Mood: vegetativo post nottataccia
Reading: Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Listening to: Mina Mazzini – Io sono il vento
Watching: la pioggia che si attacca alle finestre
Eating: caramelle Ricola LemonMint, l’assenza della cucina di mamma si fa sentire tanto più se il frigo è vuoto
Drinking: acqua



Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, provavo il solito sentimento misto di nostalgia ed euforia che mi assale a ogni nuova partenza. Succede così alle persone di tutto il mondo che dicono Casa non quando hanno un tetto sulla testa ma quando sentono i piedi stare saldi al terreno le scarpe adeguate e questo tipo alternativo di Casa – si capisce? – non ha problemi logistici burocratici legali può essere piazzata un po’ ovunque in mezzo a milamilioni di esseri umani, per esempio ho visto giustappunto ieri su un’autostrada olandese una casa di legno sopra un camioncino una casa di legno tutta pronta pareti porte e infissi per essere abitata dopo esser stata piazzata così mi ha detto papà e io ho pensato sono un po’ come quella casa pronta per essere abitata, ma molto più impalpabile, molto meno concreta e insomma succede così alle persone di tutto il mondo quelle come me succede che sentono la mancanza e il desiderio di tanti luoghi – si capisce? – emotivi più che geografici tutti quanti insieme e poi un po’ si sentono confusi, occorre sempre un grande sforzo per andare e un grande sforzo per restare.

Quando ho lasciato l’Olanda per l’Italia passando per la Germania, ieri pomeriggio, io mi stavo sforzando, ma tanto e non solo perché così succede alle persone di tutto il mondo quelle come me quando devono andare o restare, ma anche perché io provavo la sensazione scomodissima di avere le scarpe al contrario i lacci ingarbugliati le suole impiastricciate e di non sapere cosa non lo so, forse di non sapere cosa sapere perché nella vita c’è sempre bisogno di sapere qualcosa sennò ci si sente scomodi come mi stavo sentendo io. Adesso, a onor d’onestà, sono giorni forse un mese che mi sento molto scomoda tra un sorriso e un altro e vario da una condizione a un’altra opposta con estrema facilità, se c’è una cosa peggio di tutte le altre è quando non riesco a starmi dietro, vado troppo di corsa e mi viene il fiatone, mi si gonfia nella laringe un nonsochè come una poltiglia, dolore credo nero denso grave mi si gonfia nella laringe e non fa passare l’aria sicché per alleviare il fastidio io continuo a cacciarmi le mani in gola e a suonare forte le corde vocali pizzicarle sfregarle nella speranza di urlare come quando

una notte ho sognato mia nonna che è morta e nel mio sogno mia nonna che è morta era la prima ballerina di uno spettacolo del Mouline Rouge, stava tutta torta e rinsecchita dentro la sua bara che oscillava a metri d’altezza attaccata al soffitto per delle funi tese da un paio di ruzzulani e io lì a guardare che ne avessero cura non la sballottassero troppo facendola piroettare e poi all’improvviso i due ruzzulani hanno calato la bara con dentro mia nonna che è morta e lei ha vomitato un rivolo di sangue giù per una ruga e come se questo l’avesse rianimata come se tutto il sangue fosse tornato a gorgogliare mia nonna che è morta si è alzata mi ha guardata e giuro non faceva nessuna paura voleva rassicurarmi tranquillizzarmi offrirmi una possibilità e quando mi ha abbracciata io le sono caduta in mezzo alle braccia sono caduta in ginocchio di peso e ho iniziato a urlare che sembrava non avrei finito mai che sembrava che mi stessi liberando persino degli organi, urlavo e non avrei mai finito se non quando mi fossi svegliata,

così

pensavo e c’era la luce dorata ad avvolgere l’Erasmusbrug i palazzi vetrati del porto di Rotterdam in lontananza dall’autostrada che porta a Dordrecht Utrecht Havens e pochi chilometri dopo, svoltando per Gorinchem c’erano le nuvole viola pesto a imbrogliare i prati sconfinati le poche costruzioni l’intreccio delle strade e quasi non volevo crederci che già a un angolo dell’orizzonte c’era l’arcobaleno solido e spezzato in cima simile a un marshmallow e che soltanto dopo l’arcobaleno è arrivata la pioggia a chicchi grossi poi a aghi sottili e di nuovo a chicchi grossi verso Venlo Nijmegen Köln fin quando al confine con la Germania non è ricomparso il sole uno spicchio sanguigno di prepotenza che la terra stava inghiottendo per illuminarsi bruciare col fuoco da dentro prima della notte, sembrava che per tanti chilometri noi non avessimo fatto altro che inseguire lo spettacolo finale, in Olanda, un momento prima c’è il sole quello dopo la pioggia così mi ha detto papà e io ho pensato – si capisce? –

Io prima di venire in fiore

gennaio 29, 2012

Mood: stranito
Reading: Aldo Nove, Amore mio infinito
Listening to: i racconti della settimana di Yanna
Watching: Happy family di Gabriele Salvatores
Eating: mandarini
Drinking: acqua finalmente



Io gli stivali vecchi tre anni con cui ho calpestato tanti suoli da averne perso il conto li ho abbandonati nella spazzatura prima di partire di nuovo per Milano. Io mi è sembrato di guardarli guardarmi con malinconia tra le bucce e le carte unte nella spazzatura, ma ho distolto lo sguardo e ho indossato un paio di stivali nuovo fiamma. Io il sacco a pelo l’ho attaccato allo zaino e sono uscita dalla casa in cui sono nata con la sensazione di star partendo non soltanto per Milano, piuttosto per un viaggio molto lungo molto importante, di non avere più motivo per tornare per guardarmi indietro.
Io la terra in cui sono nata ormai sfugge nella cornice dei finestrini dell’ennesimo Frecciabianca Bari-Milano, si straccia per non sottomettersi alle distanze che aumentano di secondo in secondo in secondo insecondo insecondo insecondoinsecondo i n s e c o n d o
– tu-tum tu-tum tu-tum shhh tu-tum tu-tum tu-tum – ho scelto il treno per un saluto tutto stile e già si avvicina il crepuscolo, cieli con un volume così sono solo sulla terra in cui sono nata, di qua

Io questa volta per la prima volta andare via proprio non mi riesce col passo leggero

e non per le scosse del terremoto a Milano, non per l’idiosincrasia da ritorno qualunque a Milano.
Piuttosto per
Io in questa settimana veloce ho sentito il rumore sordo del mio cuore nel vuoto che è il vuoto lasciato da mia nonna che è morta, il vuoto che è la percezione di tutto lo spazio fisico che non occuperà mai più, di tutti gli oggetti che non sfiorerà mai più, perché l’hanno chiusa dentro una tomba dentro un loculo con una foto da diva anni quaranta su di un cielo con cirri e di lì non tornerà mai alla terra mai al ciclo vitale mai pioggia mai vento mai sulla mia pelle e lei mi manca tanto, a volte se si trattengono le lacrime troppo a lungo finisce che scoppia a testa, io mi scoppia la testa.
Io in questa settimana veloce a furia di sentire il rumore sordo del mio cuore nel vuoto che è il vuoto lasciato da mia nonna che è morta, il vuoto che è la percezione di tutto lo spazio fisico che mia nonna non occuperà mai più, di tutti gli oggetti che non sfiorerà mai più, ho finito per sentire anche il rumore sordo del mio cuore nel vuoto che è la percezione di tutto lo spazio fisico che io non occuperò mai più, di tutti gli oggetti che non sfiorerò mai più e che con questa partenza lascio nella terra in cui sono nata che ormai sfugge nella cornice dei finestrini dell’ennesimo Frecciabianca Bari-Milano.
Io questa volta
il divano, il tavolo della cucina, la libreria, gli album per le fotografie, la candela al sandalo, la tomba di mia nonna che è morta, il pianoforte, le strade di campagna, l’abbraccio di un amico, la stazione di Castellana Grotte, la stazione di Conversano, la stazione di Rutigliano, la stazione di Triggiano, il lungomare di Bari, (eccetera)
mi sono commossa
Io questa volta
i luoghi e gli oggetti che raccontano la storia di come io ero prima di conciliarmi con io come ero, prima di diventare donna, prima di diventare adulta, prima di diventare consapevole del mio peso e del mio spazio, prima di capire che l’amore non basta, prima che mia nonna che è morta morisse, prima di attaccare il sacco a pelo allo zaino, prima di imparare a lasciar andare e a lasciarmi andare, prima ancora di tanti eventi che hanno stravolto io come ero
Io questa volta volevo mi inghiottissero mi assimilassero nelle loro viscere per riempire il vuoto che è la percezione di tutto lo spazio fisico che io non occuperò mai più, di tutti gli oggetti che non sfiorerò mai più,
di tutte le emozioni che ho tanto amato, di tutte le emozioni che non

Io mi sembra molto assurdo non capisco cosa mi stia succedendo eppure è tutto molto chiaro e sta capitando adesso a me è capitato a chiunque di
cambiare vedere tutto cambiare, io come ero la vita come era come avrei voluto che fosse
non avere più motivo per tornare per guardarsi indietro
– l’horror vacui –

Io la morte di mia nonna che è morta mi ha reso poetessa
E venne col crepuscolo il cremisi
in fiore

ho scritto perché guardando mia nonna che è morta tutta disarticolata dalla vita ho pensato che io anche voglio morire tutta torta e bruciata dalla vita, non composta come fossi rimasta ferma in poltrona, come avessi consumato il mio tempo prendendo un treno un aereo un passaggio perché e dopo averne persi già altri due altri tre, ho pensato che io anche è giunta l’ora di chiudere dentro una tomba dentro un loculo io come ero e venire in fiore è un giorno importante abbastanza per la mia vita, ma

Io prima di venire in fiore, prima di tutto l’ignoto che arriverà prolungando le radici in ogni direzione sotto la spinta del cuore che freme impazza si arrampica, io a volte la malinconia lascio che mi scavi e per una volta ancora mi affaccio sullo strapiombo di io come ero, di tutte le cose come erano e che di secondo in secondo in secondo insecondo insecondo insecondoinsecondo i n s e c o n d o diventano più lontane.


Io prima di venire in fiore.


(Bari-Milano, treno)




Mood: indefinito/indefinibile
Reading: il piano di produzione del cortometraggio mio e di Zulio
Listening to: il respiro di un corpo addormentato
Watching: l’alluce del mio piede sinistro
Playing: ad essere forte, fortissima
Eating: timballo di cereali e radicchio
Drinking: acqua



Si diceva in un’occasione e più del cortometraggio mio e di Zulio, ma del cosa/come/quando/perché di questo cortometraggio mio e di Zulio non s’è ancora mai scritto degnamente.

Indi.

Il cortometraggio mio e di Zulio nasce lo scorso ottobre come un’urgenza universitaria, in qualità di esame di regia, a partire da un’idea embrionale di Zulio successivamente elaborata e definita all’unisono.
Racconta della bambina Sofia che in casa della sua vecchia zia un po’ pazzerella scova un registratore portatile per audiocassette e lo manda in play. Racconta del suono e del silenzio, di come si confondono e si distanziano, alterando le prospettive fino a sfiorare l’incomunicabilità. Non a caso l’abbiamo intitolato Cut Off, che è la soglia tra un massimo ed un minimo e l’azione della loro scissione, ma anche un filtro di lavorazione dell’audio che taglia via certe frequenze prederminate.

Nel corso di cinque lughimabrevi mesi di lavoro, il cortometraggio mio e di Zulio è cresciuto nel tepore dei nostri cuoricini ed è diventato il chiodo fisso di giorni e giorni, un pensiero che al solo sfiorarlo si accende e prude sotto la pelle perché, quel ch’è giusto, a noi sta venendo alla testa una certa passione, una certa voglia di giocarcela al di là di un semplice esame e poi chissà, ma intanto si lavora e si lavora duro.
Chè a fare un film non ci vuole poco e prima di arrivare sul set e chiamare “Silenzio, Motore, Azione!” e mettersi a riprendere bisogna pensare e scrivere e organizzare, pensare e scrivere e organizzare, pensare e scrivere e organizzare tutto, il soggetto, la sceneggiatura, la regia, la fotografia, l’audio, l’attrezzatura, quella da chiedere alla scuola e quella da acquistare, gli attori, le locations, i sopralluoghi, i costumi, quelli da ricercare e quelli da far realizzare, le prove, la crew di lavoro, il trasporto e lo spostamento, i tempi, il piano di lavoro giorno per giorno, i costi, il perché e il valore di ogni più piccola scelta e via così.
Certo, il nostro è solo un cortometraggio, mica Ben-Hur, ma insomma, sarà la suddetta passione o la nostra natura o forse tutt’e due, ma qui facciamo i videomaker in erba seri e pure decisamente spostati verso la megalomania, che poi tutto sta nel ricercare la massima concretizzazione delle nostre idee, anche a costo di qualche sacrificio in più.


Zulio ed io, a lavoro su un set per le prove luci, in versione “Basta crederci”


Nel corso di cinque lunghimabrevi mesi di lavoro, tutto quello che c’era da fare, Zulio ed io lo abbiamo fatto insieme, abbiamo messo in gioco le nostre sensibilità artistiche ed umane, ci siamo scazzati perché due teste e due cuori diversi per natura non concordano a priori su tutto, anzi spesso seguono percorsi totalmente diversi e Zulio ed io siamo capaci di discutere per ore e ore, accorgendoci solo alla fine che stavamo dicendo la stessa cosa, ma con parole diverse, motivo per cui abbiamo spesso dovuto cercare il compromesso. Ma quel che più conta, Zulio ed io ci siamo affiatati e ci siamo conosciuti un po’ più nel profondo, dove prima ci negavamo.
A pensarci, il cortometraggio mio e di Zulio è saturo di piccoli dettagli umani. C’è la location che è la casa dei nonni materni di Zulio, sotto casa di Zulio, a Bassano del Grappa, ma i nonni di Zulio non ci sono più ed osservarla e scorticarla per conoscerla, scoprirne gli angoli e gli oggetti, sconvolgerla per le nostre esigenze narrative, è un po’ come aggirarsi nella vita di qualcuno che non conosci, ma che, giorno, dopo giorno riscopri un po’ più intimo, riconoscendolo tra i libri e le pile di dischi, le fotografie e i vestiti, la polvere e le impronte sui rami, sulle bottiglie e sui feticci di viaggio e i giorni di quieto trambusto, rimasti incuneati tra le pareti, iniziano a pulsare nelle orecchie. Ci sono i nostri viaggi notturni a musica alta e poi bassa, man, mano che l’abitacolo si impregna di parole sussurrate e la strada si fonde in un fiume luminoso e ci sono gli aperitivi sul ponte di Bassano a fantasticare in grande e ridere del futuro e poi la stanchezza fisica e mentale, ma ancora la voglia di arrivare in fondo e farlo ridendo. C’è la nostra piccola attrice che ha scritto una storia per noi, “i registi”, e ci sono tutte le persone incontrate con la loro età e i loro racconti, qualcuno persino in dialetto veneto, e la consapevolezza che quando consenti alla vita di entrarti nel sangue e fare il suo giro, certamente ti stupirai di quanta ce ne sia per le strade del mondo e di quanto tempo si possa sprecare a smarrirsi tra futili cavilli da burocrazia esistenziale, ché spesso tutto è più semplice di come ce lo macchiniamo nella testa. C’è tanto altro e ci sarà tanto altro ancora. Domani partiamo, io e Zulio e Laura e Nicolò che ci aiutano in quest’impresa, facciamo una buona squadra. Partiamo per Bassano del Grappa con la macchina stracolma di tutto il necessario per fare un cortometraggio e la nostra ansia ed euforia in parti uguali. Poi venerdì mattina iniziamo le riprese, quelle serie, e le concludiamo lunedì e la sola idea è strana, dopo cinque mesi di lavoro di preparazione, mi si rimescola dentro lo stesso intruglio che agita una donna prima di salire all’altare, così dicono succeda.

E allora, let’s go!, si prospetta un bel trancio di lavoro e lavoro e vita e vita e vita e vita e riuscirà bene, ce lo sentiamo. «Stai serena. Sarà un successo!» mi ha appena scritto Zulio. Le carte sono tutte in regola, sì, sono davvero in regola.