche so da dove partire per venirne a capo. A voler concretizzare, è come essere seduti davanti ad una montagnola collosa di spaghetti in un piatto troppo piccolo, senza riuscire a rintracciare lo spaghetto da cui iniziare ad arrotolare una forchettata.
Sono preda di una confusione totale e totalizzante che mi confonde – una confusione che confonde! – debilita, corrode, distrae, astrae, svuota, senza mai abbandonarmi per un solo momento, al punto che dopo l’ennesimo muretto a secco e l’ennesimo rinculo dell’auto a precedere scansati per un soffio, ho preso la per me-drammatica decisione di non guidare finché non sarò riuscita a tenermi sotto controllo, donnina coscienziosa. Si direbbe che tra cuore e cervello mi si sia innescato un attacco fork bomb di pensieri ed emozioni e desideri e paure contrastanti che non so decifrare e riequilibrare e che minacciano brutalmente di mandarmi in crash.

Penso che talvolta sarebbe massimamente utile se a vivermi e sentirmi ci fosse qualcun’altro più bravo di me a capire com’è che mi vanno le cose lì dentro, per poi riferirmelo con dovizia di particolari. Certamente sarebbe tutto molto più semplice, ma non sono certa che sarebbe la soluzione migliore, dopotutto è una grande avventura conoscere se stessi e dal confronto e dal conflitto si emerge necessariamente arricchiti e più consapevoli.
Qualche sera fa, tra le pagine de Il giardino dei gerani timidi, ho incontrato il termine “intronauta” e ne sono rimasta estasiata, non c’è dubbio che nel ventaglio di parole che ho rintracciato nel corso delle mie più recenti ricerche allo scopo di darmi un volto e di raccontarmi, “intronauta” sia proprio la più interessante, la più necessaria, “intronauta”, esploratore dell’interiorità. Nella mia immagine, l’intronauta ha uno scafandro sulle spalle, ed in mano una lanterna, una penna e un taccuino, viaggia in silenzio, si fa strada col respiro nei più intimi grovigli e valuta e annota e valuta e separa e valuta e chiarifica. Io sono un intronauta e sono in viaggio, dal cuore della mia nebulosa emotiva tutto sembra stazionario, ma semplicemente perché muove impercettibilmente verso una soluzione d’incastro, centro di controllo, abbi pazienza, qui ci vuole solo tempo, ce n’è di strada da coprire e di fogli da riempire, ma prest’o tardi la nuova strada sarà costruita!