Fabulazioni

giugno 17, 2012

Mood: ridicolo-insofferente
Reading: Amélie Nothomb, Metafisica dei tubi [a rilento purtroppo]
Listening to: la voce del mare, io che adesso non posso averlo e tanto lo vorrei, il mio
Watching: Elephant di Gus Van Sant
Playing: a sciogliere il corpo ballando su Elle Me Dit
Drinking: birra
Eating: cornetto Algida



In principio ero metà meno qualcosa. Metà è quando si avverte in ogni secondo di una giornata la necessità d’altre metà per diventare rotondità. In principio ero metà meno qualcosa e da un certo momento in avanti ho iniziato a essere sempre qualcosa in meno di metà meno qualcosa fino a [fi-iiiiiiiiiiiiiiiiiu].

Allora io che ero preoccupata per me stessa e nutrivo la scomodissima sensazione di essere stata fregata ho cercato a lungo il modo di essere rotonda. Camminavo per l’universo intero col naso per aria nell’aria la annusavo la interrogavo finché non ho iniziato a ingerirla per ogni molecola che valesse la pena di essere ingerita – un quantitativo comunque molto elevato considerata una certa natura compulsiva che mi ha colta all’improvviso – e mi sembrava che quelle si stessero appiccicando alle pareti interne del mio corpo e stessero premendo verso l’esterno dandomi nuova sagoma, le molecole d’aria.
Un giorno poi mi sono guardata nello specchio e meraviglia! mi sono riscoperta rotondità, talmente piena e densa che se mi percuotevo la pelle assottigliata dalla tensione rimandavo un suono sordo come il brontolio di una rotondità regale. A incantarmi c’era la nuova consapevolezza d’essere rotondità io stessa, non metà io più metà altra che fanno una rotondità ma rotondità proprio io stessa con me per me stessa, lo vedi? ho ribattuto una volta a un’altra metà dispersa in un via vai di metà disperse Non possiedo niente più che me stessa e mi basto non mi sento sola affatto

e (non) mi piacerebbe sapere come mai potrei provare solitudine io se in me stessa – che sono ciò che possiedo e niente in più – ho tutte le molecole d’aria dell’universo intero che valga la pena di ingerire e metabolizzare come fossi un grande stomaco primordiale, eccoci qui, questo è l’orifizio, per aprirlo un palpito è già di troppo ‘ché io sono diventata rotonda, adesso lo so, quando ho cancellato la linea di confine tracciata spessa tra me stessa e l’universo intero, è stato come rinascere a vita nuova, per tutto ho provato curiosità per la prima volta e per la prima volta mi sono sentita incredibilmente vicina a tutto. Senza un ingombro simile, l’aria dell’universo intero si riversa contro l’orifizio del mio essere come fossi uno stomaco, non sempre è generosa a volte picchia duro ma perennemente seduce disarma. Io ho fame sempre abbastanza di una fame che è come un bambino recalcitrante collerico impaziente, inspiro espiro con forza e ogni flusso d’aria che mi percorre scatena lungo l’esofago un canto esultante che ripercorre fibre muscolose e vasi sanguigni anche i più insignificanti niente resta impermeabile perché ciascuno di quei flussi d’aria seduce con una bellezza perturbante, il fracasso delle ossa sotto le onde d’urto di una grancassa il riverbero lungo la schiena di un sussurro la metafisica del volo di un aquilone la banalità di una vulva bianca in mezzo a mille altre frantumate tutto mi incanta e mi esalta fino all’ebetudine come fosse un prodigio, io stessa sono un prodigio sono nel posto giusto e nel momento giusto, il mio corpo è il posto giusto e il momento giusto la sede di un piacere profondo capace di legittimare l’esistenza dell’universo intero il suo splendore, come sei bello universo intero!
Oh, quanto mi piace essere rotonda che è come essere innamorata, un rigoglio assoluto di soddisfazione e appagamento rinsanguato da un’armonia di ruggiti arroganti di ancora ancora e ancora che non accettano di restare inascoltati.

Ho vissuto tantissima vita in questi mesi, ne ho trovata ovunque abbia posato lo sguardo, non tutta bella non tutta brutta eppure sempre conturbante. A chi mi ha fatto domande, non ho saputo mai raccontare senza avere l’impressione che le mie parole fossero troppo poco, mai in grado di restituire neanche le briciole di tutto quello che stavo provando tanto era intenso e connaturato alla mia realtà fisica e mentale del momento e dopo giorni passati a domandarmi perché – io che col racconto ci vado a nozze io che ogni cosa diventa un racconto mentre ancora sono impegnata a viverla – ho capito di non possedere una soltanto delle parole adeguate a questo genere di storie.
Il vero dio creatore della mia crisi del fabulare però è stata la sensazione cattiva di perdere squarci e percezioni importanti ad ogni nuovo tentativo smangiucchiato muto cieco di fare della mia vita un racconto, ero ancora troppo nuova nella mia rotondità per accettare con serenità che qualcosa digradasse da me per diventare un po’ meno intima un po’ più condivisa, sarebbe stato come perder forze. Ho smesso di fare della mia vita una storia e non mi è sembrato di commettere un’azione brutta perché nel frattempo semplicemente ho vissuto, tantissima vita.
Un giorno poi mi sono guardata nello specchio e meraviglia! ero un po’ più forte sicura del mio modo di stare nell’universo intero, è successo dopo una caduta laterale dei sentimenti che mi ha sconvolto la rotondità e mi ha trascinata in una condizione di crescente disagio e disorientamento finché non ho riafferrato al volo la giusta corrente del momento per tornare a essere rotondità piena e densa ‘ché dopotutto l’unico rimedio alla vita è la vita stessa e io appartengo a quella specie che le lezioni si imparano dimenticano ricordano vita vivendo, mica una volta fino alla fine dei giorni.
Un altro giorno poi mi sono guardata nello specchio e meraviglia! ho vocalizzato parole nuove come “prodigio” e “piacere” e il loro corpo il loro suono mi sono sembrati come la pioggia che piove all’improvviso quando hai voglia di ballarci sotto.

Sicché

“In principio ero metà meno qualcosa ecceteraeccetera”


che è da considerarsi un primo [rinnovato] tentativo verso l’esterno.

Abissi

marzo 22, 2012

Mood: quieto
Listening to: Michael Kiwanuka – Home Again
Watching: The Bull Laid Bear di Zanny Begg & Oliver Ressler
Playing: a riordinare gli archivi digitali, un’impresa ardua più che un gioco
Eating: tiramisù super buono fatto da Yanna
Drinking: acqua



“Amavo di te la pena di una persona non amata. E’ stato così triste volerti bene.”

[Artribune, anno 2, numero 5, Gennaio-Febbraio 2012]



Ho sentito freddo nelle ossa.

(…)

Fuori intanto la gente toglieva i cappotti e metteva in mostra le braccia.


– Pugni di parole per miniere di emozioni. –

Voyeurismo, annotazioni

marzo 3, 2012

Mood: disteso con qualche piega ai bordi
Listening to: musici in parco Sempione
Watching: Cinemagraph™ – pura suggestione –
Playing: a non pensarci
Eating: gelato cannella, crema croccante e cioccolato col peperoncino
Drinking: caffè



A osservarli dall’alto, due che divergono dopo l’amore appaiono cosa assai bislacca e grottesca.

Si braccano, si lanciano a turno all’attacco, convergono, si respingono, tracciano traiettorie fino allo sfinimento come bestie mentre sfoggiano frasari plateali e posticci, scialacquano urla e toni melodrammatici, si percuotono il petto, intessono scenate esagerate fino al lacrimevole, al patetico come esseri umani.

Tutti.


(si pensava Lou e io, a osservarli dall’alto, due che divergono dopo l’amore.)

Mood: infastidito
Reading: Gianni Biondillo (a cura di), Pene d’amore
Listening to: Linkin Park – Waiting for the End
Watching: I promessi sposi in dieci minuti, degli Oblivion
Playing: ad acchiappare i nervi che minacciano di sfuggire dalle orecchie
Eating: spaghetti piccanti
Drinking: taaaaanta acqua








***

L’Autoritratto Provvisorio di novembre arriva in extremis, al volo come tutte le cose e le persone della mia vita negli ultimi mesi. Non ho tempo per arrivare al fondo del bicchiere. Non ho tempo per capire come sto, prendere fiato ed evitare di ritrovarmi a giorni alterni a ridosso di un baratro.
Ma non ho alcuna voglia di piagnucolare. Del resto, non ho tempo per farlo. Ho un bisogno estremo di ridere e cacciare aria sporca fuori dai polmoni. E siccome sono certa che spesso per ridere delle stesse cose che ci mettono in difficoltà è sufficiente cambiare prospettiva, a partire dalle parole con cui le raccontiamo, mi piace pensare a quanto possa essere ridicola e goffa questa furia da “non ho tempo per”.

Che poi, per quest’Autoritratto Provvisorio di novembre c’è davvero di che sentirsi ridicoli e goffi a causa della fretta! Ho allagato il bagno due volte di seguito. La prima perché inizialmente pensavo di fare uno scatto nella vasca da bagno con l’acqua a scroscio. La seconda perché per lo scatto suddetto ho staccato dalla vasca da bagno suddetta il tubo di scarico della lavatrice e ho dimenticato di riattaccarlo, dopo di che ho messo a lavare i bianchi e solo alla terza centrifuga mi sono accorta che la lavatrice suddetta stava scaricando l’acqua sul pavimento, concedendomi il privilegio di una piscina in casa a mezzanotte. Ecco. Come mi ha detto Lou, ‹‹se non altro, hai di che scrivere nel blog!›› e non ha tutti i torti!

Mood: ovattato
Reading: Salvador Dalì, La mia vita segreta (ancora e di nuovo)
Watching: Variabili Umane, della compagnia teatrale Atopos, per la regia di Marcela Seri. Chiunque ne avesse l’opportunità, vada a vederlo! Al momento è in scena al Teatro Ringhiera di Milano. (“Un canto di esseri umani. / Un canto d’amore e d’odio per “essere” umani./ Una dedica all’incomprensione. / Un canto per chi non capisce. / Un urlo di rabbia, di vita. / Un urlo parossistico, fottutamente indigesto./ Una danza di corpi buffi e belli che desiderano essere amati. / Una tragicommedia sull’ignoranza e una ricerca continua… / Chi sono io veramente? E ciò che sto guardando: sei tu o sono io? / Le variabili umane entrano nelle menti come un elettroshock. Guardami! / Guardami: cosa devo fare per farmi amare?”)
Eating: cioccolata Lindt
Drinking: te







Nessun dubbio all’orizzonte, sono io. Io, proprio io, me mededima.
Appunto perché, appunto… appunto.

Insomma, lo diceva sempre mia mamma! Me ne sto attaccata al riccio come Linus alla coperta. Al riccio, sì. Uno specifico, sempre lo stesso. Sulla spalla a sinistra quando avevo i capelli lunghi, in cima alla capoccia da che ho tagliato i capelli, per altro scomodissimo, ma tanto meglio la fiacchezza muscolare di un esaurimento nervoso. Dopotutto ognuno ha i suoi personali anti-metodi da stress communis.
Appunto perché, appunto… appunto.

Potrei vivisezionarmi, elencare i fatti, farne la disamina ed emettere il rapporto patologico. Ma nell’ultimo periodo, non sono il meglio sul mercato con le parole. Sto sperando in una svendita da fiondarmici e farne mambassa. Intanto, meglio passare la frequenza a qualcuno più appropriato al caso.






Appunto perché, appunto… appunto.

Mood: affaticato
Listening to: il traffico sotto la finestra
Watching: Essere John Malkovich, di Spike Jonze
Playing: a sprofondare sotto montagne di cuscini
Eating: ovetto al tegamino
Drinking: esageratamente caffè



In virtù di un atto solenne e legittimo, ho adottato il termine “substrato”. Sì, adottato. Esiste questa Società Dante Alighieri – io l’ho scoperto sul blog di Claudiappì, appena l’altra sera, facendo blogzapping – che ha promosso una campagna di adozione di parole italiane che stanno andando nel dimenticatoio, minacciando di consegnare la lingua del Bel Paese al lastrico culturale. Ebbene io che marcio al grido di “Le parole sono sacre, le sfumature linguistiche anche, per non parlare dell’etimologia e della sensazione tattile che trasmettono”, io che se utilizzo una parola è perché ho valutato tutti questi aspetti ed ho deciso che non è sostituibile con nessun’altra, ebbene io mi sono sentita chiamata in causa.

Ho scelto “substrato” tra mille mila altri lemmi, dato quest’ultimo massimamente inquietante, e mi sono impegnata ad utilizzarlo tutte le volte che se ne presenti l’occasione, la faccenda è ben certificata.

“Congratulazioni: la tua richiesta di adottare la parola substrato
è stata accettata;
Da oggi sarai il custode della parola fino al 15/10/2012”

In verità c’erano, per esempio, i lemmi “titillare” e “pantagruelico” che mi stavano particolarmente simpatici, ma risultavano già adottati, ed il lemma “fotofobia” che mi stuzzica per un’emblematica quanto paradossale faccenda che mi vuole fotofobica ed apprendista direttrice della fotografia, impegnata a lavorare cioè con la luce, ma alla fine “substrato”, ho pensato, mi calza proprio bene, a misura direi, perfettamente.


Substrato

biologico

biotico
abiotico

emotivo
linguistico
onirico

creare
stratificare
eliminare

d’interferenza

procreativo
marcente

(eccetera)

L’Intronauta

luglio 7, 2011

Mood: quieto
Listening to: la ninna nanna di questa notte
Watching: le poche finestre ancora accese nei palazzi circostanti
Playing: con i riccioli
Eating: frugalmente
Drinking: caffè, uno per ogni persona che sto rincontrando





Negli ultimi giorni, scrivo tanto, ascolto canzoni, leggo libri, scandaglio in profondità i testi e le parole, le mie e quelle degli altri, compulsivamente direi, con compulsiva-mente, ho fame di parole, le pronuncio a voce alta per avvertirne la consistenza tra il palato e la lingua, per sentirne il fiato che rende tremuli gli organi interni e le ossa anche quand’è già sfuggito alle labbra e all’insidia delle sue screpolature, cerco significati, sinonimi e contrari, scompongo e ricompongo, provo ad abbozzare definizioni ed ora confesso che le definizioni a me non piacciono neanche un po’ perché sono i limiti concreti al vivere e al sentire più profondo e contraddittorio, ma che di tanto, in tanto devo farci ricorso per capire qualcosa di me e companatico, mettere un puntinoeacapo e, a proposito di puntini, rendo manifesta la mia consapevolezza che, negli ultimi giorni, non solo scrivo tanto, ma scrivo anche manzonianamente, che a cercare il punto nelle miei frasi e nei miei raggiri non è sufficiente un binocolo.

Ma si dà il caso, e a quest’altezza del discorso chiunque potrebbe supporlo ben da sé, dicevo, si dà il caso che questo puntinoeacapo a me non riesce proprio di scovarlo e piazzarlo nel tormentoso rimescolio della mia esistenza, prim’ancora che nei miei scritti. Ora, che l’esistenza sia per gran parte tormentoso rimescolio non è certo la dichiarazione più geniale che potessi fare: letterati e pensatori, artisti e scarpari illustrerrimi che mi hanno preceduta tanto per le tempistiche, quanto per l’intelletto, hanno ampiamente disquisito e problematizzato la faccenda. Per quel che mi riguarda, me ne son fatta una ragione senza particolari isterismi e del tormentoso rimescolio sbrodoloso sbrodolino mi sono persino innamorata, fortuna che è così la vita, altrimenti sai la noia!, il che non vuol dire che il tormentoso rimescolio ed io non siamo contemporaneamente acerrimi nemici, ma quel che conta è che grossomodo mi barcameno e di questo farmi spazio a scossoni ho fatto uno stile di vita.
Il vero guazzabuglio è che nell’ultimo periodo, di cose ne sono successe e, repentinamente, ne sono cambiate e ne stanno cambiando ed io, che pure convulsamente cerco di seguire una direzione, non sto capendo nulla di tutto quello che al momento penso, provo, voglio, ché io al momento penso, provo, voglio non una sola cosa per volta, ma infinite cose e contrastanti e neanche so da dove partire per venirne a capo. A voler concretizzare, è come essere seduti davanti ad una montagnola collosa di spaghetti in un piatto troppo piccolo, senza riuscire a rintracciare lo spaghetto da cui iniziare ad arrotolare una forchettata.
Sono preda di una confusione totale e totalizzante che mi confonde – una confusione che confonde! – debilita, corrode, distrae, astrae, svuota, senza mai abbandonarmi per un solo momento, al punto che dopo l’ennesimo muretto a secco e l’ennesimo rinculo dell’auto a precedere scansati per un soffio, ho preso la per me-drammatica decisione di non guidare finché non sarò riuscita a tenermi sotto controllo, donnina coscienziosa. Si direbbe che tra cuore e cervello mi si sia innescato un attacco fork bomb di pensieri ed emozioni e desideri e paure contrastanti che non so decifrare e riequilibrare e che minacciano brutalmente di mandarmi in crash.

Penso che talvolta sarebbe massimamente utile se a vivermi e sentirmi ci fosse qualcun’altro più bravo di me a capire com’è che mi vanno le cose lì dentro, per poi riferirmelo con dovizia di particolari. Certamente sarebbe tutto molto più semplice, ma non sono certa che sarebbe la soluzione migliore, dopotutto è una grande avventura conoscere se stessi e dal confronto e dal conflitto si emerge necessariamente arricchiti e più consapevoli.
Qualche sera fa, tra le pagine de Il giardino dei gerani timidi, ho incontrato il termine “intronauta” e ne sono rimasta estasiata, non c’è dubbio che nel ventaglio di parole che ho rintracciato nel corso delle mie più recenti ricerche allo scopo di darmi un volto e di raccontarmi, “intronauta” sia proprio la più interessante, la più necessaria, “intronauta”, esploratore dell’interiorità. Nella mia immagine, l’intronauta ha uno scafandro sulle spalle, ed in mano una lanterna, una penna e un taccuino, viaggia in silenzio, si fa strada col respiro nei più intimi grovigli e valuta e annota e valuta e separa e valuta e chiarifica. Io sono un intronauta e sono in viaggio, dal cuore della mia nebulosa emotiva tutto sembra stazionario, ma semplicemente perché muove impercettibilmente verso una soluzione d’incastro, centro di controllo, abbi pazienza, qui ci vuole solo tempo, ce n’è di strada da coprire e di fogli da riempire, ma prest’o tardi la nuova strada sarà costruita!