Mood: sottomarino
Watching: le montagne all’orizzonte in un insolito cielo blu milanese
Eating: Kinder Cereali
Drinking: caffè



Ormai quasi due anni fa – ma ricordo benissimo la luce e lo stato emotivo di quel mattino – ho prodotto un’immagine molto mia, tant’è che poi è finita nel progetto fotografico Intrografie dello stesso anno, nel quale visualizzavo il processo della mia intimità in un momento di cambiamento, per non dire stravolgimento, cruciale – di lì poi, c’è stato tutto il resto e, giorno dopo giorno, sono arrivata Io, al punto in cui sono oggi.

Quest’immagine molto mia ieri se n’è andata a Roma per stamparsi – con un leggero ri-editing – nella locandina del secondo appuntamento della rassegna Schizzi d’Attore, a cura di Studio Orale Arte dell’Attore diretto da Salvatore Cardone e presentata da Spazio Colibrì Libreria Musica Arte.


schizzi_d'attore

Nella pagina Facebook dedicata all’evento trovate tutte le informazioni in merito alla rassegna e alla performance dell’8 febbraio, Schizzi d’Attore – Comunque non è amore (sennò non mangerebbe), un monologo dall’Ulisse di James Joyce, interpretato da Paola Giglio.
Dunque, Signori che sarete a Roma l’8 febbraio alle ore 21, perché non andarci?

A me non resta che ringraziare lo Spazio Colibrì e Luca Romano per aver trovato quest’immagine molto mia e avermi proposto la collaborazione. Fa piacere.

Venerdì Diciassette

settembre 18, 2010

Mood: teso
Reading: volantino delle offerte del Simply
Watching and Listening to: Perturbazione – Agosto
Eating: macine
Drinking: caffè-latte




Venerdì diciassette.
Per il folklore popolare, una sfiga che a trovarne una uguale non ci si riesce neanche pagandola a peso d’oro.
Per me, la liberazione.


La sessione d’esami autunnale si è chiusa. Posso farla finita con l’ansia dello studio, quando proprio non voglio, non ci riesco, dannato cervello pensante, ma devo. Ora posso anche svegliarmi con la malinconia che mi pende sulla testa, come avrà fatto Damocle a sopravvivere alla tensione della spada, ora si stacca, ora mi attraversa la testa?, ma scendere in strada, ed andare per il mondo a cercare un sorriso, invece di costringermi ad oltranza su una sedia per poi non combinare comunque nulla.
Nonostante tutte le difficoltà, ne sono uscita a testa alta, lode al blabblio* e alla forma mentis**, alla testardaggine e all’orgoglio, laddove ne è rimasto, alla passione e alla volontà di riuscire, ri-uscire.
Porto a casa anche una dose di dolcezza stupita perché a fronteggiare l’ansia e lo scoraggiamento del momento, la stanchezza e l’assenza di entusiasmo, ho incontrato la stima altrui.

“Noi siamo molto contenti di te.”

Ringrazio a testa bassa. Sorrido imbarazzata. Insegnate a me ad esserlo di me.
Se c’è una cosa che proprio non va bene in me, questa è la scarsa fiducia che ripongo in me stessa. Nel lavoro quanto nella vita privata. Superba e priva di autostima. Mi definisco all’interno di questi due poli. Paradossale. Come sempre. Non so che farci.


Ora si prospettano due o tre settimane libere. Le occhieggiavo con entusiasmo da un po’ e mi ci sono tuffata a braccia spalancate fin da ieri pomeriggio.
Ho una lista in fieri dei buoni progetti, cose frivole perché sono stufa di rinnegarle per fini intellettuali che non è scritto da nessuna parte che “frivolezza” è sinonimo di “deficienza”, potrebbe esserlo anche di “semplicità”, all’occasione, e cose più spesse e profonde. Comunque cose lasciate indietro da tempo e che mi reclamano con urgenza.
Ho bisogno di tempo da dedicarmi. Negli ultimi anni, la vita ha fatto un giro un po’ strano, vuoi l’amore, vuoi gli studi, vuoi il lavoro, vuoi la famiglia, vuoi le seghe mentali, e io mi sono dimenticata, abbandonata a qualche curva di questo fluire travolgente. Non sono passata a prendermi. Ora lo farò, mi tenderò una mano e la prenderò.
Aiutati, che Dio t’aiuta”, dice nonna. C’è saggezza nel folklore popolare, venerdì diciassette e gatti neri a parte. O perchè no?, venerdì diciassette e gatti neri inclusi.

Comprare l’aspirapolvere ***
Liberare aggressivamente casa dalla polvere
Andare ad Ikea
Arredare casa e colorare
Pastrocchiare in cucina
Invitare gente a cena o festini
Barboneggiare in Colonne, una birra in mano, le chiacchiere con gli amici e i tamburi di sottofondo con la testa a ritmo
Scoprire la fiera di Senigallia
Buttarmi in una pista da ballo
Saltare sotto il palco di un concerto
Shoppingare
Conoscere Milano
Non perdermi la mostra di Dalì e qualsiasi altro evento interessante
Tornare a teatro
Andare a cinema ****
Curiosare almeno un giorno al Milano FilmFestival
Andare al Museo del Cinema di Torino
Curiosare nel Libraccio nuovapertura *****
Sfoltire la pila dei libri “da leggere”, leggendoli
Ricominciare a scrivere
Realizzare uno stop motion
Studiare fotografia
Comprare la macchina fotografica nuova
Fotografare, fotografare, fotografare
Vagabondare senza sosta
Salire un un treno, perché no?, anche due o tre


Ritrovarmi. Questo è un imperativo.



* dicasi blablio la capacità di intortare per mezzo della dialettica colta e bombardante il proprio ascoltatore così che quest’ultimo abbia l’impressione di essere al cospetto di una persona che ne sa più del diavolo e che ne sia anche molto convinto
** dicasi forma mentis la forma della mente, per l’appunto, ramificata definirei la mia, tanto troppo che mi ci perdo a volte, ma, come dice De Carlo, siamo noi che manchiamo d’orientamento, mentre le strade da sé sanno dove vanno e per quanto si attorciglino, s’incastrino, si spezzino, si inabissino o s’innalzino, non mancano di un punto di convergenza, di risoluzione.
*** Ieri sera, a Mediaworld, Yanna ed io abbiamo conosciuto Robberta (per Yanna, “Robbi”, per me “Berta”, a tutti gli altri libera scelta, le possibilità non mancano), scopa elettrica arancione, senza sacchetto. S’è creato subito feeling e ce la siamo portata a casa. A breve vado a battezzarla.
**** Ieri sera ho visto Mangia, Prega, Ama.

La gente in sala è uscita perplessa. Io l’ho vissuto in prima persona con l’anima. Si sa, il livello dell’emotività è una questione tutta personale.
***** Sugli scaffali ho incrociato il mio prossimo acquisto, Trattato di funambolismo di Philippe Petit, funambolista francese. Nel 1974, ha camminato su un filo teso tra le Twin Towers, lui, le ha attraversate.




“Uomo dell’aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni.”

Mood: tipo come quando c’hai le mestruazioni
Listening to: Niccolò Fabi – Qualcosa di meglio
Reading: roba da esami
Drinking: Santal, i colori della salute, tutt’e cinque
Eating: polvere milanese




Atto primo
Il cielo, una strada, ombre del sole a mezzogiorno.
Lei cammina. Lui anche. Poi Lui rallenta il passo e resta indietro. Lei se ne accorge, rallenta il passo, poi si ferma. Gli sorride per nascondergli il terrore di perderlo. Allora gli tende la mano e aspetta che Lui la raggiunga. Aspetta tutto il tempo necessario affinché Lui le torni a camminare al fianco. Solo allora riparte. Insieme a Lui.


Atto secondo
Lo stesso cielo, la stessa strada, le stesse ombre del sole a mezzogiorno.
Lui cammina. Lei anche. Poi rallenta il passo e resta indietro. Lui se ne accorge, indugia, la richiama a sé con piccoli gesti. Ma non si ferma mai ad aspettare che Lei torni a camminare al suo fianco. Piuttosto le cammina avanti. Finché Lei, correndo, non lo raggiunge nuovamente.


Coro
Così. Per anni. Senza mai cambiare.



Atto terzo. Una lettera.
Resta troppo a lungo sulle labbra il sapore della tua pelle, amore mio.
Mentre tu vai via, scortato sempre da un manipolo differente di ragioni a giustificarti.
Ed in loro presenza, io, che pur non capisco il loro verbo straniero, annientata la protesta, silenziosa, passiva, penosa a me stessa, chinerò sempre il capo, le accoglierò come cosa buona e giusta.
E continuerò ad aspettarti, a cercarti, tessendo e disfacendo ogni notte il velo d’amore e d’odio, d’ogni cosa e del suo contrasto, perché tra le tue braccia, amore, è pieno di equivoci. Lì in mezzo è come su un’altalena.
Ma io sono stanca. Quanta fatica mi costi? Quanta vita? Invano. Quasi.
Voglio scendere. Voglio terra-ferma.
So che non mi fermerai, né mi seguirai. Purtroppo.
Scusami allora se ho deciso di andare via io prima che lo faccia tu ancora una volta.

Lei.


Non una lacrima.
Un bacio. Caldo e umido come la più carica tra le lacrime.